In morte di Berlusconi / Fine di un’epoca? No, il berlusconismo è ancora in circolo
di Aldo Maria Valli
Sento dire che con la morte di Silvio Berlusconi finisce un’epoca. Non credo sia così. È morto Berlusconi, ma il berlusconismo è vivo. Con l’aggravante che è messo in scena da interpreti ben più mediocri.
Provo a tratteggiare sommariamente alcuni caratteri del berlusconismo.
Dopo il maremoto di Mani Pulite, con Berlusconi si impose l’idea che la politica abbia bisogno del tecnico e, in specie, dell’imprenditore. La politica, già colpita duramente, subì così una vera mazzata. Scomparve il progetto, la visione d’insieme, e sulla scena si impose il personaggio. Avvenne una semplificazione in senso demagogico e paternalistico. Trionfò l’illusione del “ghe pensi mi”: la delega in bianco all’ennesimo salvatore della patria, ma un salvatore sul quale non poteva non gravare il sospetto di cercare il proprio tornaconto.
Berlusconi si propose come esponente di una destra liberale, ma la sua fu una parodia, sia della destra sia del pensiero liberale. Un vero liberale non mischia l’interesse privato e quello pubblico. Anzi, guarda con orrore a una tale commistione. Come ricordava Montanelli, Quintino Sella, rappresentante di spicco della Destra storica, quando venne fatto ministro vendette l’impresa di famiglia, e lo stesso fece Sidney Sonnino, liberale conservatore, anche lui rappresentante della Destra storica. Berlusconi invece, alla faccia del conflitto d’interessi, pretese di fare il politico continuando a fare l’imprenditore. Non solo. Essendo imprenditore nel campo dei mass media, pretese di poter possedere tv, giornali e case editrici e nello stesso tempo darsi alla politica e fare il presidente del Consiglio. Con tutte le conseguenze nefaste che conosciamo.
Proprio utilizzando le televisioni, Berlusconi banalizzò la figura del politico. Anche in questo caso si può dire che ne fece la parodia, o una caricatura. Si presentò nel piccolo schermo e disse: “Siccome ho avuto successo negli affari, avrò successo anche come politico e capo di governo. Quindi dovete fidarvi di me e darmi il vostro consenso”. Ma una nazione non è un’impresa, un Paese non è una televisione. Di qui il suo errore decisivo: andò a Palazzo Chigi pensando di essere alla Fininvest e pensò di poter gestire lo Stato come un’azienda privata. E di qui l’illusione di chi votò per lui, cioè che davvero il “ghe pensi mi” possa sostituire la politica.
Utilizzando le televisioni, Berlusconi provvide a fare degli italiani, tendenzialmente ben poco razionali in politica, un popolo ancor più illogico. Da giovane aveva fatto il piazzista, e si vedeva. Le sparava grosse e, contando sul suo charme, lo faceva senza pudore. Devo citare ancora Indro Montanelli, che di Silvio disse una volta: “È il bugiardo più sincero che ci sia, è il primo a credere alle proprie menzogne. È questo che lo rende così pericoloso. Non ha nessun pudore. Berlusconi non delude mai: quando ti aspetti che dica una scempiaggine, la dice”. Il problema è che molti italiani gli andarono dietro.
Con i tratti salienti del berlusconismo si potrebbe continuare a lungo. Montanelli (e tre) diceva che per liberarci della malattia chiamata Berlusconi occorreva lasciarlo dilagare ovunque: a Palazzo Chigi, al Quirinale, perfino in Vaticano. Insomma, bisognava ammalarsi di berlusconite. Dopo di che, sarebbe potuta iniziare la fase di disintossicazione. Purtroppo non è andata così. Berlusconi è tramontato, ma le scorie del berlusconismo sono ancora in circolo. Con una differenza sostanziale: che gli interpreti attuali, misere marionette, non reggono minimamente il confronto con il protagonista.
Sicché penso che ora Silvio, ovunque sia, se la stia ridendo per questo suo ultimo risultato: vedere che uno come me, che mai votò per lui (e sono pure interista!), davanti al miserevole spettacolo offerto dalla politica nostrana, quasi quasi lo rimpiange.
____________
Disegno tratto da pegli.com