di don Marco Begato
Tre consigli
La strenna termina con tre consigli che favoriranno la custodia della purezza. Il primo è relativo alla “decenza nel vestire”. Già allora iniziava la moda di accorciare gli abiti, ma “che cosa direbbe di certi collegi dove la totalità dei giovani porta calze cortissime e calzoncini che si direbbero costumi da bagno?” Il secondo concerne le “affezioni sensibili” e comprende l’avviso a evitare “la familiarità con persone dell’altro sesso, né mai contrarre amicizie particolari coi giovani”. L’educatore, cioè, sia in confidenza con tutti, ma non faccia mai preferenze e non stringa amicizie esclusive con alcuni alunni solamente. “Don Bosco non ristà nel ripeterci che l’amore si dimostra con le immolazioni e non con svenevolezze: l’amore che non educa è corruttore”. Infine si lascia una “precauzione doverosa” e consiste nel mantenere forte “riguardo alla delicatezza, alla sensibilità dei giovanetti ed al pericolo di impressionarli poco favorevolmente”. Concretamente si riporta l’esempio del Santo: “L’amore che portava il Servo di Dio ai giovani era più che paterno; tuttavia non mai faceva loro una carezza, né baci, né abbracciamenti. Non lo vidi mai accostare al suo seno alcun giovanetto”. E da ciò si capisce meglio “quanto spiritualmente sensibile egli intendeva che fosse l’amore, la carità nostra verso i giovani”.
Educazione della purezza
La strenna non manca di parlare di corsi di sessualità, come li chiameremmo oggi. Il parere di don Ricaldone è netto: “Il nostro atteggiamento deve essere unicamente quello che don Bosco ci ha tramandato”. Don Ricaldone proibisce nettamente tali corsi. L’alternativa all’epoca era tra una educazione ordinaria alla castità oppure i nuovi corsi in cui si parlasse apertamente di sessualità a giovani, che altrimenti non ne avrebbero sentito trattare. Altri tempi? Certo che sì, ancora lontani dalla Rivoluzione Sessuale (una delle più disastrose insieme alla contemporanea Rivoluzione Psichedelica). Ma non tempi ottusi, ecco l’argomentazione di don Ricaldone, utile come criterio anche nei nostri anni moderni: “Ciò che io intendo riprovare è anzitutto l’insegnamento collettivo, la mania di illuminare, la poca riservatezza nel trattare argomenti di tal natura”. Al contrario si avverte l’opportunità di una formazione personale, che introduca alle questioni senza cedere a curiosità immodeste, mantenendo quella riservatezza utile a rispettare la sacralità del tema. In fondo non stupisce, e anzi conferma l’intuizione di don Ricaldone, vedere oggi il sesso banalizzato: del sesso oggi non si ha nessun concetto sacrale. Quanto alla fine che ha fatto l’idea di amore, meglio soprassedere.
Si non est castus nihil est
La circolare si chiude con questo titolo in latino. È quanto affermava san Tommaso di Villanova attorno al sacerdote: “Sia egli pio, fervente, devoto; sia pure egli umile; sia quello che si vuole; se egli non è casto non è proprio nulla”. A completamento don Ricaldone dichiara: “Noi possiamo aggiungere: se il salesiano è casto, è tutto”. E dunque, continuando ad attingere agli esempi di don Bosco, il rettor maggiore ci augura “possano questi pensieri, colti dalla vita, dalle parlate, dai sogni e dalle illustrazioni soprannaturali del nostro Santo far comprendere a tutti i suoi figli la grandezza, la bellezza e la fecondità dell’angelico programma della purezza di vita e stimolarli a praticare con gli stessi ardori serafici del Padre che solennemente ce l’ha affidato e solennemente ce l’affida come ricordo della sua canonizzazione”.
Conclusioni
Abbiamo rivisitato insieme i passaggi principali della strenna Santità è purezza, messaggio composto dal rettor maggiore dei salesiani, don Pietro Ricaldone, nel 1935, a commemorare la canonizzazione di don Giovanni Bosco. Questo testo ci ha permesso di riscoprire il grande valore dato alla purezza e alla castità da san Giovanni Bosco e dalla tradizione educativa sgorgata dal suo carisma. Senza oltre dilungarmi, e anzi scusandomi per i commenti forse banali che ho disseminato in queste pagine, farei due annotazioni puntuali.
Anzitutto, in questo scritto abbiamo potuto respirare insieme quale sia la visione specifica del cattolicesimo in materia di educazione alla sessualità: essa è fondamentalmente una educazione alla purezza, una custodia dei sensi finalizzata alla maturazione spirituale. Credo che sia strategico riappropriarci delle nostre buone tradizioni e della nostra cultura specifica. Troppo spesso il cattolico medio non si distingue da un generico pensatore illuminista. La differenza tra un cattolico e un illuminista non può ridursi al fatto che il primo va a Messa e dice il Rosario, mentre il secondo no. La differenza deve avvertirsi nel modo di leggere la realtà, di pensare la vita, di organizzare le azioni: così la frequenza dei sacramenti e la preghiera mariana saranno restituiti al loro contesto vitale proprio. Altrimenti saranno una guarnizione esterna, senza futuro.
In secondo luogo, questa visione specifica dovrà essere messa alla base delle nostre azioni di evangelizzazione del mondo contemporaneo. E quindi qualsiasi discorso che si riferisca alla sessualità – penso alla moda LGBTQ – dovrebbe essere vagliato al cospetto degli imperativi della purezza. E se partiamo da tale approccio, se inizieremo a dare il nostro contributo sociale muovendo dall’appello alla castità, riusciremo a dare una risposta che sia autenticamente nostra, veramente utile al mondo contemporaneo, capace di arrivare alla radice di molti problemi. Perché sarà una risposta che, tramite l’argomento della purezza, riporta gli interlocutori al senso del loro rapporto con Cristo. Certo, proprio per questo, andrà messa a tema la possibilità che gli uomini non accolgano la luce (cfr. Prologo di san Giovanni). E andrà accettata la possibilità che la nostra predicazione risulti sterile (cfr. la missione di Geremia profeta). Del resto Cristo stesso non ha mai fatto saltare questa dinamica. Si è consegnato fino alla morte, a chiunque, ma non ha potuto obbligare i lontani ad accogliere la Luce. Tanto più ciò vale per noi, suoi seguaci. Possiamo donare ai lontani la Luce di Cristo, ma non imporgliela. D’altra parte, possiamo donare loro tutto noi stessi, solo a condizione di donargli lo stesso Cristo. Al contrario, portare i nostri pareri personali e negare l’autentico annuncio di Cristo al prossimo vanifica il valore del nostro dono e lo trasforma in un tradimento anziché in una consegna.
8.fine