Il manto azzurro. Ovvero “fiat” non è “facio”
di Rita Bettaglio
“Facciamo sempre l’errore fatale di pensare che quello che conta è ciò che facciamo noi, quando in realtà, quello che importa davvero, è ciò che lasciamo che Dio faccia in noi.
Dio ha mandato l’Angelo a Maria non per chiederle di fare qualcosa, ma per lasciare che qualcosa fosse fatto”.
Monsignor Fulton Sheen
Il mese di maggio è già inoltrato e, se distratti da mille cose, non ci siamo ancora presi il tempo per contemplare Maria Santissima nei misteri della Sua ammirabile vita, siamo ancora in tempo per farlo.
L’osservazione del venerabile Fulton Sheen che ho posto all’inizio scocca come una freccia e non può non far centro nella nostra anima, sempre strattonata in mille direzioni.
Dinnanzi allo sfacelo che osserviamo intorno a noi (e anche dentro, se abbiamo il coraggio di guardarlo), nella società e nella Chiesa, ci sentiamo spinti a fare qualcosa. Ciò è lodevole.
Ringraziando Dio, ci sono ancora uomini che avvertono il dovere di fare qualcosa per arginare la corsa all’abisso che ogni giorno ci appare più veloce.
Ma cosa fare? E in che modo farlo? In questi ultimi anni sono sorti gruppi di persone di buona volontà che resistono alle fortissime pressioni ad abdicare non solo alla fede ma anche, e soprattutto, alla ragione.
Idee buone, anzi ottime: ricostruire la civiltà cristiana, la famiglia, la cultura in ogni ambito della vita umana e sociale. Bene. Qualcuno si spinge a parlare di regalità sociale di Cristo. Ottimo.
Però… c’è un però ed è quello su cui ci ammonisce non solo monsignor Sheen, ma la stessa Sacra Scrittura nel Salmo 127:
Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.
C’è di più:
Invano vi alzate di buon mattino,
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.
Somma stoltezza, davvero: il Signore dà il pane ai suoi amici nel sonno. Come sarebbe a dire? Col fratello del figliol prodigo ci verrebbe da mugugnare: come, nel sonno? Di che sonno si tratta? Forse della pigrizia, del fatalismo, della scarsa voglia di lavorare?
No. Piuttosto del sonno del bambino in braccio a sua madre.
Questo fecero i santi: si misero totalmente a disposizione del progetto di Dio, lavorarono, combatterono, soffrirono. Ma il progetto era quello di Dio, non il loro proprio.
Soffrirono e piansero. Don Orione, animato da grande amor di Dio e, perciò, del prossimo, di fronte all’ordine di chiusura del suo Oratorio, il 2 luglio 1893, legò la chiave di quell’uscio al braccio della statua della Madonna facendola ricadere sulla mano destra, significando con ciò che tutta la sua fiducia era in Lei; l’Oratorio era chiuso, ed egli non poteva fare più nulla, ci pensasse Lei!
In quella sera, oppresso dal dolore, scrisse:
“Vieni, o Madre, vieni a prenderti cura di noi!… Vieni a governare, custodire; vieni a difendere la tua casa e i tuoi figli che piangono! Eccoti prendi la chiave dell’Oratorio, io ti porgo la chiave! Vieni a consolare i tuoi orfani… e non ci abbandonare; vieni, o Madre, vieni! Ti consegno le anime dei giovani che mi hai dato. La mia missione è finita. Nelle tue braccia mi abbandono; nelle tue mani consegno le anime degli innumeri piccoli ragazzi fratelli e consegno tutto l’Oratorio. Cara Madre, salva i tuoi figli… Vieni e vieni! D’ora in avanti tu sei la nostra padrona…Tu sei la nostra Madre! O Maria, salva i tuoi figli”.
Quella notte stessa ebbe il famoso sogno del manto azzurro, in cui vide la Vergine Santissima al sommo dell’alto pioppo che si trovava nel giardino del vescovo, sede dell’Oratorio, e il Suo manto allargarsi sempre più, fino a coprire tutto, senza più confini. Sotto di esso innumerevoli ragazzi, e “fra essi vidi molti dell’Oratorio, ed altri e tanti, incalcolabili, che io non conoscevo… e si moltiplicavano, e si moltiplicavano, fino a sembrare tutto un formicolio. Allora si volse a me la Madonna indicandomeli (…) E si udì da tutta quella massa un canto dolcissimo, il canto del Magnificat”, scrisse poi don Orione.
Certo don Orione si era speso in ogni modo per l’Oratorio, non aveva lesinato tempo e fatica, ma era potuto arrivare solo fino a un certo punto, dopo il quale era umanamente impossibile andare.
Riflettiamo sul fatto che la Piccola Opera della Divina Provvidenza cominciò proprio nel momento in cui don Orione riconobbe la Madonna come padrona dell’Oratorio. Ecco perché il santo di Tortona diceva:
“La nostra Congregazione – dovete sapere – è stata fondata dalla Madonna ed è conservata dalla Madonna”.
Così anche la vita di ognuno di noi con le sue mille cure: essa, per dare frutto, dev’essere fondata e conservata dalla Madonna.
Qui, come diceva don Orione: un’Ave Maria e avanti!