Dibattito / Che cosa dobbiamo fare? Le risposte di Bouyer e Ratzinger
di Alessandro Pacini
Caro Aldo Maria Valli,
circa la domanda al centro del dibattito (Che cosa dobbiamo fare?), inizio con un testo tratto da Cattolicesimo in decomposizione di Louis Bouyer (Morcelliana, 1969), libro non facilmente reperibile ma veramente indispensabile per comprendere profondamente la crisi attuale e le tensioni tra “progressisti e tradizionalisti”.
(…) Poiché il mondo, del resto lo si sapeva, è già salvo senza Vangelo, si abbandonerà il Vangelo per tornare al mondo. In realtà già da molto tempo non se ne conservava più che un’ombra. Non si avrà difficoltà di giurare al mondo che non si desidera affatto conquistarlo alla Chiesa, ma soltanto aiutarlo a prendere coscienza dei valori soprannaturali che esso già possiede, si dovesse ancora per un’antica abitudine parlare di “missione”. Dovesse il mondo sghignazzare a tale ridicola offerta, tutto sommato oggi non si fa che annunziargli, come il solo messaggio che la Chiesa ha ancora per lui, la vuota consolazione con la quale ci si giustificava della scarsa inclinazione che si sentiva per evangelizzarlo, dopo aver reso impossibile ogni evangelizzazione atrofizzando il vangelo per usarlo ai propri fini. A quale progressivo ridimensionamento abbiamo assistito negli ultimi trent’anni in tema di evangelizzazione! L’Azione Cattolica degli anni trenta voleva precisamente “la conquista”, quella del dopoguerra aveva già ripiegato sulla “testimonianza”, con i preti operai si è voluta “la presenza”. Presenza che oggi è così impaziente di farsi dimenticare e di immergersi in tutti i flussi e riflussi del mondo, che non si vede ormai più quello che ancora la distingue dall’assenza. (…) Dopo di ciò, avendo da tanto tempo rinunziato a convertire il mondo, ma semplicemente perché avevano perduto ogni desiderio di convertirsi essi stessi al Vangelo che essi conservavano senza farne un nutrimento della loro vita, non vi è da meravigliarsi se i cattolici, andando finalmente verso il mondo, si fanno irretire puramente e semplicemente come degli allocchi (pagg. 123 -124).
Ricordiamo che con san Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI si inviterà la Chiesa alla “nuova evangelizzazione, nuova nell’ardore, nei metodi e nelle espressioni”.
Il secondo testo è tratto da L’elogio della coscienza di Joseph Ratzinger (Cantagalli, 2009) che ripropone una conferenza tenuta a Siena nel 1991, a cui ebbi la gioia di assistere.
(…) Una volta un collega più anziano, cui stava molto a cuore la situazione dell’essere cristiano nel nostro tempo, nel corso di una discussione espresse l’opinione che bisognava davvero esser grati a Dio per aver concesso a così tanti uomini di poter essere non credenti in buona coscienza. Infatti, se si fossero loro aperti gli occhi e fossero divenuti credenti, non sarebbero stati in grado, in un mondo come il nostro, di portare il peso della fede e dei doveri morali che ne derivano. Ora invece, dal momento che percorrono un’altra strada in buona coscienza, possono non di meno raggiungere la salvezza. Quello che mi sbalordì in questa affermazione non fu innanzitutto l’idea di una coscienza erronea concessa da Dio stesso, per poter salvare con questo stratagemma gli uomini, l’idea, per così dire, di un accecamento mandato da Dio stesso per la salvezza delle persone in questione. Ciò che mi turbò fu la concezione che la fede sia un peso difficile da portare e che sia adatto solo a nature particolarmente forti: quasi una forma di punizione, la fede, lungi dal rendere la salvezza più accessibile, la farebbe più difficile. Dovrebbe essere felice, pertanto, proprio colui cui non viene addossato l’onere di dover credere e di doversi sottomettere a quel giogo morale che la fede della Chiesa cattolica comporta. La coscienza erronea, che consente di vivere una vita più facile e indica una via più umana, sarebbe dunque la vera grazia, la via normale di salvezza. La non verità, il restare lontani dalla verità, sarebbe per l’uomo meglio della verità. Non sarebbe la verità a liberarlo, anzi egli dovrebbe piuttosto esserne liberato. L’uomo sarebbe a casa propria più nelle tenebre che nella luce, la fede non sarebbe un bel dono del buon Dio, ma piuttosto una maledizione. Stando così le cose, come dalla fede potrebbe venire gioia? Chi potrebbe avere addirittura il coraggio di trasmettere la fede ad altri? Non sarebbe meglio risparmiare loro questo peso o anche tenerli lontano da esso? Negli ultimi decenni concezioni di questo tipo hanno visibilmente paralizzato lo slancio dell’evangelizzazione. Chi intende la fede come un carico pesante, come un’imposizione di esigenze morali, non può invitare gli altri a credere egli preferisce piuttosto lasciarli nella presunta libertà della loro buona fede (pagg. 7-8).
Credo che oggi, nella Chiesa, molti che rivestono incarichi di alta responsabilità siano discepoli dell’anonimo collega del professor Joseph Ratzinger.
Allora che cosa fare? Ecco alcuni passi da un discorso tenuto da papa Benedetto XVI alle comunità del Cammino Neocatecumenale il 20 gennaio 2012.
(…) Portare Cristo agli uomini e portare gli uomini a Cristo: questo è ciò che anima ogni opera evangelizzatrice. Voi lo realizzate in un cammino che aiuta a far riscoprire a chi ha già ricevuto il Battesimo la bellezza della vita di fede, la gioia di essere cristiani. Il “seguire Cristo” esige l’avventura personale della ricerca di Lui, dell’andare con Lui, ma comporta sempre anche uscire dalla chiusura dell’io, spezzare l’individualismo che spesso caratterizza la società del nostro tempo, per sostituire l’egoismo con la comunità dell’uomo nuovo in Gesù Cristo. E questo avviene in un profondo rapporto personale con Lui, nell’ascolto della sua parola, nel percorrere il cammino che ci ha indicato, ma avviene anche inseparabilmente nel credere con la sua Chiesa, con i santi, nei quali si fa sempre e nuovamente conoscere il vero volto della Sposa di Cristo.
È un impegno – lo sappiamo – non sempre facile. A volte siete presenti in luoghi in cui vi è bisogno di un primo annuncio del Vangelo, la missio ad gentes; spesso, invece, in aree che, pur avendo conosciuto Cristo, sono diventate indifferenti alla fede: il secolarismo vi ha eclissato il senso di Dio e oscurato i valori cristiani. Qui il vostro impegno e la vostra testimonianza siano come il lievito che, con pazienza, rispettando i tempi, con sensus Ecclesiae, fa crescere tutta la massa (…) Care famiglie, la Chiesa vi ringrazia; ha bisogno di voi per la nuova evangelizzazione. La famiglia è una cellula importante per la comunità ecclesiale, dove ci si forma alla vita umana e cristiana. Con grande gioia vedo i vostri figli, tanti bambini che guardano a voi, cari genitori, al vostro esempio. Un centinaio di famiglie sono in partenza per dodici missioni ad gentes. Vi invito a non avere timore: chi porta il Vangelo non è mai solo. Saluto con affetto i sacerdoti e i seminaristi: amate Cristo e la Chiesa, comunicate la gioia di averLo incontrato e la bellezza di avere donato a Lui tutto. Saluto anche gli itineranti, i responsabili e tutte le comunità del Cammino. Continuate a essere generosi con il Signore: non vi farà mancare la sua consolazione!
Grazie e un caro saluto