Scoprire l’Eucaristia con san Giovanni Bosco / 6. La santa Comunione: dottrina cattolica
di don Marco Begato
Ancora nell’opuscolo Il cattolico provveduto per le pratiche di pietà san Giovanni Bosco approfondisce, a margine della catechesi sulla santa Messa, la dottrina circa la santa Comunione. Ovviamente la prima fonda la seconda, per cui nel suo insegnamento sulla Comunione don Bosco riprende in sintesi la dottrina sacramentale sul Sacrificio eucaristico.
“Nell’ultima cena il Signore donò a’ suoi discepoli il proprio Corpo e Sangue in cibo e bevanda. Noi possiamo considerare questo grande mistero sotto due aspetti; come Sacramento e come sacrifizio della nuova legge. In quanto l’amabilissimo Salvator nostro, nell’ultima cena sotto le specie di pane e di vino, offrì se medesimo all’Eterno Padre e comandò agli Apostoli di fare altrettanto, istituì il sacrifizio della nuova legge, il quale, secondo le predizioni dei profeti, avrebbe ad offrirsi nella Chiesa sino alla consumazione dei secoli. In quanto poi diede ai discepoli in cibo il proprio Corpo e Sangue, lasciò a noi il santissimo Sacramento. La partecipazione a questo Sacramento augusto chiamasi Comunione, cioè unione con Gesù”.
Il dono della Comunione è collegato anche al sacramento dell’Ordine, trovando nella successione apostolica e nell’Ordinazione sacerdotale (di vescovi e presbiteri) il suo fondamento, per così dire, pratico e concreto.
“Riguardo a questo Sacramento la fede c’insegna, che Gesù Cristo nell’ultima cena coll’onnipotente sua parola cangiò veramente il pane ed il vino nel proprio Corpo e Sangue, e in questa guisa diede se stesso a’ suoi discepoli in cibo e bevanda. Inoltre diede agli apostoli e ai loro successori la facoltà di fare la stessa cosa che aveva egli fatta, vale a dire di cangiare in nome suo il pane e il vino nel suo Corpo e Sangue. Per conseguenza i Vescovi della cattolica Chiesa, i quali per una successione non interrotta discendono dagli Apostoli, e dai medesimi deriva la loro spirituale autorità, come anche i sacerdoti ordinati dai Vescovi, hanno questo potere di convertire il pane ed il vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo, così che nel Sacramento dell’altare sotto le specie del pane vi ha il vero Corpo, e sotto le specie del vino il vero Sangue, cioè Gesù Cristo, la sua divinità, l’umanità sua sacrosanta. Perciò coloro i quali ricevono questo Sacramento, ancorchè sotto una specie sola, ricevono Gesù Cristo tutto intiero e indiviso, imperocchè egli è vivo come in cielo in ciascuna delle due specie”.
Don Bosco individua con precisione la base della fede eucaristica: le parole di Gesù, prese alla lettera e con incondizionata fiducia fondano la certezza di tale grande mistero.
“Questa credenza della presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucaristia è fondata sulle parole pronunziate da Gesù nell’ultima cena: Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue. Il fedele intende queste parole come le pronunziò Gesù; egli non può dubitare delle sue divine parole, e quindi crede che realmente donò il proprio Corpo e il proprio Sangue. Se avesse voluto lasciarvi solamente una figura, una memoria, l’avrebbe detto. Le sue parole non possono intendersi in altro senso. Dal tempo degli Apostoli fino a noi tutti i fedeli hanno sempre intese queste parole come suonano. Continuiamo ancor noi in questa fede”.
Chiarite le basi (le stesse parole di Gesù), la trasmissione (ministero dell’Ordine) e il valore (sacrificio sacramentale che rinnova l’unico sacrificio di Cristo) dell’Eucaristia, il santo educatore torinese prosegue con alcuni consigli per ben “usare di questo Sacramento”. Esso ha per la nostra vita religiosa la stessa importanza del cibo per la nostra vita fisica, ne consegue l’allarme che un’anima possa deperire per mancanza di alimento spirituale.
“Vuoi tu, o cristiano, crescere nella vita della grazia e nel bene, vivere unito con Dio, e ogni giorno renderti più meritevole dell’eterna vita? accostati sovente e degnamente alla tavola del Signore. Imperocchè Gesù Cristo instituì appunto questo Sacramento perchè fosse all’anima ciò che è l’alimento al corpo, un cibo atto a mantenere e corroborare la vita spirituale. Questo ricavasi dalle parole di Gesù: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo…. la mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda…. Chi mangerà questo pane vivrà in eterno (S. Giov. VI). Se noi non ci nutriamo, il nostro corpo divien debole, infine vien meno e muore; così è dell’anima. Se noi non ci accostiamo a ricevere questo pane di vita, noi restiamo svogliati, rimaniamo senza forza a fare il bene, sempre più inclinati al male. Laonde il Salvatore ci ripete: In verità vi dico, se voi non mangerete la carne del Figliuolo dell’uomo, e se non berrete il mio sangue, non avrete la vita in voi (ivi)”.
Don Bosco dà i criteri per misurare la frequenza con cui accedere alla Comunione: essendo presenza di Cristo nelle specie del pane e del vino, questo sacramento di per sé richiama al dovere di nutrirsene frequentemente e fin quotidianamente. Certo, da parte dell’uomo rimane l’impegno a vivere in modo da poterlo effettivamente meritare quotidianamente.
“Quanto spesso dobbiamo accostarci alla mensa del Signore? Dovresti, cristiano mio, accostarti quanto più spesso la tua condizione e le tue occupazioni te lo permettono, e vivere in modo che tu, come dice s. Agostino, fossi degno di ricevere il Signore ogni giorno. Non si porta egli spesso il povero dal suo ricco benefattore, l’ammalato dal medico, il figliuolo bisognoso dal padre, l’amico dall’amico? Tutto questo è Gesù per chi lo riceve degnamente. Certo l’intenzione di Gesù, il vivissimo suo desiderio di darci questo gran pegno del suo amore, si fu che lo ricevessimo sovente e anche ogni dì. Perciò lo institui sotto le specie di pane e di vino, nutrimento quotidiano del corpo, affinchè potesse da tutti e in ogni luogo essere ricevuto”.
Per il santo dei giovani la Comunione frequente è il segreto della concordia, della pace, dell’educazione e dell’armonia sociale e comunitaria, come si nota dall’esempio rivelato circa le prime comunità cristiane.
“Quindi i primi cristiani, i quali conoscevano appieno le intenzioni di Gesù, erano perseveranti nella frazione del pane e nella preghiera (Atti degli Ap. II, 42). Di questi primi cristiani è scritto che essi erano d’un cuor solo e di un’anima sola, nè alcuno si riteneva cosa veruna, ma metteva in comune i suoi beni (Ibid. 44). D’onde mai questa stupenda carità, concordia e disinteresse? d’onde quella lor fermezza nella fede, il grande disprezzo di tutte le terrene cose? D’onde mai quella eroica fortezza nel soffrire i più crudeli tormenti per amore di Gesù Cristo? Egli è dall’uso frequente di questo cibo celeste, il quale è cibo dei forti. Come leoni partivano da questa mensa spiranti fuoco di divino amore, spaventando i nemici loro e terrestri ed infernali. Perchè mai oggidì è così rara questa viva fede, questa grande carità verso Dio e verso il prossimo, questa santità di vita? Si è specialmente perchè la mensa del Signore è deserta, o perchè vi ci accostiamo senza divozione interna, senza buone disposizioni, senza preparazione”.
In un’epoca ancora piena di rigorismo e finanche di giansenismo (un’eresia appunto rigorista, che sconsigliava di accostarsi se non raramente all’Eucaristia), don Bosco si fa pioniere della Comunione quotidiana. Ma non agisce da sprovveduto. Il suo non è spirito rivoluzionario o scioccamente progressista. Il suo è amore per Cristo e per le anime. Lo vediamo dal fatto che, mentre incita alla Comunione frequente, non manca mai di rammentare il dovere di essere spiritualmente pronti e di guardarsi dall’accedere al Divino Banchetto in condizioni di peccato o irregolarità. Pena il castigo divino.
“Imperocchè siccome il cibo, accolto da uno stomaco indisposto o preso fuor di tempo, fa più male che bene, così è del cibo dell’anima. Chi lo riceve in istato di colpa grave, peggiora vie più la sua condizione; costui mangia e beve la propria condanna, come scrive l’apostolo, e si fa reo del Corpo e del Sangue di Cristo (I ai Cor. XI). Il Signore castiga anche temporalmente le comunioni sacrileghe”.
E d’altronde, non essendo in nulla un rigorista, ecco che il santo subito propone la soluzione anche ai peccatori più ostinati: il pentimento, la conversione, l’abbandono delle pratiche peccaminose, l’umiliazione interiore, tutte vie per ritornare con frutto all’incontro sacramentale col Cristo Signore.
“Ma se tu, cristiano mio, sei pentito ed hai una vera risoluzione di cangiar vita, le tue colpe passate per quanto grandi e molte elle siano, non ti sgomentino. Allora quanto è maggiore la tua umiltà, il tuo pentimento, quanto è più viva la tua fede, più ferma la speranza ed accesa la carità, e specialmente quanto è maggiore la tua preparazione, cioè quanto è meglio disposto il tuo cuore, quanto è più libero da ogni amor proprio, dall’amor dei beni terreni, dalle vanità del mondo; tanto più abbondanti pioveranno sopra di te le celesti benedizioni”.
6.continua