di don Marco Begato
Andando a concludere la lettura della strenna di don Ricaldone, incontriamo alcuni suggerimenti pratici finalizzati alla difesa della castità in contesto educativo.
L’assistenza a custodia della purezza
Troviamo dapprima un principio di rara bellezza educativa: “Nelle case salesiane tutti senza eccezione sono assistenti”. L’educazione non può mai divenire appannaggio di pochi, ma deve sempre essere compito di tutte le figure che agiscono in un contesto giovanile. Per assistenza i salesiani intendono la presenza di educatori in ogni momento e luogo degli istituti educativi (dalle aule, ai cortili, alle mense, etc.), allo scopo di vigilare sui ragazzi e promuovere la loro buona condotta. In particolare “coll’assistenza e nell’assistenza si svolge la duplice opera nostra di preservazione e di formazione. La sorveglianza infatti non è solo la manifestazione e il controllo dell’amore, ma la difesa e la custode della purezza”. La proposta educativa di don Bosco, coerente con l’annuncio evangelico, è quella di una comunicazione di amore vivido e concreto, ma tale amore non si può rettamente apprezzare se non in una rigorosa difesa della purezza. Senza purezza non si avrà l’amore cristiano-salesiano, ma solo forme di scompostezza, malizia, confusione. Su questo don Bosco e i suoi figli non hanno mai mostrato tentennamenti nella loro Tradizione.
Lo sguardo antropologico del Santo educatore lo portava a ritenere che “i giovani lasciati soli sono esposti a corrompersi: basta una parola, un gesto di un compagno per far avvizzire o stroncare il giglio della purezza da cuori fino allora innocenti”. Di qui discende l’attenzione specifica pedagogica: “A don Bosco ciò che più premeva era appunto che, nell’anima dei suoi giovani, brillasse il candore della purezza”. Lo ripetiamo, tutto questo non indica una fissazione sessuofobica da parte del santo torinese. Più radicalmente, don Bosco sostiene che senza purezza non è possibile vivere la pienezza delle relazioni e dei sogni, né conformare la propria vita a un ideale di amore cristiano. In tale prospettiva, reputo non sorprendente che i critici anticlericali non riescano a cogliere il vero senso della morale sessuale cattolica, intrisi di pensiero laicista e materialista, e riducano tanto sovente le loro denunce anticattoliche a qualche stigma di sessuofobia. Va però detto per onestà che a volte gli stessi cattolici non si sono mostrati consapevoli della profondità della propria visione e hanno reso superficiali e strumentalizzabili i loro approcci educativi più tradizionali.
Sintetizzo con termini miei: una gioiosa purezza è guida a vivere l’amore pieno annunciato da Cristo; e viceversa, chi ambisca a raggiungere il livello di amore promesso da Cristo, non può prescindere dalla custodia della purezza.
Comprendiamo allora la testi finale del paragrafo: “L’assistenza come l’intese don Bosco dovrebbe raggiungere questa magnifica finalità, mettere gli allievi nell’impossibilità di commettere mancanze”. Non per una ricerca di perfezionismo, ma perché l’assenza di mancanze significa impedire di “appannare la purezza dei cuori”, e questa a sua volta è richiesta perché i cuori possano crescere nella comunione amorosa del Cristo.
Se mi è concessa una breve digressione, leggevo con interesse un commento del cardinale Robert Sarah riguardo all’orientamento ecclesiale portato da san Giovanni Paolo II nel suo pontificato: “II Papa fonda l’impegno degli uomini del nostro tempo sulla sequela di Cristo” e con ciò ci chiede di cercare “delle risposte senza più adottare come criterio la politica, la sociologia, o l’antropologia, ma rivolgendosi all’uomo ferito e redento proprio come la fede lo presenta” (Robert Sarah, Per l’eternità, Cantagalli, p. 96 ). Vi è una profonda continuità ecclesiale se guardiamo il cammino della Chiesa e dell’umanità nella prospettiva del loro essere chiamati, fin nei più piccoli gesti del quotidiano, a portare il proprio cuore in comunicazione col Cuore del Redentore. Questo può dunque aiutarci a comprendere meglio, a rivalutare e ad applicare nel più corretto e profondo dei modi le attenzioni che il passato ecclesiale ci consegna, a buon pro degli uomini di oggi.
Ecco emergere il profilo dell’educatore “che non cerca carezze, ma spende ogni sua energia fino all’eroismo, come lo sa praticare la madre cristiana, pur d’instillare nel cuore dell’alunno i germi della virtù”. E in tale quadro, senza più alcuna confusione, “la carità sensibile di cui abbiamo parlato non si lascerà mai attirare dalle grazie giovanili, non si arresterà alle sembianze esteriori, ma andrà diritto all’anima”.
Santa intransigenza
Continuando il discorso precedente si comprendono sempre meglio i moniti di don Bosco: “Ricordatevi de moribus! Ecco tutto: salvate la moralità. Tollerate tutto: vivacità, sbadataggine, ma no l’offesa di Dio e in modo particolare il vizio contrario alla purità”. Troviamo qui la summa e la regola aurea della pedagogia salesiana: “Solo in caso di moralità i Superiori siano inflessibili”. E in tal contesto don Bosco svela un tratto di fermezza sconosciuto ai più: “Meglio correre pericolo di scacciare dalla Casa un innocente che ritenere uno scandaloso”. Fino a dare un criterio che fa tremare: “Piuttosto che si commettano peccati contrari alla purezza, è meglio chiudere la Casa”.
A corona di tali riflessioni, e a riprova del fondamento teologico-antropologico delle stesse, vale la seguente considerazione di don Ricaldone: “Guai se si badasse a tutto il resto, si pretendesse esattezza in tutti i doveri e poi si rimanesse indifferenti al vedere la balaustra quasi deserta (le file della Santa Comunione a Messa disertate, N.d.R.), i giovani che non pregano, non amano le funzioni e non desiderano appartenere alle Compagnie (i gruppi di impegno umano e cristiano, N.d.R.)”, ma perché tale allarme nelle parole del Rettor Maggiore? È presto detto ed è in sintonia con la linea di don Bosco, il problema è che in simili situazioni, laddove la vita religiosa e di fede non è curata, “la moralità di certo non può essere elevata”.
7.continua