Cari amici di Duc in altum, con questo contributo di Paolo Gulisano torniamo sul pensiero di uno studioso di cui ci siamo occupati in passato con questo articolo: La felicità e quella pretesa di averne diritto come prestazione. Ricordando Emanuele Samek Lodovici a quarant’anni dalla morte.
L’occasione per rileggere Emanuele Samek Lodovici (1942 – 1981) è l’uscita del libro Una vita felice. Conversazioni con sette inediti (Ares 2023, 216 pagine, 17,10 euro), un testo che a distanza di decenni dalle lezioni tenute da Samek mantiene una sorprendente attualità e sa andare alle cause della follia dell’uomo di oggi, con la sua pretesa di essere Dio di sé stesso.
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di Paolo Gulisano
Il nostro tempo ha un assoluto bisogno di buoni maestri. Qualche volta si ha la fortuna di incontrarli di persona, altre volte si può attingere alla loro saggezza solo attraverso i libri. Uno dei maestri che ho avuto la grazia di incontrare personalmente è stato Eugenio Corti. Con lui non mi limitai a parlare di letteratura e del suo capolavoro, Il cavallo rosso. Ciò di cui maggiormente amavo parlare con lo scrittore di Besana era la Chiesa. Più di trent’anni fa avevo cominciato a rendermi conto che c’era qualcosa che non andava nella rotta presa dalla barca di Pietro, sebbene in quel momento ci fosse un vigoroso timoniere come Giovanni Paolo II. Corti mi consigliò di leggere un libro che andava decisamente controcorrente, e che il suo editore, il compianto Cesare Cavalleri, gli aveva coraggiosamente pubblicato, e nel quale Corti con garbo e rispetto muoveva critiche profonde al postconcilio. Ma non si limitò a questo consiglio bibliografico: mi parlò di uno studioso cattolico che a suo avviso aveva colto il nocciolo della questione della Modernità, e che era morto giovane poco tempo prima. Si trattava di Emanuele Samek Lodovici, che Corti stesso aveva avuto modo di conoscere e apprezzare. Oltre a parlarmi di lui, mi diede ancora una volta una indicazione bibliografica, che fu per me preziosissima. Lessi dunque Metamorfosi della gnosi, il capolavoro del giovane filosofo milanese. Che portava un sottotitolo estremamente significativo: Quadri della dissoluzione contemporanea. Il libro era stato pubblicato nel 1979, due anni prima della sua morte, avvenuta a seguito di un intervento chirurgico reso necessario per un incidente d’auto. Questa morte dolorosamente prematura aveva tolto alla cultura cattolica uno dei suoi esponenti più brillanti. Nel corso degli anni seguenti, mi sono spesso domandato che cosa Samek avrebbe potuto scrivere, quale contributo avrebbe potuto dare alla battaglia per la Verità.
Il suo libro ebbe per me il benefico risultato di dilatare il mio sguardo sulla realtà e sui mali della Modernità, che si era sostanzialmente fermata e concentrata sull’Illuminismo, per comprendere le radici profonde del secolare scontro tra Cristianesimo e la prima, e la più pericolosa, di tutte le eresie: la Gnosi.
Se la verità è unica e l’errore è molteplice, come mai lungo la storia prevale un solo errore radicale che possiamo chiamare Gnosi? Se viviamo nell’epoca della “fine delle ideologie”, come mai quella gnostica continua a diffondersi? Se viviamo nell’epoca della secolarizzazione, come mai vecchie idolatrie e pratiche magiche ritornano in voga? Se viviamo nell’epoca del progresso, come mai la cultura dominante sogna di tornare al Paradiso Terrestre preparando un inferno in terra? Samek rispondeva ponendo in rilievo le antiche cause spirituali e intellettuali della crisi contemporanea.
Ho ritrovato il lucido giudizio di Samek Lodovici leggendo nei giorni scorsi Una vita felice, libro costituito dalla trascrizione di dieci conferenze tenute da lui tra il 1977 e il 1981. Erano incontri tenuti per lo più presso parrocchie, quindi di carattere divulgativo, rivolti non a specialisti ma a un pubblico di persone comuni. Ma anche se il linguaggio è semplice e quasi colloquiale, il ragionamento è di estrema acutezza.
Il filosofo affronta alcune questioni che quarant’anni fa erano al centro del dibattito nel mondo cattolico: il rapporto con il marxismo, il femminismo, la concezione libertaria-radicale della vita, con una visione di tale profondità che lo rendeva allo stesso tempo capace di analizzare cause e origini, ma anche di emettere diagnosi per il futuro. Il termine “profetico” è purtroppo molto abusato nel linguaggio “ecclesialese”, ma certamente il pensiero di Samek Lodovici lo fu.
Il titolo della raccolta di questi interventi, Una vita felice, è accattivante e potrebbe far pensare a uno di quei manuali-istruzioni per l’uso per vivere felici e contenti. Ma in realtà il filosofo milanese parte proprio dalla confutazione di uno di quei monumenti ideologici che erano stati eretti nel Sessantotto: il diritto alla felicità. Esiste davvero il “diritto di essere felici”? E se la mia felicità, o meglio il mio piacere, richiede e presuppone il dolore degli altri, lo schiacciare gli altri? Nessun problema: lo aveva già detto la Gnosi: tu devi diventare come Dio. Gli altri non contano. Sono ostacoli eliminabili, fosse pure un bambino non preventivato. Samek aveva compreso i rischi dell’autodeterminazione a ogni costo, che oggi hanno portato per esempio alla teoria gender che lascia a ciascuno la creazione del proprio “genere” prescindendo dal sesso biologico. Sono come voglio io: la mia volontà, il mio desiderio, non ammette limiti. È mio diritto.
Il diritto anticamente aveva una connotazione attiva: era un diritto di fare. Io voglio lavorare, e perché mai un potere dovrebbe arbitrariamente proibirmelo? Eppure – come sappiamo – è recentemente vergognosamente accaduto. Ma nella dissoluzione della contemporaneità questa connotazione al diritto si è rovesciata. Si arriva al “diritto alla felicità”, alla esaltazione del corpo, alla libertà sessuale senza vincoli, ma allo stesso tempo si accetta lo Stato dispotico. Il soggetto viene deresponsabilizzato, e si vive in una democrazia ottriata, dove il sovrano fa benevolmente delle concessioni ai sudditi.
Samek Lodovici proponeva un paradigma alternativo, che già allora appariva minoritario, a cui ispirarsi nella vita quotidiana e quindi anche nell’educazione dei figli. E argomentava: “Di fronte all’obiezione per cui, agendo con tali principi, i figli diverrebbero dei disadattati, ritengo che non omologare i figli in questa società sia un dovere. Occorre abituarli a dire no al predominio dei cretini”.
Non solo queste parole sono vere, e queste lezioni sono più che mai attuali, ma sono state confermate dall’eredità che ha lasciato. Se è vero che l’albero si riconosce dai frutti, Emanuele Samek Lodovici era davvero un albero buono. Chiudendo infatti il cerchio del discorso sui maestri, ho la grazia di godere dell’amicizia di uno dei suoi figli, Giacomo, anch’egli filosofo e giovane maestro di umana e divina saggezza. E posso confermare che è un frutto buono, e attraverso questa eredità è possibile continuare la buona battaglia.
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Nella foto, Emanuele Samek Lodovici (primo a sinistra) con Cesare Cavalleri (terzo da sinistra).