Santità è purezza / Rileggendo san Giovanni Bosco. 4
di don Marco Begato
Necessità della purezza
Il fondamento antropologico, che fa della cura della purezza un compito altamente umano e non un semplice richiamo morale, emerge anche dai richiami di sant’Agostino: “L’uomo è quel che è il suo amore. Ami la terra? Sei terra”. Il problema è che noi “dappertutto troviamo della terra: ne troviamo nel mondo che abbiamo abbandonato, ne troviamo nel corpo e nei sensi”. Qui don Ricaldone inizia a rivolgersi sempre più esplicitamente ai suoi religiosi, sono loro ad aver “abbandonato il mondo”. Ma i suoi consigli valgono, mutatis mutandis, per ognuno di noi. Continua don Ricaldone: “È la terra che macchia e imbratta la purezza; perciò è dovere nostro tenercene lontani”.
Separazione dal mondo
“Il mondo, scrive don Bosco, è come un mare burrascoso, in cui l’iniquità e la malvagità sono dappertutto portate in trionfo”. Fuggire il mondo è dovere del religioso, ma in generale è compito di ogni cristiano. Anche perché, come ricorda santa Maria Maddalena de’ Pazzi, “la grazia della vocazione è la grazia più segnalata che Iddio concede ad un’anima dopo quella del Battesimo”. Il che significa che ogni battezzato è destinatario di una grazia ‘segnalata’ e deve custodirla a ogni costo. Tra i molti consigli che ne derivano, e che tornano utili in primis ai consacrati, spiccano alcune raccomandazioni buone poi per tutti: “Ogni volta che per gravi ragioni dovremo tornare al mondo, consideriamoci come estranei e pesci fuor d’acqua”. Credo che ogni battezzato, trovandosi a contatto col mondo contemporaneo, contenitore e promotore di qualsivoglia licenziosità e trasgressione, possa far proprie le indicazioni testé riportate da don Ricaldone. E aggiunge il quarto successore di don Bosco (scrive negli anni Trenta!): “Vorrei che in questi tempi, nei quali con un consolante risveglio religioso e morale, vediamo con pena profonda ridestarsi procaci e insolenti certe forma di paganesimo e di sensualismo, noi riducessimo al minimo possibile i nostri ritorni al mondo”. Ecco, un secolo più tardi noi non vediamo nessun risveglio religioso, mentre il sensualismo è divenuto legge (pensate all’introduzione del programma LGBTQ nelle scuole!). “Disgraziati coloro che non ne fossero persuasi”, la conclusione è di don Ricaldone e non di don Bosco, ma credo che il Fondatore approverebbe. Del resto, per don Bosco il compromesso con la purezza è una disgrazia, quindi è lineare considerare disgraziati quanti, abbracciando il mondo, smarriscano la propria purezza. Teniamo da conto questo giudizio: disgraziati. Quando vedremo sempre più crescere i frutti del ‘sensualismo’ tra i nostri giovani e meno giovani, pensiamo se non gli si addica perfettamente tale etichetta. Disgraziati.
Rinunzia di sé stesso
Don Ricaldone dedica alcuni paragrafi al rischio delle vacanze, il riferimento è alla rigida disciplina religiosa che sconsigliava di lasciare il convento per tornare in famiglia. Vacanze a parte, subito si individua una radice più profonda e più delicata della questione: “Lasciare la Patria, distaccarsi dalle nostre cose più care, dalle persone amate, dagli stessi genitori è certamente un sacrificio grande, ma ben più arduo e penoso è lasciare noi stessi”. L’alternativa al compromesso col mondo che ci priva della purezza, sta certo in una custodita modestia di stile e di ambienti, ma prima ancora sta nell’avveduto rapporto con noi stessi. Viene da pensare alle mode sessuali contemporanee, ammantate di diritti e di rivendicazioni: in quanti casi i protagonisti di tali licenziosità sono modelli di rinuncia a sé stessi? In quanti casi sono esempi di attaccamento esasperato al proprio io? “Il più grande nemico della purezza, ripetiamolo, è sempre dentro noi stessi. Siamo impastati di meschinissimo fango”. Al contrario dunque “l’anima perfezionerà la sua purezza a misura che si separi da ogni elemento che possa inquinarla”.
A tal fine è curioso scoprire alcuni consigli di don Bosco, ripresi dal suo successore: “Mentre egli vuole che si rafforzi il corpo, per rendere l’anima più atta a meglio servire il Signore e perciò condanna, ad esempio, le veglie che debilitano il cervello, consiglia anzi vuole altresì tutto ciò che può contribuire a crocifiggere la carne”. E quindi bisogna saper fare rinunce e privarsi di immagini e pensieri che possano favorire le impurità, ma anche custodirsi in salute evitando ciò che può strapazzare il corpo. Penso al nostro ritmo di vita contemporaneo, all’inversione di giorno e notte, agli after giovanili, a tutto ciò che si vede via web partendo dalla più tenera età e mi accorgo del fossato enorme ormai scavato tra il modus vivendi delle nostre generazioni e i consigli del santo patrono della gioventù.
Don Ricaldone introduce a questo punto delle riflessioni sulla mortificazione e sulla morte. Si tratta certamente di pensieri molto forti, in quanto rivolti a dei religiosi. Li riprendiamo con attenzione, sapendo che essi risulteranno scomodi al cristiano ordinario, ma forse anche al religioso contemporaneo. Notando al contempo che tali pensieri riguardano verità che non tramontano e che, sia pur con sfumature e sottolineature da rimodulare, ci riguardano ancora e molto da vicino. In primo luogo si riprende “il celeste programma tante volte inculcato da don Bosco ai suoi figliuoli esortandoli alla preghiera, alla vigilanza, alla mortificazione dei sensi, alla temperanza, alla penitenza senza di cui è impossibile conservare la purezza”. L’ideale della purezza è fondamentale nella pedagogia salesiana e nella costruzione dell’uomo cristiano: non è un dato di natura, ma è un compito la cui conquista chiede importanti sforzi. Con buona pace di chi ancora è convinto che il cristianesimo sia cosa per bambini e per sempliciotti, ci accorgiamo invece che esso segna un percorso avvincente nel quale tutta la maturità e la responsabilità della persona sono chiamate a raccolta. Per san Francesco di Sales il tutto si sintetizza nel motto morire a sé stesso: “Bisogna che noi viviamo una vita morta e che moriamo di una morte vivente, che vive con la vita del nostro Re e del nostro amabile Salvatore”. Oggi più che mai diviene evidente che vivere da cristiani implica un taglio netto con la vita dei nostri contemporanei: morire a sé stesso! Oggi più che mai, tra le seduzioni e le comodità, un taglio di tale specie si riesce a fare solo se è chiaro il motivo, anzi la Persona per cui vogliamo farlo: il Signore e Redentore Gesù. Qualsiasi altro discorso sull’accoglienza e la compassione ha valore propedeutico e in sé rimane incompleto, se non è rivolto a risvegliare nelle genti il ricordo e l’amore per Cristo, dal che discende ogni altra scelta di vita buona. Parlare di purezza ci spinge allora inevitabilmente a rilanciare l’evangelizzazione esplicita e l’annuncio aperto di Cristo al mondo.
“Un pensiero, o figliuoli carissimi, che ci renderà più facile la mortificazione del corpo è quello della morte, così insistentemente raccomandato da don Bosco. La morte infatti ci mette innanzi la miseria e il nulla di questa nostra carne corrotta, la quale, appena separata dall’anima, perde il nome stesso di corpo per chiamarsi cadavere, ed in seguito perde anche questo nome per non averne più nessuno”.
L’alternativa è scomodissima, ma chiara. Si può scegliere di vivere per la carne e i suoi istinti, sapendo che ciò ha come ultimo destino visibile lo stato di cadavere e poi di cenere e poi di niente. Oppure si può mortificare la carne, per purificare lo spirito, custodire la purezza per garantire la bellezza della vita spirituale in eterno. Riflessioni superate? Purtroppo la sostanza cui si riferiscono non è superata per nulla.
4.continua