di Julio Loredo
In diverse occasioni abbiamo parlato in questa sede della “marea rossa” che rischiava di inghiottire l’America Latina. Un po’ ovunque, l’estrema sinistra stava vincendo le elezioni, tingendo di rosso un continente fino a poco tempo fa quasi massicciamente a destra. Lo strapotere socialista si rifletteva poi nei vari organismi interamericani: l’Oea (Organizzazione degli Stati americani), la Celac (Comunità di Stati latinoamericani e dei Caraibi), la Cidh (Corte interamericana dei diritti umani) e via dicendo. Dominati dalla sinistra, molti di questi organismi hanno perso il loro carattere democratico, diventando invece veri “guardiani della Rivoluzione” nel continente.
Questo risoluto progresso del socialismo marxista in America Latina è avvenuto in concomitanza col pontificato di Papa Francesco e, fino a un certo punto, come una sua conseguenza. Difensore della Teologia della liberazione e della Teologia del popolo – che cercano di coinvolgere i cattolici nel processo rivoluzionario verso il comunismo – Francesco ha sistematicamente mostrato simpatie per i vari candidati della sinistra, mentre bacchettava quelli del centro-destra. Senza parlare poi delle nomine episcopali, che hanno spesso rafforzato le fazioni progressiste nel clero.
Noi non ci siamo lasciati impressionare da questa marea rossa. Dall’inizio abbiamo fatto vedere come avesse un vistoso tallone d’Achille: la sua scarsa capacità di convincere le masse.
Tanto per cominciare, la marea non è mai stata universale. Importanti Paesi come Ecuador, Uruguay, El Salvador e Paraguay hanno governi di centro-destra.
In altri Paesi, la sinistra è riuscita a impadronirsi del potere solo attraverso elezioni macchiate da gravi accuse di frode e di corruzione. Si tratta di uno stratagemma collaudato per primo in Venezuela e poi esportato in tutto il continente, con tanto di squadre di agenti cubani, boliviani, venezuelani e nicaraguensi che girano i vari Paesi per sorvegliarne l’applicazione. Sembra improbabile che la sinistra riesca a vincere in elezioni pulite.
Un altro fattore che risalta la debolezza della sinistra latinoamericana è la sua preferenza per i modi dittatoriali. Una volta al potere, la sinistra abbandona facilmente le vie democratiche per adottare invece quelle de facto: sopprime la libertà di stampa, incarcera gli avversari, chiude i media oppositori e via dicendo. Ora, l’uso della forza è un’ammissione implicita di fallimento, poiché mostra che non si è riusciti a convincere l’opinione pubblica.
Adesso questa marea dà mostre di voler arretrare.
Forse possiamo individuare il punto di svolta nella resistenza anticomunista in Perù. Infastidito dall’opposizione del Parlamento, dove il centro-destra aveva la maggioranza, nel dicembre 2021 il presidente marxista Pedro Castillo tentò un golpe di Stato. Diversamente a quanto si aspettava, però, le istituzioni e le Forze dell’Ordine reagirono tempestivamente. Castillo fu arrestato e la vice-presidente Dina Boluarte assunse regolarmente la prima carica. Un tentativo di invalidare la Costituzione fu respinto dal Parlamento. Infuriata con tale sconfitta, la sinistra continentale lanciò un’ampia offensiva di carattere terroristico e sovversivo per riprendersi il potere con la violenza.
E anche in questo caso, col massiccio sostegno dell’opinione pubblica, la polizia e le forze armate riuscirono a sconfiggere la Rivoluzione. “Non ci aspettavamo una tale reazione. Ci siamo ritirati perché non eravamo preparati”, piagnucolava uno dei leader della rivolta in un discorso di piazza a Juli.
Questa resistenza anticomunista, modello per tutto il continente, è oggi tema di studio nei centri di ricerca politica e nelle scuole militari in America Latina.
Più recentemente, la marea rossa ha subito due fortissime battute d’arresto.
Il 30 aprile si è votato in Paraguay per le presidenziali. Il noto giornale francese di sinistra, Le Monde, parlava di “élection très importante”. Ci si aspettava, infatti, un ribaltone che spezzasse l’egemonia del centro-destra che, col breve intervallo 2008-2012, governa il Paese da più di mezzo secolo. L’elezione era così importante che pezzi da novanta del globalismo sinistrorso – come il presidente del Foro economico mondiale, Klaus Schwab, e l’ambasciatore degli Stati Uniti in Paraguay, Marc Otsfield – si erano sbilanciati favorendo le candidature della sinistra, in una scandalosa ingerenza negli affari interni del Paese.
Contraddicendo gli auspici della sinistra, ha stravinto il candidato Santiago Peña, del partito Associazione nazionale repubblicana, detto Partido Colorado, di orientamento conservatore e anticomunista. Egli ha ottenuto più del doppio dei voti del secondo classificato (le elezioni sono a turno unico). Peña difende il modello di un Paraguay conservatore. “Siamo una società conservatrice, lo spirito conservatore è profondamente radicato in noi, rendendoci cauti di fronte ai grandi cambiamenti della società”, ha dichiarato all’Agenzia France-Presse.
La ferita non si era ancora rimarginata quando la sinistra latinoamericana ha dovuto incassare un altro colpo, forse anche più duro: la netta vittoria della destra in Cile.
Pur con centinaia di modifiche, il Cile è ancora governato dalla Costituzione votata nel 1980 durante il governo di Augusto Pinochet. La Carta Magna ottenne allora ben il 67% dei suffragi, in ciò che fu considerato un plebiscito a favore del regime militare.
Forte della sua sorprendente vittoria elettorale nel marzo 2022, il presidente Gabriel Boric aveva convocato a settembre un plebiscito per approvare un nuovo testo costituzionale che avrebbe trasformato il Cile in un Paese comunista e anarchico. Il progetto, preparato in fretta e furia da piccoli gruppi parlamentari legati alle frange eversive, veniva respinto dal 62% dei cittadini.
Scosso da questa sconfitta, Boric convocò allora nuove elezioni per scegliere un Collegio di cinquantuno consiglieri che, questa volta in modo democratico e aperto, avrebbe dovuto redigere un nuovo progetto di Costituzione. E anche questa volta è stato sconfitto: le elezioni, tenutesi domenica 7 maggio, hanno dato una netta vittoria alla destra.
Il grande vincitore è José Antonio Kast, leader del Partido republicano, che i media si ostinano nel definire di “estrema destra”. Egli ha ottenuto il 35% dei suffragi. La destra tradizionale, riunita nel partito Chile Seguro, ha ricevuto il 21% dei voti. La lista Todo por Chile, che raggruppava la sinistra, si è fermata al 9%. Ciò vuol dire che la destra e il centro-destra avranno trentatré dei cinquantuno consiglieri. La sinistra non ha nemmeno i numeri per opporre il veto.
Un sondaggio fra i consiglieri, fatto dal noto giornale La Tercera, ha dato risultati sorprendenti: il 60% afferma non avere nessuna affinità con le proposte della sinistra; il 90% vuole una Costituzione minimalista, cioè che non sconvolga il sistema ora vigente nel Paese; il 60% si dichiara contrario all’aborto; l’87% vuole un settore privato forte, eccetera [1]. Adesso la destra ha le mani libere per forgiare il futuro del Paese.
“L’estrema destra si converte nella prima forza politica del Paese. Terremoto nella politica cilena”, titolava con amarezza il quotidiano spagnolo El País [2].
Ci sono terremoti che provocano maree, i temuti tsunami. Altri tipi di terremoti, invece, le possono estinguere se provocano onde in senso contrario. Sembra che sia questo il caso del Cile.
Note
[1] ¿Cómo piensan los nuevos consejeros? Mayoría es contraria al aborto y cree que pueden seguir las AFP y las isapres, La Tercera, 8 maggio 2023.
[2] Giro en Chile: Boric retrocede y la extrema derecha se convierte en la primera fuerza política, El País, 8 maggio 2023.
Fonte: atfp.it
Illustrazione da retedeicomunisti.net