Nel ricordare l’uscita del mio libro Stato di emergenza (acquistabile qui), dedicato all’uso della “pandemia” a fini totalitari e alla psicologia della manipolazione, vi propongo questo articolo sulla battaglia di libertà del giudice della Corte Suprema Usa Neil Gorsuch: una lucida denuncia della legilsazione antireligiosasa imposta proprio sfruttando l’idea di stato di emergenza.
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a cura del Browstone Institute
In una dichiarazione su un caso riguardante il Titolo 42 [una norma, ora decaduta, che consentiva alle autorità americane di bloccare gli ingressi nel paese allo scopo di prevenire la diffusione di malattie, NdT] il giudice della Corte Suprema Neil Gorsuch rompe il doloroso silenzio sul tema dei lockdown e delle vaccinazioni e presenta la verità con sorprendente chiarezza. È importante notare che questa dichiarazione di un rappresentante della Corte Suprema arriva mentre molte altre agenzie, molti intellettuali e altrettanti giornalisti continuano a negare apertamente ciò che è accaduto al Paese.
Ecco quanto scrive il giudice Gorsuch.
La storia di questo caso illustra lo sconvolgimento da noi vissuto negli ultimi tre anni circa il modo in cui vengono fatte le nostre leggi e osservate le nostre libertà.
A partire dal marzo 2020 abbiamo forse subito le più grandi intrusioni nelle libertà civili nella storia del Paese in tempo di pace. I funzionari esecutivi di tutto il Paese hanno emesso decreti d’emergenza con una frequenza senza precedenti. I governatori e i leader locali hanno imposto ordini di isolamento per costringere le persone a rimanere chiuse nelle loro case.
Hanno chiuso aziende e scuole pubbliche e private. Hanno chiuso le chiese, anche se hanno permesso ai casinò e ad altre attività di continuare a operare. Hanno minacciato i trasgressori di sanzioni non solo civili, ma anche penali.
Hanno sorvegliato i parcheggi delle chiese, registrato le targhe ed emesso avvisi per avvertire che la partecipazione alle funzioni, anche se all’aperto e in linea con i requisiti statali di igiene e socialità, poteva configurare una condotta criminale. Hanno diviso le città e i quartieri in zone colorate, hanno costretto gli individui a lottare in tribunale per le loro libertà fondamentali in base a calendari d’emergenza, per poi cambiare gli schemi colorati quando la sconfitta in tribunale sembrava imminente.
Anche i funzionari esecutivi federali sono entrati in azione, e non solo con decreti di emergenza sull’immigrazione. Hanno utilizzato un’agenzia per la salute pubblica per regolare i rapporti tra proprietari e inquilini a livello nazionale, e un’agenzia per la sicurezza sul posto di lavoro per imporre un obbligo di vaccinazione alla maggior parte dei lavoratori americani.
Hanno minacciato di licenziare i dipendenti inadempienti e hanno avvertito che i membri del servizio militare che si fossero rifiutati di vaccinarsi avrebbero rischiato il congedo con disonore e il confino. Sembra che funzionari federali abbiano esercitato pressioni sulle società di social media affinché sopprimessero le informazioni sulle politiche pandemiche con cui non erano d’accordo.
Mentre i funzionari dell’esecutivo emettevano nuovi decreti di emergenza a un ritmo indiavolato, le legislature statali e il Congresso – gli organi normalmente responsabili dell’adozione delle nostre leggi – troppo spesso tacevano. I tribunali tenuti a proteggere le nostre libertà hanno affrontato alcune, ma non tutte, le intrusioni contro le libertà stesse. In alcuni casi, come questo, i tribunali si sono persino lasciati usare per perpetuare decreti d’emergenza sulla salute pubblica per scopi collaterali, una forma di legislazione d’emergenza per contenzioso.
Senza dubbio si possono trarre molti insegnamenti da questo capitolo della nostra storia, e si spera che vengano compiuti seri sforzi per studiarlo. Una lezione potrebbe essere la seguente: la paura e il desiderio di sicurezza sono forze potenti. Possono determinare una spinta all’azione, quasi qualsiasi azione, purché qualcuno faccia qualcosa per affrontare una minaccia percepita.
Un leader o un esperto che sostiene di poter risolvere tutto, se solo facciamo esattamente come lui dice, può rivelarsi una forza irresistibile. È stato dimostrato che prima di abbandonare di buon grado l’idea di richiedere l’adozione di leggi da parte dei nostri rappresentanti legislativi, e accettare un governo per decreto, noi non abbiamo bisogno di essere minacciati da una baionetta: basta una spinta. Lungo questa strada, accetteremo la perdita di molte delle nostre libertà civili più preziose: il diritto di praticare liberamente il culto, di discutere le politiche pubbliche senza censura, di riunirci con amici e familiari o semplicemente di uscire di casa.
Potremmo persino arrivare a fare il tifo per coloro che ci chiedono di ignorare i nostri normali processi legislativi e di rinunciare alle nostre libertà personali. Naturalmente, questa non è una storia nuova. Anche gli antichi avvertivano che di fronte alla paura le democrazie possono degenerare verso l’autocrazia.
Ma forse abbiamo imparato anche un’altra lezione. La concentrazione del potere nelle mani di pochi può apparire efficiente e talvolta popolare, ma non tende al buon governo. Per quanto una persona, con i suoi consiglieri, possa essere saggia, la sua decisione non può sostituire la saggezza dell’intero popolo americano che si esprime attraverso il processo legislativo.
Raramente le decisioni prese da chi non si lascia toccare dalle critiche sono altrettanto valide di quelle prese dopo un valido dibattito senza censure. Raramente le decisioni prese in fretta sono altrettanto sagge di quelle prese dopo un’attenta riflessione. Le decisioni prese da pochi spesso producono conseguenze indesiderate che invece possono essere evitate quando si consultano più persone. Le autocrazie hanno sempre sofferto di questi difetti. E forse, si spera, questa è una lezione che abbiamo imparato di nuovo.
Negli anni Settanta, studiando l’uso dei decreti di emergenza, il Congresso osservò che essi possono consentire alle autorità esecutive di attingere a poteri straordinari. Il Congresso osservò anche che i decreti di emergenza hanno la tendenza a sopravvivere a lungo alle crisi che li generano. Alcuni proclami federali di emergenza, fece notare il Congresso, sono rimasti in vigore per anni o decenni dopo che l’emergenza in questione era passata.
Allo stesso tempo, il Congresso riconobbe che una rapida azione unilaterale dell’esecutivo talvolta è necessaria e consentita dal nostro ordinamento costituzionale. Nel tentativo di bilanciare queste considerazioni e di assicurare un funzionamento più normale delle nostre leggi e una più solida protezione delle nostre libertà, il Congresso adottò una serie di nuovi criteri di sicurezza che confluirono nel National Emergencies Act.
Tuttavia, nonostante questa legge, negli anni successivi il numero di emergenze dichiarate è cresciuto. È dunque difficile non chiedersi se, dopo quasi mezzo secolo e alla luce della recente esperienza della nostra nazione, non sia il caso di ripensarci. È difficile anche non chiedersi se le legislature statali potrebbero riesaminare con profitto la portata dei poteri esecutivi di emergenza a livello statale.
Per lo meno, si può sperare che la magistratura non si permetta ancora una volta di essere parte del problema, consentendo ai contendenti di manipolare la nostra agenda così da perpetuare un decreto che era stato concepito per un’altra emergenza. Non fraintendetemi: un’azione esecutiva decisa è talvolta necessaria e appropriata. Ma se i decreti d’emergenza promettono di risolvere alcuni problemi, rischiano di generarne altri. E governare con un decreto d’emergenza indefinito rischia di lasciare a tutti noi non una vera democrazia e vere libertà civili, ma soltanto gusci vuoti.
Il parere del giudice Neil Gorsuch nella causa Arizona contro Mayorkas segna il culmine del suo sforzo triennale per opporsi allo sradicamento delle libertà civili e all’applicazione iniqua della legge con il pretesto del Covid. Fin dall’inizio, mentre altri funzionari pubblici, in spregio ai più consolidati principi costituzionali, usavano il Covid per accrescere il loro potere e privare i cittadini dei loro diritti, il giudice Gorsuch è rimasto vigile.
Mentre altri giudici (compresi alcuni presunti costituzionalisti) si sono sottratti alla loro responsabilità di sostenere la Carta dei diritti fondamentali, Gorsuch ha difeso diligentemente la Costituzione. Ciò è risultato particolarmente evidente nei casi affrontati dalla Corte Suprema circa la libertà religiosa nell’era Covid.
La Corte Suprema iniziò a occuparsi di casi di contestazione delle restrizioni Covid sulla frequenza religiosa in tutto il Paese a partire dal maggio 2020. La Corte si divise secondo linee politiche abituali: il blocco liberale, formato dai giudici Ginsburg, Breyer, Sotomayor e Kagan, votò per sostenere le privazioni della libertà come un valido esercizio del potere di polizia degli Stati; il giudice Gorsuch guidò i conservatori Alito, Kavanaugh e Thomas nel contestare l’irrazionalità dei provvedimenti. Da parta sua il presidente della Corte Suprema Roberts si schierò con il blocco liberale, giustificando la sua decisione con un rinvio delle decisioni agli esperti di salute pubblica.
“La magistratura non eletta non ha il background, la competenza e l’esperienza per valutare la salute pubblica e non è responsabile nei confronti del popolo”, scrisse Roberts nella causa South Bay vs. Newsom, il primo caso a raggiungere la Corte in materia di Covid.
E così la Corte confermò ripetutamente ordini esecutivi che attaccavano la libertà religiosa. Nel caso South Bay, la Corte, con una decisione di cinque a quattro, respinse la richiesta di una chiesa californiana di bloccare le restrizioni statali circa la frequentazione del culto. Come sempre, Roberts si schierò con il blocco liberale, esortando a obbedire all’apparato sanitario pubblico mentre le libertà costituzionali scomparivano dalla vita americana.
Nel luglio 2020 la Corte si divise nuovamente cinque contro quattro respingendo la richiesta d’urgenza di una chiesa che chiedeva di ottenere un provvedimento ingiuntivo contro le restrizioni Covid stabilite nel Nevada, dove il governatore Steve Sisolak aveva fissato un tetto massimo di cinquanta persone per gli incontri religiosi, indipendentemente dalle precauzioni adottate o dalle dimensioni dell’edificio. Ma lo stesso provvedimento permetteva ad altri luoghi di incontro, compresi i casinò, di ospitare fino a cinquecento persone. La Corte, con il presidente Roberts nuovamente unito ai giudici liberal, respinse la richiesta con una mozione non firmata e priva di motivazioni.
A quel punto il giudice Gorsuch espresse il suo dissenso con un testo che mise a nudo l’ipocrisia e l’irrazionalità del regime anti Covid. Secondo l’editto del governatore Sisolak, con un sistema multiplex a dieci schermi si potevano riunire in qualsiasi momento fino a cinquecento spettatori. Anche un casinò poteva accogliere centinaia di persone in una sola volta, con magari sei persone accalcate a ogni tavolo di dadi e un numero simile riunito intorno a ogni ruota della roulette. Ma l’ordine di chiusura del governatore imponeva un limite di cinquanta fedeli per le riunioni religiose, indipendentemente dalla capacità degli edifici.
“Il Primo emendamento proibisce una discriminazione così evidente contro l’esercizio della religione”, scrisse Gorsuch. “Non esiste un mondo in cui la Costituzione permetta al Nevada di favorire il Caesars Palace rispetto alla Calvary Chapel”.
Gorsuch aveva capito la minaccia alle libertà degli americani, ma era impotente dato che il presidente della Corte Suprema Roberts si era piegato agli interessi della burocrazia della sanità pubblica. Le cose cambiarono quando nel settembre 2020 il giudice Ginsburg morì.
Il mese successivo, l’arrivo nella Corte del nuovo giudice, Barrett, ribaltò il rapporto di forza. Così la Corte emise un’ingiunzione d’emergenza per bloccare un ordine esecutivo del governatore Cuomo che limitava la partecipazione alle funzioni religiose a un massimo di venticinque persone.
Gorsuch a quel punto fece parte della maggioranza ed ebbe modo di proteggere gli americani dalla tirannia di editti incostituzionali. In un parere concorde sul caso di New York, mise nuovamente a confronto le restrizioni alle attività secolari e quelle imposte agli incontri religiosi: “Secondo il governatore, può essere pericoloso andare in chiesa, ma va sempre bene prendere un’altra bottiglia di vino, comprare una nuova bicicletta o passare il pomeriggio a fare agopuntura. Chi avrebbe mai detto che la salute pubblica si sarebbe allineata così perfettamente con la convenienza del mondo secolarizzato?”.
Nel febbraio 2021, le organizzazioni religiose californiane presentarono un’ingiunzione d’emergenza contro la restrizione imposte dal governatore Newsom. All’epoca, Newsom aveva proibito il culto al chiuso in alcune aree e vietato il canto. Il presidente della Corte Suprema Roberts, affiancato da Kavanaugh e Barrett, confermò il divieto di cantare, ma annullò i limiti di capienza.
Gorsuch scrisse allora un’opinione separata, a cui si unirono Thomas e Alito, con la quale proseguì nella sua critica nei confronti delle privazioni autoritarie e irrazionali della libertà degli americani al secondo anno di Covid. Scrisse: “Per mesi gli attori governativi hanno spostato gli obiettivi dei sacrifici legati alla pandemia, adottando nuovi parametri che sembrano sempre mettere il ripristino della libertà dietro l’angolo”.
Come nei suoi pareri sugli Stati di New York e del Nevada, Gorsuch si concentrò sulla disparità di trattamento e sul favoritismo politico alla base degli editti: “Qualcosa è andato seriamente storto se Hollywood può ospitare un pubblico in studio o filmare una gara di canto mentre non una sola anima può entrare nelle chiese, nelle sinagoghe e nelle moschee della California”.
Oggi il parere espresso da Gorsuch permette di prendere in considerazione la devastante perdita di libertà che gli americani hanno subito nei 1.141 giorni necessari per “appiattire la curva”.
Fonte: brownstone.org