di Davide Lovat
Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato una mozione, presentata dall’unica consigliera del Movimento 5 Stelle, nella quale si esprime favore verso la pratica del “suicidio assistito” (o forse sarebbe meglio dire “omicidio del consenziente”) nei confronti di pazienti che la dovessero richiedere. Questa segue di poche settimane l’approvazione della misura che delibera, sempre nella Regione Veneto, il finanziamento con denaro pubblico delle pratiche di “transizione di genere”, altra misura che come la precedente è tanto cara all’Open Society Foundation di George Soros, il principale finanziatore mondiale dell’agenda radicale liberal-progressista.
Nell’esprimere la netta contrarietà a queste delibere, intendo porre l’accento sulle parole pericolosissime del presidente Zaia, rilasciate in diverse interviste recenti sui media nazionali, nelle quali dietro al proclama di voler “garantire le libertà di tutti” traspare in modo nettissimo l’adesione a una mentalità di tipo nichilista e relativista, di stampo autoritario, che configura un pensiero pericoloso per la democrazia e crea i presupposti per riscontrare l’inverarsi delle profezie di tre recenti colossi del pensiero: il primo fu Augusto Del Noce, che preannunciò la fine della lotta di classe e la conseguente evoluzione del Pci, col suo elettorato ateo e materialista, in una sorta di partito libertario progressista, seguito poi da tutti i partiti di governo che – a causa della desacralizzazione e della secolarizzazione della società – avrebbero dato vita a quello che egli chiamava Partito Radicale di massa, dove la differenza fra Destra e Sinistra sarebbe stata solo su cose inessenziali; il secondo fu Pier Paolo Pasolini, che ammonì sul pericolo di un nuovo fascismo prodotto dai rapporti di forza del “capitalismo nella sua dimensione edonistica e consumista, destinata a sfociare in pratiche di stampo sadico e violento”; e infine il terzo fu Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, che denunciò l’affermazione della “dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” e spese gli anni del suo pontificato attivo nella difesa dei valori non negoziabili, prima del noto passaggio al pontificato contemplativo, detenendo il munus petrino senza più esercitarne il ministerium.
La gravità dei provvedimenti passa così in secondo piano, se rapportata alla gravità del pensiero che li ispira, un pensiero ormai incapace di distinguere il bene dal male e pertanto di orientare l’azione politica al bene, evitando il male. L’idea di libertà espressa da Zaia nelle interviste è infatti quella di tipo libertario individualista e soggettivista, intrinsecamente consumistica e chiusa nella dimensione immanente, priva di qualsiasi connessione con l’idea classica di Bene comune per il semplice fatto che si basa su una visione “al di là del bene e del male”, per dirla col filosofo padre del nichilismo. Per Zaia la politica deve offrire servizi e facoltà, senza chiedersi se il fine sia buono o cattivo, perché confina questa valutazione al livello di mera e pertanto irrilevante opinione del singolo.
Altresì gravissima è l’idea diffusa che allo Stato debba venire attribuita la facoltà di intervenire con la Tecnica in modo crescente e sempre più invasivo sulle questioni relative alla vita delle persone (nascita, riproduzione, cura, morte), secondo parametri stabiliti col criterio della maggioranza temporanea, maggioranza spesso costituita da persone elette negli organi deliberanti sebbene prive di un’adeguata formazione su temi imprescindibili, per questi ambiti, come la bioetica o la filosofia. Quando in passato fu conferito allo Stato il potere di stabilire dei parametri per definire quali vite siano degne di essere vissute, il passaggio all’abominio – sempre seguendo parametri e protocolli – è risultato breve. Se a questo aggiungiamo una mentalità scientista, e non scientifica, come quella palesata negli anni dell’emergenza sanitaria dal presidente della Regione Veneto, il quale oltretutto sembra essere influenzato dai suoi studi di veterinaria anche nell’approccio alle questioni riguardanti gli esseri umani, il quadro che emerge è di una logicità tanto disarmante quanto tragica, a partire dalla totale incapacità di ascoltare e comprendere le ragioni di chi si vuole opporre alla deriva etica che potrebbe portare, con questi presupposti, a introdurre altri abominevoli pratiche come la gestazione per altri, la clonazione, l’ibridazione genetica o cibernetica, e qualsiasi altra follia disumanizzante proposta da una Tecnica non più posta sotto il dominio della recta ratio.
Auspico pertanto l’avvio un confronto serio e di una profonda riflessione, poiché l’opinione pubblica merita di venire rappresentata in modo più democratico e la cittadinanza merita di formare le sue idee tramite un dibattito aperto, che non escluda la società civile, gli intellettuali, le persone competenti nei vari ambiti, e che non liquidi l’eredità della riflessione etica e filosofica di venticinque secoli almeno come “opinioni di singoli” o “retaggi del passato”.