Su un articolo pubblicato da “Avvenire”. E la risposta di padre Cavalcoli
Dopo l’articolo E se fosse un’alba di resurrezione? del professor Luigino Bruni, pubblicato da Avvenire lo scorso 22 aprile, il teologo domenicano padre Giovanni Cavalcoli ha pubblicato sul suo blog una lettera aperta rivolta allo stesso Bruni.
Nella lettera padre Cavalcoli, docente emerito di Teologia dogmatica presso la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna e di Metafisica nello Studio filosofico domenicano di Bologna, nonché socio della Pontificia accademia teologica romana, afferma esplicitamente che Bruni nega il significato, il valore e il fine del sacrificio di Cristo, così come sono insegnati dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa.
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di Bruno Vacchiano
Il professor Luigino Bruni è tornato lo scorso 22 aprile, sulle pagine di Avvenire, a criticare il significato del sacrificio nel cattolicesimo, l’Eucaristia come sacrificio, la Messa come sacrificio e in ultima analisi la stessa morte di Cristo come sacrificio.
Come primo importante critico del sacrificio, Bruni ha riproposto Martin Lutero. Scrive infatti nel suddetto articolo:
Lutero fece una battaglia campale contro l’idea della messa come sacrificio: «La messa è il contrario di un sacrificio» (Lutero, Opere complete, 6, 523-524). Oltre a criticare l’Eucaristia come sacrificio, Lutero confutò anche l’idea antica che la messa fosse la ripetizione del sacrificio della croce.
Non è certamente solo Bruni a propendere per una profonda rivisitazione se non addirittura per un abbandono del tema del sacrificio. Questa tendenza è da tempo assai presente, con gradi diversi, presso molti teologi e studiosi contemporanei, tanto che Bruni può dire:
Oggi la teologia cattolica ha finalmente preso le distanze […] dalla lettura sacrificale della passione di Cristo: «Altrimenti si rischia di non indirizzare lo sguardo nella direzione giusta del mistero di Dio» (Giovanni Ferretti, Ripensare evangelicamente il sacrificio, 2017). La logica del sacrificio va trasformata nella logica del dono, che è il suo opposto perché tutta gratuità.
Il teologo domenicano padre Giovanni Cavalcoli ha replicato a Bruni pubblicando, sul suo blog, una lettera aperta rivolta allo stesso Bruni:
Il Concilio ha attuato la vera riforma contro la proposta di Lutero il quale credeva che la Messa fosse opera di magia, e ne fraintendeva la vera natura. Si capisce allora che, come riferisci tu, «la reazione cattolica qui fu davvero molto forte», giacché il Concilio chiarì che la Messa non è affatto una “ripetizione” del sacrificio di Cristo, ma che è una repraesentatio (Denz.1740) del sacrificio di Cristo.
Sulla Santa Messa il padre domenicano prosegue:
Quando celebro Messa, insieme con tutti i sacerdoti del mondo, io non ripeto il sacrificio di Cristo come Pavarotti che ripeteva uno spettacolo alla Scala di Milano, ma grazie al potere sacerdotale che Cristo mi ha conferito per le mani del Vescovo che mi ha ordinato, io, in persona di Cristo, nella potenza dello Spirito Santo da me precedentemente invocato, ripresento, rendo presente, riattualizzo incruentemente qui sulla terra il medesimo eterno sacrificio sempre attuale di Cristo risorto in cielo, sacrificio cruento che Cristo duemila anni fa ha offerto una volta per tutte al Padre nello Spirito Santo per la nostra santificazione.
Bruni scrive:
La teologia basata sull’accoppiata sacrificio-merito produce poi una visione commerciale di Dio e della vita. Più ti sacrifichi più otterrai: Dio diventa un contabile passivo di debiti e crediti, e la gratuità-grazia esce di scena in un mondo pelagiano dove ci salviamo da soli, lucrando meriti con la moneta delle sofferenze.
Al che padre Giovanni replica:
Se la grazia è gratuita, per salvarci è necessaria la nostra libera adesione all’amore misericordioso del Padre per mezzo della Croce del Figlio. La salvezza, certo, è gratuita perché è dono di Dio. Ma se è costata il sangue dell’Innocente Agnello, noi peccatori non dovremmo pagare nessun prezzo?
[…] Lutero sbagliava anche nel negare i meriti. È vero tuttavia che i meriti del cristiano non sono semplicemente naturali, ma soprannaturali, partecipazione ai meriti infiniti di Cristo. Gesù però nella parabola dei talenti è chiarissimo nel farci presente che se la salvezza è dono della grazia, il paradiso ce lo dobbiamo guadagnare con fatica (“la porta stretta”) e sacrificio (“ogni giorno la nostra croce”).
Conclude il teologo tomista:
Caro Luigino, se tu neghi il significato, il valore e il fine del Sacrificio di Cristo, fondamento dell’atto proprio del sacerdote e del sacrificio della Messa, così come sono insegnati dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, dimostri di negar fede alla Rivelazione cristiana così come è interpretata dal Magistero della Chiesa attualmente espresso nel Catechismo della Chiesa Cattolica (nn.599-618), cui ti chiedo se queste tue idee che esprimi sono cattoliche o luterane.
Peraltro, fu sant’Anselmo, ben prima del Concilio tridentino, a intuire sulla sequela di san Paolo il valore soddisfattorio del sacrificio di Cristo sulla croce. Il suddetto Concilio lo ha poi reso dogma e dunque verità di fede necessaria per la nostra salvezza nel Decreto sulla giustificazione, capitolo VII, Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue cause, che recita:
Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio, che gratuitamente lava (72) e santifica, segnando ed ungendo (73) con lo Spirito della promessa, quello santo che è pegno della nostra eredità (74); causa meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore nostro Gesù Cristo, il quale, pur essendo noi suoi nemici (75), per l’infinito amore con cui ci ha amato (76), ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre.
In altre parole, col peccato l’uomo si è provocato un danno che, da sé stesso, non è in grado di riparare; ha perduto un bene infinito, Dio, che non può, nella sua umana finitezza, riacquistare. Per questo il Padre misericordioso incarica il Figlio di soccorrere l’uomo. E il Figlio s’incarna affinché l’espiazione possa essere compiuta sì da un uomo, Gesù, che può soffrire, ma che dev’essere anche Dio, affinché la potenza riparatrice, redentiva, soddisfattoria sia proporzionata all’infinita dignità di Colui che è stato offeso.
Mi chiedo: possibile che sul quotidiano della Conferenza episcopale italiana siano presentate tesi in contrasto col Magistero infallibile della Chiesa riguardo al sacrificio redentivo, espiatorio, soddisfattorio di Cristo voluto dalla giustizia e misericordia Padre per la remissione dei peccati e l’acquisto della vita eterna, senza che il lettore ne venga avvertito e senza affiancare a tali articoli da doverosa confutazione?