Miracoli di Duc in altum: ospitare, io interista, la lettera di uno juventino. Ma cosa non si fa per la nostra Chiesa…
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Caro Aldo Maria,
nel tuo articolo “Tifare per la Chiesa” tocchi due argomenti che mi appassionano: la vera Fede e la fede calcistica. Più precisamente, il tradimento di entrambe le fedi.
Sono nato in Perù, figlio di genitori italiani, cattolici e juventini. Cattolici un po “distratti” e juventini molto caldi. Loro mi trasmisero le due fedi. Quella vera un po’ timidamente e quella calcistica con molta forza. A casa nostra non c’era bisogno della tivù a colori. Era uno spreco. Sufficente la tivù in bianco e nero. E io, in senso contrario al tuo, imparai a “odiare” (si intende, sportivamente) le strisce nerazzurre e il consueto e insopportabile vittimismo interista (scusa la sincerità).
Parellelamente, mio fratello dieci anni maggiore di me, tifoso dello Sporting Cristal di Lima, mi fece diventare di quella squadra nei primi anni della mia infanzia. Ma, a dodici anni, quando iniziai a giocare nei pulcini della più grande squadra peruviana, Universitario de Deportes, più conosciuta come la “U” o “los cremas” (equivalente a dire i bianconeri o i nerazzurri, per i colori), la maglia mi si attaccò al corpo, al punto che i miei globuli diventarono rossi e “cremas” (beige), non più bianchi. Arrivai a giocare nella primavera della “U”, e quando sfumò il sogno di diventare un calciatore professionista, il tifo per la “U” …. e per la Juve, continuò fortemente. Essere dello Sporting Cristal fu come essere stato calcisticamente protestante, e diventare della “U” fu come scoprire la pienezza della fede calcistica. La nostra tifoseria è unica.
Per quanto riguarda la vera Fede, questa, con alti e bassi durante l’adolescenza e la gioventù, fu un crescere e un maturare a poco a poco, fino a diventare con il passo del tempo la cosa più importante della mia vita. Questa crescita spirituale nella vera Fede, che continua giorno dopo giorno, pian pianino, per la Grazia di Dio, tramite bravi preti e la testimonianza di veri cattolici laici (come te, tra gli altri), mi sta facendo capire che siamo stati creati per amare Dio, per corrispondere al Suo Amore partendo dalla nostra piccolezza, amando anche il nostro prossimo e i nostri nemici (interisti compresi!), cosa molto difficile.
La situazione odierna della Chiesa la conosciamo bene. La Passione di Nostro Signore la deve vivere anche il Suo Corpo Mistico, e anche
da noi in Perù ci sono i “lupi travestiti da pastori”. Uno di questi è il prete che celebrò la Messa del mio matrimonio vent’anni fa, nel 2003.
Mia moglie ed io frequentavamo la Messa delle dieci e trenta della domenica nella chiesa Santa María Reina, nel quartiere di San Isidro a Lima. Questo prete dell’ordine religioso a marianista aveva un modo da fare “molto simpatico”, “campechano”, come diciamo in Perù, cioè semplice, affabile, alla mano. In più, era un bravo oratore. Ci conquistò. Allora, non eravamo al corrente dei problemi interni della Chiesa, non avevamo una formazione catechetica solida e non sapevamo leggere “entrelíneas” (tra le righe) il significato delle sue prediche eterodosse. Era così simpatico che, persino, lo invitammo una sera a cena a casa nostra. Diventò nostro amico.
Un giorno, nel 2005, comperai la rivista “Caretas”, settimanale molto conosciuto in Perù, e occhieggiando le lettere dei lettori ne scoprii una di un “cattolico omosessuale” che si lamentava di non aver ricevuto l’assoluzione sacramentale da parte di un “prete anacronistico dell’ Opus Dei”, perchè conviveva da dodici anni con il suo “compagno”.
Decisi di scrivere alla rivista rispondendo a questo “cattolico spaesato”. Prima di iniviare la lettera, chiamai l’amico prete per chiedergli di dare un’occhiata a ciò che avevo scritto, per sapere se c’era bisogno di fare qualche correzione. La sorpresa fu grande quando mi sentii dire da lui: “Marco, ci sono cose più importanti di quelle sessuali. Io credo che se Gesù venisse oggi sulla Terra sposerebbe due omosessuali. La cosa importante è che siano fedeli, non promiscui”. Sorpreso, risposi: “Ma san Paolo è molto chiaro su questo argomento”. E lui: “Se ti raccontassi tutte le storie di san Paolo!”, e dopo sparò contro san Giovanni Paolo II, morto da poco, e contro Benedetto XVI. Molto doloroso. Questo diciott’anni fa.
Finì che lo denunciai all’ arcivescovo di Lima, in quel periodo il cardinale Juan Luis Cipriani.
Da allora aprii gli occhi e iniziai a vedere più chiaramente la deriva eretica che stava patendo la Chiesa, fatto che diventò più grave dal 2013 in poi, con un’accelerazione allucinante negli ultimi quattro o cinque anni.
L’ultima del rahneriano “prete amico”, seguace della sedicente Teologia della Liberazione (che non è teologia né libera) ce la raccontò una cara amica di mia moglie. Il giorno del Corpus Christi, nella predica, egli disse spudoratamente: “Dio è in tutto. Se vi fa felici credere che è in quel pezzo tondo bianco, va bene per voi”. Un’eresia detta con una violenza impressionante.
La sensazione è che a casa nostra ci sono invasori e impostori che hanno preso in mano l’organizzazione della casa e hanno deciso che si cucina nel bagno, ci si spoglia nel corridoio, si va di corpo e si piscia (scusate) nella sala da pranzo, e ci hanno mandato a dormire in giardino prima di cacciarci via (scomunica invalida, certamente). Ma noi dobbiamo tener duro, perché quella casa è nostra, e perché un giorno verrà il Signore a mettere ordine, a cacciarli via, a legare e gettare nel fuoco eterno quei “lupi travestiti da pastori”.
Il calcio continua a piacermi e interessarmi ma, grazie al Signore, con un po’ più di equilibrio, anche se non posso ancora considerarmi assolutamente libero da questa malattia, al punto che non posso fare a meno di dirti: tenetevi Lukaku!
Viva Cristo Re!
Marco Cattarini
Lima (Perù)