Parrocchie senza preti / Così funziona la decrescita “felice”

Cari amici di Duc in altum, dopo l’articolo di Rita Bettaglio [qui] sulla spaventosa crisi delle vocazioni in Italia e la prospettiva che intere parrocchie restino senza sacerdote, abbiamo pubblicato [qui] una prima selezione di interventi sulla situazione nelle varie diocesi. E oggi altri contributi.

L’indirizzo per inviare le testimonianze è numeridiocesi@gmail.com

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Caro Valli,

mi chiamo Luca Farina e sono un fedele dell’arcidiocesi di Milano. Non sto a presentarle il quadro numerico delle nostre zone, che ben conosce: siamo in una situazione apparentemente felice in termini assoluti (quante diocesi italiane hanno ancora un numero a doppia cifra di ordinazioni sacerdotali ogni anno?), ma tragica dal punto di vista proporzionale.

Accodandomi al sacerdote già intervenuto [qui], vorrei anch’io portare una testimonianza.

Durante una riunione del consiglio pastorale della mia parrocchia, insieme al vicario di zona monsignor Luca Raimondi, venne fuori proprio questo argomento delle parrocchie sempre più prive di clero. Ebbene, monsignor Raimondi disse che se anche avesse avuto una parrocchia con dieci preti avrebbe mandato dei laici alla benedizione natalizia delle case.

Nella mia parrocchia, ma anche in altre, col pretesto del Covid si è rinunciato alle benedizioni porta a porta, sostituite con una “preghiera in famiglia”: in sé niente di male, se non fosse che questo rito non è stato proposto come un’alternativa emergenziale, ma come “nuova normalità”. Indietro non si torna.

È il concetto di “decrescita felice”: avere meno preti non preoccupa, anzi. Ne è testimonianza l’intervista rilasciata al Corriere della sera [qui] da monsignor Mario Delpini, in cui l’arcivescovo di Milano dice di non badare troppo ai numeri, dimenticandosi di aver commissionato pochi mesi fa uno studio statistico ai docenti dell’Università Cattolica.

Non c’è però da temere. La magnifica riforma del seminario ambrosiano spingerà decine e decine di giovani a bussare alle porte di Venegono, sicuramente desiderosi di vivere una vita sempre più laicizzata (del resto, perché indossare la veste prima del diaconato? Basta con questi rimasugli clericali).

Invero c’è poco da ridere, caro Valli, ma sono fiducioso: tutti loro, alla fine, non rideranno affatto.

Luca Farina

arcidiocesi di Milano

Caro Valli,

qui in Tirolo, quando mi sono rivolto alla diocesi per cercare un sacerdote disponibile a celebrare Messe in lingua italiana e ad assistere spiritualmente la comunità di immigrati del nostro paese, mi è stato subito proposto di frequentare il corso per diventare diacono e poter quindi celebrare io stesso la liturgia della parola. È infatti esplicito desiderio del vescovo ridurre il numero delle Messe in favore delle liturgie della parola celebrate da laici.

Amen.

Enrico Donà

Innsbruck

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Caro Valli,

ho letto su Duc in altum l’articolo [qui] dedicato alla diocesi di Alessandria, dove risiedo. Essa è piccola sia come territorio (900 kmq) sia come popolazione (140 mila abitanti). Ha quattro seminaristi più due giovani alessandrini che sono entrati fra i domenicani del Nord Italia. La confinante diocesi di Tortona, che si estende su tre regioni (275 mila abitanti, 2.100 kmq) e il cui capoluogo è in Piemonte ma appartiene alla regione ecclesiastica ligure, sta peggio. Da due anni il seminario è vuoto. Alla fine del Concilio Vaticano II i preti diocesani erano quasi cinquecento. Ora sono poco meno di cento.

Alessandro Mirabelli

diocesi di Alessandria

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Scrivete a: numeridiocesi@gmail.com

 

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