Origine e implicazioni della parola “ecologia”
di Carlo Alberto Agnoli e Paolo Taufer
In questo momento storico in cui la parola “ecologia”, sotto l’impulso assillante dell’Onu e dell’Ue, e anche della massima autorità della chiesa conciliare, è diventata il tema quasi esclusivo della politica internazionale, al punto che in suo nome – basti citare l’Agenda 2030 – si vuol cambiare radicalmente il corso della storia, aprendo una vera e propria “Nuova Era” in una prospettiva esclusiva e totalitaria non solo filosofica, ma addirittura religiosa, stupisce il fatto che, sul piano mediatico – almeno a nostra conoscenza – nessuno si sia preso la pur facile briga di risalire alle illuminanti origini di questo abbastanza recente vocabolo e della concezione del mondo ad esso sottesa. Senza questa consapevolezza è impossibile orientarsi su quanto accade oggi nel mondo.
Per rimediare a questa sorprendente lacuna ricordiamo che la parola ecologia, con tutte le sue principali implicazioni dottrinali, fu coniata nel 1866 da Ernst Haeckel (1834-1919), professore di zoologia all’università di Jena. Nelle sue intenzioni, come scrive lo storico della filosofia Nicola Abbagnano, quella parola indicava “una nuova filosofia destinata a soppiantare ogni filosofia e religione”. Lo sfondo dottrinale era quello evoluzionistico di Darwin e, 24 secoli prima di lui, di Anassimandro, che Haeckel completa estendendolo, appunto come Anassimandro, dagli esseri viventi fino alla materia inerte. Il formidabile insondato abisso fra quest’ultima e la vita fu da lui disinvoltamente scavalcato ricorrendo, proprio come Anassimandro, all’animismo. A suo dire infatti ogni atomo di materia inorganica sarebbe dotato di sensibilità e volontà e quindi vivente. In questo ordine di idee il mondo gli appare come il grande animale vivente di Platone e la terra come la Terra Madre, la dea Gaia della religione New Age. Haeckel, infatti, si proclama insistentemente e orgogliosamente “panteista”; “l’intero cosmo – egli scrive – è immortale” e come tale assoluto, divino.
In realtà quando Haeckel scrive il suo “vangelo” era stata scoperta, da tempo, sin dal 1831, la seconda legge della termodinamica secondo la quale l’entropia dell’universo è in continuo aumento e il cosmo è quindi avviato alla morte termica. Poiché – ed egli lo riconosce – non può morire se non ciò che è nato e l’universo non può essersi fatto da sé, Haeckel nega la pur pacifica valenza cosmica di questa legge perché contraria al suo dogma panteista e comunque, a conferma della propria tesi, professa la dottrina presocratica e platonica dei cicli cosmici in eterno ritorno. Anche per quanto riguarda la struttura dell’universo Haeckel ritorna agli antichi: per lui, come per Aristotele, l’universo è tutto pieno di sostanza: l’etere, la quintessenza appunto aristotelica: Galileo e Torricelli vengono così tacitamente archiviati (o ignorati?) due secoli e mezzo dopo l’invenzione del barometro che, col suo vuoto, dimostra l’esatto contrario della fisica aristotelica.
Haeckel non si contenta di esaltare il trasformismo darwiniano ma vi apporta il suo contributo sostenendo che lo sviluppo dell’embrione umano ricapitolerebbe le varie tappe della sua asserita origine animale (l’ontogenesi – egli dice – riproduce la filogenesi). Per dimostrare questa “legge” il Nostro disegna una tavola comparativa di embrioni umani e animali con opportuni manipolatorî ritocchi, o falsificazioni che dir si voglia.
Non si può capire nulla di Haeckel e della sua ecologia se non si tiene presente che la sua opera è tutta permeata da una assillante esaltazione anticristiana e più specificamente anticattolica. Certo, il culto della Dea Natura è l’esatto contrario di quello del Dio Creatore, che pure costituisce l’esplicita premessa dottrinale del pensiero di Galileo e del suo metodo sperimentale, ma un odio così profondo e insistentemente ribadito sembra travalicare i limiti dialettici della pur radicale divergenza dottrinale: per Haeckel il cattolicesimo è l’abisso di ogni perversione, la fonte di ogni male, la più abominevole di tutte le superstizioni.
A questo punto per un necessario inquadramento dottrinale dell’ecologismo è necessario ricordare che il culto della Dea Natura non nasce certo con Haeckel: esso era stato addirittura religione di stato con la Rivoluzione francese. Basti qui ricordare che nel 1793, l’anniversario della presa della Bastiglia venne celebrato nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi dove “l’altare maggiore era stato sostituito da una montagna di terra dall’alto della quale un’attrice vestita di una tunica bianca a mo’ di sacerdotessa druida intonava l’Inno alla Natura di François-Joseph Gossec: Descends o Liberté, fille de la Nature! / Le peuple reconquis son pouvoir immortel / Su les pompeux débris de l’antique imposture / Ses mains relèvent ton autel”.
Non possiamo chiudere questa sintesi senza osservare che nel contesto panteistico-monistico dell’ecologismo in cui la Natura in tutte le sue forme è divina non vi sono gradi e gerarchie: l’uomo appare bensì assolutizzato e divinizzato ma al pari di ogni altro ente di Natura: “l’Uomo dell’Età dell’Acquario – si legge in un catechismo New Age – è colui che comprende di non essere un’entità separata dal resto del ‘creato’ (sic) ma una parte integrante di tutto ciò che esiste. Sorge allora la consapevolezza nell’uomo di non essere più importante di un albero, di un fiore o di un filo d’erba”.
Nell’unità panteistico-monistica scompare ovviamente, e per prima, con ogni altra distinzione quella fra bene e male, vero e falso.