Raymond Leo Cardinale Burke
Nel periodo immediatamente precedente il Concilio Ecumenico Vaticano II e, ancor più, nel periodo post-conciliare, la disciplina canonica della Chiesa è stata messa in discussione nelle sue stesse fondamenta. La crisi del diritto canonico aveva origine negli stessi presupposti filosofici che stavano ispirando una rivoluzione morale e culturale in cui la legge naturale, l’ethos morale della vita individuale e della vita sociale, veniva messa in discussione a favore di un approccio storico in cui la natura dell’uomo e la natura stessa non godevano più di un’identità sostanziale, ma solo di un’identità mutevole e talvolta ingenuamente considerata progressiva.
All’interno della Chiesa, la riforma del Codice di Diritto Canonico del 1917, annunciata da Papa Giovanni XXIII, riforma che iniziò seriamente solo una decina di anni dopo e che poi progredì lentamente durante gli ultimi anni del Pontificato di Papa Paolo VI e i primi anni del Pontificato di Papa Giovanni Paolo II, sembrò mettere in discussione la necessità della disciplina canonica e aprì un forum per alcuni teologi e canonisti per mettere in discussione i fondamenti stessi del diritto nella Chiesa. Il cosiddetto “Spirito del Vaticano II”, che era un movimento politico avulso dall’insegnamento e dalla disciplina perenne della Chiesa, aggravò notevolmente la situazione. Dopo un periodo di intenso lavoro e di accese discussioni, Papa San Giovanni Paolo II promulgò il Codice di Diritto Canonico rivisto il 25 gennaio 1983, circa ventiquattro anni dopo il suo annuncio.
Durante il lungo pontificato di Papa Giovanni Paolo II, sono stati compiuti grandi progressi nel rinnovare il rispetto per la disciplina canonica che, come ha spiegato nel promulgare il Codice del 1983, ha le sue prime radici nell’effusione dello Spirito Santo nei cuori degli uomini dal glorioso Cuore trafitto di Gesù [1].
Nel promulgare il Codice di Diritto Canonico, Papa Giovanni Paolo II ha ricordato il servizio essenziale della disciplina canonica alla santità di vita, la vita rinnovata in Cristo, che il Concilio Ecumenico Vaticano II desiderava promuovere. Ha scritto:
Devo riconoscere che questo Codice deriva da una stessa intenzione, il rinnovamento della vita cristiana. Da tale intenzione, infatti, l’intero lavoro del Concilio ha tratto le sue norme e la sua direzione [2].
Queste parole indicano il servizio essenziale del diritto canonico nell’opera di nuova evangelizzazione, cioè nel vivere la nostra vita in Cristo con l’impegno e l’energia dei primi discepoli. La disciplina canonica è finalizzata al perseguimento, in ogni momento, della santità di vita.
Il santo Pontefice ha poi descritto la natura del diritto canonico, indicandone lo sviluppo organico a partire dalla prima alleanza di Dio con il suo popolo santo. Ha ricordato “il lontano patrimonio di diritto contenuto nei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, da cui deriva tutta la tradizione giuridico-legislativa della Chiesa, come dalla sua prima fonte” [3] In particolare, ha ricordato alla Chiesa come Cristo stesso, nel Discorso della Montagna, abbia dichiarato di non essere venuto ad abolire la legge, ma a portarla a compimento, insegnandoci che è, infatti, la disciplina della legge ad aprire la strada alla libertà nell’amare Dio e il prossimo [4]. Ha osservato: “Così gli scritti del Nuovo Testamento ci permettono di comprendere ancora meglio l’importanza della disciplina e ci fanno vedere meglio come essa sia più strettamente connessa con il carattere salvifico del messaggio evangelico stesso” [5].
Le fatiche di Papa San Giovanni Paolo II hanno portato frutti notevoli per il ripristino del buon ordine della vita ecclesiale che è la condizione insostituibile per la crescita nella santità della vita. Come canonista, noto, in varie parti del mondo ecclesiale, sempre più iniziative, magari piccole ma comunque forti, per favorire la conoscenza e la pratica della disciplina ecclesiale, in accordo con la vera riforma post-conciliare, cioè in continuità con la disciplina perenne della Chiesa.
Oggi, purtroppo, stiamo assistendo a un ritorno alle turbolenze del periodo post-conciliare. Negli ultimi anni, il diritto e persino la stessa dottrina sono stati ripetutamente messi in discussione come deterrente per un’efficace cura pastorale dei fedeli. Gran parte del tumulto è associato a una certa retorica populista sulla Chiesa, compresa la sua disciplina.
È stata promulgata anche una nuova legislazione canonica che è chiaramente al di fuori della tradizione canonica e, in modo confuso, mette in discussione quella tradizione che ha servito fedelmente e con amore la verità della fede. Mi riferisco, ad esempio, agli atti legislativi che riguardano il delicato processo di dichiarazione di nullità del matrimonio che, a sua volta, tocca il fondamento stesso della nostra vita nella Chiesa e nella società: il matrimonio e la famiglia.
Data la situazione in cui si trova la Chiesa, sembra particolarmente importante poter rendere conto dell’insostituibile servizio della legge nella Chiesa, così come nella società. È particolarmente importante essere in grado di riconoscere e correggere la retorica che sta confondendo e persino portando all’errore un buon numero di fedeli. A tal fine, affronto il rapporto essenziale e insostituibile della dottrina e del diritto con la vita pastorale della Chiesa, cioè con la realtà quotidiana della vita cristiana. In primo luogo, affronterò la pervasiva retorica populista sulla Chiesa e sulle sue istituzioni. Poi presenterò un insegnamento chiave in materia, ossia il discorso alla Rota Romana di Papa Giovanni Paolo II del 18 gennaio 1990.La retorica populista sulla Chiesa.
Negli ultimi anni, alcune parole, ad esempio “pastorale”, “misericordia”, “ascolto”, “discernimento”, “accompagnamento” e “integrazione”, sono state applicate alla Chiesa in una sorta di magia, cioè senza una chiara definizione, ma come slogan di un’ideologia che sostituisce ciò che per noi è insostituibile: la costante dottrina e disciplina della Chiesa.
Alcune parole, come “pastorale”, “misericordia”, “ascolto” e “discernimento” hanno un posto nella tradizione dottrinale e disciplinare della Chiesa, ma ora vengono usate con un nuovo significato e senza riferimento alla Tradizione. Ad esempio, la cura pastorale viene ora regolarmente contrapposta alla preoccupazione per la dottrina, che deve essere il suo fondamento. La preoccupazione per la dottrina e la disciplina viene caratterizzata come farisaica, come se si volesse rispondere con freddezza o addirittura con violenza ai fedeli che si trovano in una situazione irregolare dal punto di vista morale e canonico. In questa visione errata, la misericordia si oppone alla giustizia, l’ascolto si oppone all’insegnamento e il discernimento si oppone al giudizio. Altre parole sono di origine secolare, come “accompagnamento” e “integrazione”, e vengono usate senza fondarle sulla verità della fede o sulla realtà oggettiva della nostra vita nella Chiesa. Per esempio, l’integrazione è avulsa dalla comunione, che è l’unico fondamento della partecipazione alla vita di Cristo nella Chiesa. Questi termini sono spesso usati in senso mondano o politico, guidati da una visione della natura e della realtà che cambia continuamente. La prospettiva della vita eterna viene eclissata a favore di una sorta di visione popolare della Chiesa in cui tutti dovrebbero sentirsi “a casa”, anche se la loro vita quotidiana è in aperta contraddizione con la verità e l’amore di Cristo. In ogni caso, l’uso di uno di questi termini deve essere saldamente fondato sulla verità, insieme alla sua espressione tradizionale della nostra incorporazione al Corpo Mistico di Cristo attraverso un’unica fede, un’unica vita sacramentale e un’unica disciplina o governo.
La questione è complicata perché la retorica è spesso legata al linguaggio usato da Papa Francesco in modo colloquiale, sia durante le interviste rilasciate in aereo o ai notiziari, sia nei commenti spontanei a vari gruppi. In questo caso, quando si collocano i termini in questione nel giusto contesto dell’insegnamento e della pratica della Chiesa, si può essere accusati di parlare contro il Santo Padre. Di conseguenza, si è tentati di rimanere in silenzio o di cercare di spiegare dottrinalmente un linguaggio che confonde o addirittura contraddice la dottrina.
Il modo in cui ho compreso il dovere di correggere una retorica populista sulla Chiesa è quello di distinguere, come la Chiesa ha sempre fatto, le parole dell’uomo che è Papa dalle parole del Papa come Vicario di Cristo. Nel Medioevo, la Chiesa parlava dei due corpi del Papa: il corpo dell’uomo e il corpo del Vicario di Cristo. Infatti, la tradizionale veste papale, in particolare la mozzetta rossa con la stola raffigurante gli apostoli Pietro e Paolo, rappresenta visibilmente il vero corpo del Vicario di Cristo quando espone l’insegnamento della Chiesa.
Papa Francesco ha scelto di parlare spesso nel suo primo corpo, quello dell’uomo che è Papa. Infatti, anche in documenti che, in passato, hanno rappresentato un insegnamento più solenne, egli afferma chiaramente che non sta offrendo un insegnamento magisteriale, ma il proprio pensiero. Ma chi è abituato a un modo diverso di parlare del Papa vuole che ogni sua affermazione faccia in qualche modo parte del Magistero. Questo è contrario alla ragione e a ciò che la Chiesa ha sempre inteso.
Fare una distinzione tra i due tipi di discorso del Romano Pontefice non è in alcun modo irrispettoso dell’ufficio petrino. Tanto meno costituisce inimicizia nei confronti di Papa Francesco. Anzi, al contrario, dimostra il massimo rispetto per l’ufficio petrino e per l’uomo a cui Nostro Signore lo ha affidato. Senza questa distinzione, si perderebbe facilmente il rispetto per il Papato o si sarebbe portati a pensare che, se non si è d’accordo con le opinioni personali dell’uomo che è il Romano Pontefice, allora si deve rompere la comunione con la Chiesa.
In ogni caso, quanto più questa retorica viene usata senza un correttivo, cioè senza mettere in relazione il linguaggio con l’insegnamento e la pratica costante della Chiesa, tanto più la confusione entra nella vita della Chiesa. I canonisti hanno la particolare responsabilità di chiarire quale sia la dottrina e la corrispondente disciplina della Chiesa. Per questo motivo, in particolare, ho ritenuto importante chiarire lo scopo del diritto canonico. L’intrinseca connessione tra disciplina canonica e pratica pastorale.
Nel suo discorso del 1990 alla Rota Romana (il tribunale d’appello ordinario del Papa), Papa Giovanni Paolo II descrive l’inseparabilità tra una sana pratica pastorale e la disciplina canonica:
La dimensione giuridica e quella pastorale sono unite inseparabilmente nella Chiesa, pellegrina su questa terra. Soprattutto, sono in armonia per il loro obiettivo comune: la salvezza delle anime. Ma c’è di più. In effetti, l’attività giuridico-canonica è pastorale per sua stessa natura. Essa costituisce una partecipazione speciale alla missione di Cristo, il pastore, e consiste nel realizzare l’ordine della giustizia intraecclesiale voluta da Cristo stesso. La pastorale, a sua volta, pur andando ben oltre i soli aspetti giuridici, include sempre una dimensione di giustizia. Infatti, sarebbe impossibile condurre le anime verso il regno dei cieli senza quel minimo di amore e di prudenza che si trova nell’impegno di far osservare fedelmente la legge e i diritti di tutti nella Chiesa [6]. Come chiarisce Papa Giovanni Paolo II, non si può parlare di esercizio della virtù dell’amore all’interno della Chiesa, se non si pratica la virtù della giustizia, che è il minimo richiesto per una relazione d’amore.
Il santo Pontefice affronta poi in modo diretto la tendenza, allora molto accentuata e tornata con forza nel nostro tempo, a mettere in contrapposizione le preoccupazioni pastorali e le esigenze giuridiche o disciplinari. Egli sottolinea la natura insidiosa di tale opposizione per la vita della Chiesa: ne consegue che ogni opposizione tra la dimensione pastorale e quella giuridica è ingannevole. Non è vero che, per essere più pastorale, la legge dovrebbe diventare meno giuridica. Certo, le numerosissime espressioni di flessibilità che hanno sempre contraddistinto il diritto canonico, proprio per ragioni pastorali, devono essere tenute presenti e applicate. Ma vanno rispettate anche le esigenze di giustizia, che possono essere superate a causa di questa flessibilità, ma mai negate. Nella Chiesa, la vera giustizia, animata dalla carità e temperata dall’equità, merita sempre l’aggettivo pastorale. Non ci può essere esercizio di carità pastorale che non tenga conto, prima di tutto, della giustizia pastorale [7].
La chiara istruzione di Papa San Giovanni Paolo II è quanto mai opportuna nell’attuale crescente crisi della disciplina ecclesiastica. Esprime quello che è stato l’insegnamento e la pratica costante della Chiesa riguardo alla misericordia e alla giustizia, alla cura pastorale e all’integrità disciplinare.
Al servizio della giustizia nell’amore
Spero che questa piccola riflessione possa aiutarvi a comprendere lo stato attuale del diritto canonico nella Chiesa. In un periodo di crisi, sia all’interno della Chiesa che nella società civile, è essenziale che il nostro servizio alla giustizia sia saldamente radicato nella verità della nostra vita in Cristo nella Chiesa, che è il Buon Pastore che ci insegna, ci santifica e ci disciplina nella Chiesa. Non c’è quindi alcun aspetto della disciplina perenne della Chiesa che possa essere trascurato o addirittura contraddetto senza compromettere l’integrità della cura pastorale esercitata nella persona di Cristo, Capo e Pastore del gregge in ogni tempo e luogo.
Per i meriti di Cristo Giudice dei vivi e dei morti e per l’intercessione della Beata Vergine Maria, Sua Madre e Specchio della Sua Giustizia, possa ciascuno di noi rimanere fedele e saldo nel servire la giustizia che è la condizione minima ma insostituibile dell’amore di Dio e del prossimo.
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[1] Vedi Canon Law Society of America, Code of Canon Law: Latin-English Edition, New English Translation, Washington, DC: Canon Law Society of America, 1998, p. xxvii. [Di seguito, CCL-1983].
[2] CCL-1983, p. xxviii.
[3] CCL-1983, p. xxix.
[4] Cfr. Mt 5,17-20.
[5] CCL-1983, p. xxix.
[6] Allocuzioni papali alla Rota romana 1939-2011, ed. William H. Woestman (Ottawa, Facoltà di Diritto Canonico, Saint Paul University, 2011), pp. 210-211, no.4. [Di seguito, Allocuzioni].
[7] Allocuzioni, p. 211, n. 4.
Fonte: cardinalburke.com