Ricevo e volentieri vi propongo questa lettera di una mamma.
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di Elena
Carissimo Aldo Maria,
in questi mesi ho avuto modo di riflettere molto, soprattutto grazie ai miei figli, semplici bambini che dicono quello che sentono senza filtri.
Abitualmente frequentiamo la Messa cattolica romana che ci permette di pregustare davvero la Liturgia celeste. Purtroppo alle volte siamo costretti ad assistere al Novus Ordo Missae 2.0, 2.1, 2.n, dove “n” sta per le infinite stravaganti modifiche che sacerdoti e laici apportano continuamente al rito, gareggiando tra loro in fantasia.
I miei figli, dopo aver assistito solamente a due di queste possibili rappresentazioni, hanno concluso tristemente: “Ma questa è un’altra religione… perché ci ostiniamo a frequentarla?”.
Già, perché ci ostiniamo a tentare di fare la quadratura del cerchio? Come dare torto ai miei figli?
È davvero grande il dolore che provo nel vedere come vengono profanati il Corpo e il Sangue di Cristo con litri di gel disinfettante, l’assenza del minimo rispetto, sostituito dalla più totale indifferenza (quando si è fortunati) nei confronti del Santissimo Sacramento, la bruttezza e la blasfemia di certa arte moderna che non riesco a definire sacra: un qualsiasi pranzo di famiglia sarebbe più curato. Se un medievale redivivo varcasse le porte della maggioranza delle chiese di oggi, penserebbe che siano state tutte sconsacrate e adibite a uso diverso, anche se non riuscirebbe a comprendere quale.
Che fare? Che dire ai miei figli che escono confusi da tali caotiche assemblee in cui spesso si son visti negare il Corpo di Cristo? Come riportare nelle Chiese la Bellezza per cui sono state costruite dai sacrifici di chi ci ha preceduto nella fede? Cosa fare quando ci si trova di fronte alla condanna a morte della verità?
La Verità… quante volte ci troviamo tra Gesù e Pilato! Quante volte di questi tempi, come Pilato, i cristiani si chiedono Quid est veritas? per poi voltarsi dall’altra parte, lasciando che il male avanzi.
Gesù è chiaro: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”. Gesù è venuto nel mondo per un motivo: rendere testimonianza alla verità.
Oggi è davvero difficile distinguere chiaramente la voce di Gesù nella “chiesa ecumenica”. Ci sono talmente tanti presunti maestri e altrettante dottrine che l’unica cosa che accomuna tutti i cattolici del mondo pare essere rimasto solo l’aggettivo “cattolico”. Per il resto, ognuno segue il maestro e la dottrina che più gli si addice. Ce lo conferma Gesù: “Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti”. E come negare che l’apostolo Paolo, poco prima di morire, abbia visto i nostri giorni e, attraverso la lettera a Timoteo ci metta in guardia? “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.”
In quanti proprio non sopportano la sana dottrina e rifiutano di dare ascolto alla verità, quella stessa, unica e immutabile verità che è il motivo per cui Cristo è venuto nel mondo e a cui Egli rende testimonianza.
Come resistere allora alla seduzione dei falsi profeti, alla frode degli uomini, alla loro astuzia nelle arti seduttrici dell’errore? Come essere sicurissimi di essere “dalla verità” e di ascoltare quindi la voce di Cristo e non quella di un falso profeta?
Non c’è che una via: chiedere a Dio di liberarci “dalle nebbie dell’amor proprio” e di “scendere nella valle dell’umiltà” (per dirla con santa Caterina da Siena) per conoscere la verità prima di tutto su noi stessi. Ecco dove saremo sicuti di incontrare il nostro Creatore e Redentore, Colui che ci ha amati prima che noi fossimo e senza il quale saremmo nulla.
Io sono un membro della Chiesa. Se essa soffre, se è ferita e piagata, io lo sono con Lei. Se mi vergogno di Lei, mi vergogno anche di me stessa. Se davvero desideriamo che Dio sia nuovamente glorificato, allora dobbiamo iniziare dai noi stessi, piccoli membri del Corpo Mistico.
Soffriamo per gli oltraggi alla Bellezza? Non dimentichiamo che anche noi ne facciamo parte, quindi partiamo dal punto più vicino, quello più prossimo: il nostro cuore. Oggi va tanto di moda l’espressione “aprire il cuore”, che ancora non ho capito cosa voglia dire. Non si parla più invece di “stritolare il cuore tanto da triturarlo”. Sì, perché è questo il significato del termine contrizione.
Entriamo con umiltà nel nostro cuore e tastiamone la durezza. Trituriamo la pietra di cui siamo fatti, provando dolore per le nostre colpe e per le offese che si vedono fare a Dio da parte del prossimo. Non un’amarezza colma di rabbia e risentimento, ma “condita di amore”.
Dobbiamo trasformare la sofferenza in sacrificio attraverso l’amore. Proprio come ha fatto Gesù sul Calvario e continua a fare sull’altare ogni volta che si celebra una Messa cattolica. L’esempio più banale che mi riguarda: al momento di mettermi in fila per ricevere degnamente il Corpo di Cristo nel Novus Ordo Missae, ho scelto di invocare l’aiuto di alcuni santi, tra cui la beata Imelda, per essere in grado di convertire l’ansia che provo (per paura di vedermi rifiutato il Corpo di Cristo) nel “timore e tremore” che avrei sempre dovuto avere nell’avvicinarmi al terribile Mistero.
Se davvero ci sta a cuore la glorificazione di Dio, non dobbiamo perdere tempo! San Paolo sprona ognuno di noi: “Tu però vigila attentamente”. Vigilare significa prima di tutto non abbandonare mai la conoscenza di noi stessi, dalla quale non può che nascere dolore e disgusto per il nostro peccato, per la nostra miseria, per la nostra ingratitudine, per la nostra nullità. Eccola la verità, la via sicura per incontrare il Vivente, che da sempre è dentro di noi, ed ascoltarne la voce.
Imitiamo l’esempio dei santi, le cui parole ed opere fanno eco a quelle di san Paolo a Timoteo: “Sappi sopportare le sofferenze”. Quali sofferenze? Le stesse di Cristo: dolori e pene che si provano per la salvezza delle anime. Chi ama Dio soffre, perché vede con chiarezza le offese che Gli vengono fatte da noi e dai nostri prossimi e il danno che ne consegue per le anime. Ma questa sofferenza non deve toglierci la speranza che Dio provvederà a tutti i mali.
Riconosciamo che, in quanto membri della Chiesa, è anche colpa nostra se le cose vanno male: non abbiamo ringraziato Dio, abbiamo dato per scontato la bellezza della libertà di essere Suoi figli, non abbiamo pregato per la salvezza eterna di coloro che ci stanno davanti agli occhi (e spesso tra i piedi) non abbiamo sofferto pazientemente per loro, chiedendo a Dio di addebitare a noi le loro colpe.
Esagero? Non è forse quello che ha fatto Gesù? Non è forse il comandamento che ci ha lasciato “Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi?
Siamo anche noi bisognosi di tanto perdono e, come tutti, dobbiamo diventare disponibili a riceverlo!
Dobbiamo anche noi ringraziare Dio per tutti quei membri della Chiesa che (dall’inizio dei tempi fino alla fine del mondo) pregano e soffrono più o meno anonimamente per la salvezza della nostra anima. Forse alcuni tra loro si sono oggi lasciati sedurre da falsi profeti, sono stati condotti al vizio, sono stati privati della grazia, sono a rischio di morte.
Parlando a santa Caterina da Siena, Dio ci ricorda di soffrire per loro, di piangere sopra questi morti, perché la nostra preghiera possa distruggere la loro morte. Non perdiamo tempo ad accusare chi è nelle tenebre, perché chi è nella luce lo è per grazia e se vuole rimanervi deve riconoscere la sua nullità. Un solo atto di superbia lo farà risprofondare nell’oscurità.
Nel suo Dialogo della Divina Provvidenza, santa Caterina ci fa arrivare queste parole del dolce Verbo: “Colui che arde di carità soccorre le anime con zelo, secondo i diversi doni di grazia che Io ho dato a ciascuno da amministrare: ad alcuni il dono della dottrina, da esercitarsi con il consiglio dato schiettamente e senza alcun rispetto umano…” e continua dicendo che i doni spirituali e corporali sono stati distribuiti “tutti in modo così differente che a nessuno toccassero tutti, affinché voi uomini aveste necessariamente occasione di reciproco aiuto… Se la carità non viene praticata come dono fatto per amor mio, quell’atto non vale affatto a procurar grazia”. Di seguito ci viene fornito il ritratto del servo fedele: colui che “sebbene veda il suo prossimo privo di fede e senza speranza sia in Dio che in lui, non cessa di amarlo con fede, e sempre lo sostiene la speranza di trovare in Dio la salvezza dell’altro”.
Se vogliamo santificare la Chiesa dobbiamo iniziare da noi stessi e desiderare che ogni nostro prossimo sia santo.
Dobbiamo cadere per primi in ginocchio sentendoci bisognosi di perdono, versando lacrime di pentimento per noi e per chi è più prossimo a noi, disponibili a portare sulle nostre spalle anche le sue manchevolezze. Solo così getteremo “carboni accesi con quel fuoco di carità che dissipa l’odio ed i rancori” e attireremo sugli altri il perdono e la grazia di Dio.
Dobbiamo desiderare la salvezza di coloro che Dio ci mette accanto ogni giorno! Pregare che Dio riversi su di essi i frutti delle nostre preghiere e che ci doni il Suo amore per essere in grado di soffrire e pagare il prezzo del loro peccato.
Questo ha fatto Cristo, questo hanno fatto i santi e i martiri, questo siamo chiamati a fare noi membri del Corpo Mistico. Anche noi infatti siamo stati creati a Sua immagine e somiglianza ed abbiamo ricevuto in eredità i doni per santificarci a vicenda dalla Misericordia divina.
Quante volte anche noi abbiamo sperperato questi talenti che Dio ci ha affidato: “la memoria per riconoscere i Suoi benefici, l’intelletto per conoscere e vedere la Verità, l’amore per amare Lui” (sempre per citare la grande patrona d’Italia).
Non perdiamo più tempo! Non abbiamo che questa vita. Non barattiamo questi Talenti con il demonio! Perché, se invece di farli fruttare e riportarli al Padre insieme ai fratelli che Lui ci messo accanto, li seppelliremo, li dimenticheremo, li disprezzeremo, li sciuperemo con la durezza del nostro cuore, questi stessi doni diventeranno la nostra rovina. “Volge a loro rovina quanto era stato loro dato per misericordia” dice Dio a santa Caterina.
Da giorni fisso il Crocifisso e non riesco a togliermi questa sentenza dalla testa: se gli altri non Ti amano, Gesù, è anche per colpa mia, perché non prego per loro, non soffro per loro e non li amo come Tu mi hai insegnato.
Il mio terzogenito di sette anni, uscendo da una chiesa adornata con immagini blasfeme, ha detto con voce tremante: “Mamma, dobbiamo pregare per il sacerdote, altrimenti rischia di andare all’inferno”.
L’ira e il disgusto, pur giustificati e forse anche giusti, davanti alle offese gravi e molteplici che si susseguono senza sosta nei confronti del “solo Santo, del solo Signore, del solo Altissimo”, devono trasformarsi in combustibile per accendere in noi una ardente carità. Sarà questa virtù a trasformare le nostre amarezze e lamentele in tenaci e umili preghiere, fondate su una paziente sofferenza, sia fisica che spirituale.
Ecco il mio appello a chi è confuso e atterrito di fronte all’opera di distruzione della Chiesa cattolica e alla sua sostituzione con una “chiesa grande, strana e stravagante” (beata Katharina Emmerick).
È difficilissimo, lo so. Per essere luce del mondo e sale della terra siamo chiamati a seguire Cristo sulla Via Crucis. Almeno iniziamo con il desiderarlo. E soprattutto iniziamo a offrire noi stessi per la salvezza di chi è davanti ai nostri occhi ogni giorno.
Che la Vergine Potente presenti questo nostro desiderio al Signore. Possa Egli accoglierlo e prendere nelle Sue mani il nostro affanno e il nostro dolore, rafforzando il nostro cuore.
Sorgi Signore!
Con profonda gratitudine e in unione di preghiera