Cari amici di Duc in altum, molti di voi si saranno accorti che ieri nel corso della giornata ho tolto dal sito l’articolo di don Mattia Tanel dedicato a quello che lui definisce il “catacombalismo tradizionalista”. Il motivo? Ho dovuto verificare una notizia che vi era contenuta ed è poi risultata priva di riscontro. Mi scuso con tutti voi e con don Mattia: è stata colpa mia. Avrei dovuto verificare prima. Ma, come si sa, nessuno è perfetto, e il sottoscritto lo è men che meno. Riecco dunque l’articolo.
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di don Mattia Tanel
Caro Aldo Maria Valli,
stimolato da alcuni interventi di S.E. Mons. Viganò, ma soprattutto da esperienze e osservazioni personali di questi ultimi anni, vorrei approfittare dell’ospitalità di Duc in altum per condividere con i lettori, specialmente sacerdoti, la mia crescente perplessità in ordine alle attuali velleità di resistenza al modernismo in Italia.
Per quanto posso comprendere, mi sembra che soprattutto nel nostro Paese, così centrale per le sorti del cattolicesimo mondiale e proprio per questo particolarmente “attenzionato” dalla Santa Sede in termini di nomine episcopali e di repressione liturgica, le varie forme di reazione allo sfacelo post-conciliare e bergogliano (eccettuata la presenza, numericamente esigua e sulla quale mi focalizzerò al termine, della Fraternità S. Pio X) siano accomunate da un minimo comune denominatore che potremmo definire “catacombalismo”.
Elenco innanzitutto le cinque modalità o specie, a prima vista molto diverse tra loro, che a mio avviso si possono tuttavia raggruppare sotto questa etichetta generica.
1) Catacombalismo psico-settario. Ne fa parte in primis, nonostante il presenzialismo telematico del suo leader, il movimento “Piccolo Resto” legato a Minutella, ma anche altre esperienze meno visibili o più localizzate, alcune delle quali in “deriva settaria” da anni o persino da decenni, le quali hanno recentemente assunto il rito tradizionale della S. Messa come più adatto a caratterizzare la propria opposizione alla Gerarchia cattolica legittima (così settori dei “Cenacoli Serafici”, attivi dagli anni Sessanta al seguito delle rivelazioni della defunta ex suora Floriana De Marchi, o il movimento “Vera Chiesa” che fermenta da anni in Friuli al seguito di una sorta di Menocchio predicatore-esorcista laico, e molte altre esperienze minori nate da presunti carismatici che cercano, spesso con successo, di coinvolgere sacerdoti nella celebrazione della Messa tradizionale per i loro gruppi). Va da sé che questo tipo di movimenti si muove in una logica privatista e secessionista per sua intima natura, il che non esclude talvolta l’impiego di siti o canali telematici per la propaganda e il reclutamento degli adepti.
2) Catacombalismo privato. Sono ormai centinaia in tutta Italia i piccoli centri di Messa tradizionale clandestini, allestiti in appartamenti, capannoni, edifici para-scolastici, masserie, alberghi. La maggior parte di queste realtà è nata con la chiusura dei luoghi di culto in occasione della c.d. pandemia, ma ha ricevuto un ulteriore impulso dalla successiva soppressione di un certo numero di Messe tradizionali “autorizzate” a seguito del motu proprio “Traditionis Custodes” del 16 luglio 2021. In ogni caso, già a partire dal lockdown di marzo-maggio 2020, la maggior parte di queste realtà ha adottato spontaneamente la Messa tradizionale, anche perché sacerdoti e fedeli propensi a questo tipo di celebrazione sono stati statisticamente i più refrattari al proibizionismo sanitario in auge. Ad officiare questi luoghi, inizialmente improvvisati ma spesso tuttora carenti o addirittura impresentabili sotto il profilo della suppellettile liturgica e del servizio, sono sacerdoti perlopiù diocesani, biritualisti, che si avvicendano con varia frequenza nella celebrazione della Messa bassa, in rari casi della Messa cantata. I Vescovi dei luoghi interessati simulano forse in alcuni casi di ignorare il fenomeno (che vorrebbe passare inosservato) in quanto giudicato innocuo non tanto sotto il profilo numerico, quanto in virtù della sua stessa programmatica “inesistenza”. A capeggiare questo tipo di attività sono dei laici, spesso i proprietari dei locali adibiti a cappelle, cosa che impedisce qualsiasi vera azione pastorale da parte del “giro” di sacerdoti implicati, oltre a distinguere tale tipologia dalla successiva.
3) Catacombalismo individualista. In questo caso sono singoli sacerdoti o religiosi a prendere l’iniziativa più o meno stabile di gestire Messe antiche “clandestine”, ritiri, incontri di catechesi o altro, in una dimensione ovviamente sottratta all’approvazione e al controllo dei rispettivi Ordinari. Qui è il singolo sacerdote (o al massimo un piccolo gruppo di sacerdoti) a fungere da punto di riferimento organizzativo e a garantire un sia pur minimo coefficiente di “ecclesialità” di tali raduni, dei quali non pochi si svolgono a porte chiuse in normali chiese parrocchiali. Molti di questi sacerdoti (come quelli incontrati al punto 2, rispetto ai quali può verificarsi una certa osmosi) abbracciano la logica, più volte espressa in particolare da S.E. Mons. Schneider, di una “disobbedienza lecita” alle attuali misure vessatorie nei confronti della liturgia tradizionale, disobbedienza che rimane però consegnata a una dimensione rigorosamente celata (nicodemismo), con un profilo presbiterale pubblico caratterizzato in modo oggettivamente contraddittorio da una passiva adesione allo status quo dottrinale, liturgico e pastorale e dall’assolvimento di ordinarie mansioni in seno alla propria Diocesi o Ordine religioso di appartenenza. Non può essere ignorato, inoltre, il rischio di protagonismo a cui un tale modus operandi può condurre il sacerdote anche meglio intenzionato, sottoposto alla tentazione di porsi come unica istanza realmente affidabile nella sua cerchia più o meno ampia di happy few.
4) Catacombalismo tollerato (apostolati degli Istituti “ex Ecclesia Dei” e dei sacerdoti diocesani, appunto, tollerati). La differenza specifica di questa quarta categoria è il carattere pubblico e autorizzato della S. Messa tradizionale e – in situazioni rarissime – della celebrazione degli altri Sacramenti in rito antico. I sacerdoti che agiscono in questa logica riconoscono con ciò stesso il carattere temporaneo e octroyé (puramente concesso) della loro permanenza sulla scena ecclesiale, che viene in ogni caso giustificata sulla base di una preferenza soggettiva. Essi tacciono nella predicazione e nei contatti con gli Ordinari del luogo su tutti gli argomenti dottrinali che, se affrontati con franchezza, condurrebbero inevitabilmente i loro apostolati alla soppressione; perlopiù si prestano – o si prestano in loro vece i rispettivi Superiori – alla celebrazione del rito di Paolo VI e/o alla concelebrazione. Solamente all’interno di circoli di fedeli “ben orientati” questi sacerdoti sono finalmente liberi di diffondere le loro vere prospettive sulla situazione della Chiesa e su specifici aspetti di dottrina, morale e liturgia, ancora una volta in una logica di nicodemismo o di “esoterismo sui generis” che motiva la loro ascrizione alla modalità catacombale di reazione al modernismo gerarchico. Che tali prospettive coincidano effettivamente con la dottrina cattolica, è cosa più frequente del suo contrario e non più; esaminando, anzi, la posizione dei sacerdoti e delle comunità “tollerate” in una prospettiva de iure, nella piena ortodossia dei singoli si ravvisa un’incoerenza.
Naturalmente non fanno parte dei tollerati (in quanto specie del genere “catacombalisti”) quei pochissimi sacerdoti che, pur mantenendo la regolarità dal punto di vista canonico, sono riusciti (molto spesso “sgomitando” per anni con i propri Ordinari) ad assicurarsi la possibilità di un apostolato pubblico del tutto alieno da compromessi dottrinali e silenzi forzati. Gli esempi sono più unici che rari in Italia, un po’ meno infrequenti all’estero.
5) Catacombalismo movimentista. Ormai in Italia identificato con l’azione di S.E. Mons. Viganò, tale prospettiva comprende anche l’azione di S.E. Mons. Williamson e dei vescovi da lui consacrati. Tra i preti ordinati da Viganò e i preti della “Resistenza” pare esservi ormai una distinzione abbastanza nominale, dati i reciproci contatti e il carattere non istituzionale di entrambi i movimenti. Lo stato di necessità è invocato da questi Presuli e dai loro seguaci a giustificare una modalità d’azione inedita, “guastatrice”, fatta di ordinazioni sacerdotali e persino episcopali “anonime” e dalla messa in circolazione di sacerdoti canonicamente acefali o dall’erezione/cooptazione di comunità religiose maschili e femminili vicendevolmente autonome, per quanto tendenti a una cooperazione di tipo estrinseco. Spesso la concreta pastorale che i movimentisti esercitano non differisce molto da quanto illustrato ai punti 2 e 3. Nel peculiare “vedo/non vedo” che caratterizza questa tendenza, fatta di proclami pubblici altisonanti e di segretezze motivate da ragioni di prudenza e sicurezza, a una mancanza di chiarezza circa gli aspetti economici, organizzativi ed apostolici si aggiunge quella riguardante il discernimento vocazionale. I sacerdoti cooptati o i novelli ordinati “entrano nel giro” per conoscenza/raccomandazione, conseguenza inevitabile dell’assenza di vere istituzioni formative, di organici percorsi accademici e spirituali e in definitiva delle fisiologiche istanze di verifica prescritte dal diritto e dall’esperienza della Chiesa.
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Contrariamente a quanto potrebbe apparire, non è mia intenzione formulare un giudizio assolutamente tranchant circa la maggior parte di queste modalità “reattive”, di cui ogni osservatore in buona fede credo debba innanzitutto riconoscere l’inevitabilità. Inevitabilità, se non di diritto, almeno di fatto, data l’oggettiva e crescente aggressione che il popolo cristiano subisce da sei interminabili decenni da parte di una Gerarchia ecclesiastica certamente legittima, ma complessivamente deviante nella fede, e ciò con una tumultuosa accelerazione nel corso degli ultimi dieci anni. È proprio negli ultimi anni, infatti, che la maggior parte di queste modalità ha visto la luce o ha marcato in senso tradizionale la propria identità.
Tantomeno è mia intenzione portare un giudizio negativo sulle persone, sacerdoti e laici – purché liberi da scopi in qualsiasi modo interessati – che si sforzano di adempiere nelle modalità descritte a quella che credono essere la volontà di Dio in una situazione che nessun osservatore lucido può ormai ritenere affrontabile sulla base di criteri di valutazione ordinari. Opportunamente il professor Gnerre, reagendo in un recente video alla serie di articoli di Luisella Scrosati sul ministero dei sacerdoti lefebvriani, si richiamava alle virtù di epicheia e di gnome, rispettivamente parti della giustizia legale e della prudenza nella sintesi tomista. Ai nostri fini è sufficiente ricordare che l’intenzione generale della Chiesa di sovvenire in modo sufficiente e proporzionato alle necessità spirituali dei fedeli è fondativa e immodificabile. Il dovere (non solo il diritto) di agire in deroga alle leggi ordinarie da parte di sacerdoti e vescovi rimasti cattolici è una conseguenza palese dello stato attuale della Gerarchia.
Il principio scolpito nel diritto canonico rimane ineludibile: salus animarum suprema lex. Sarebbe però un clamoroso errore credere che qualsiasi iniziativa in qualsiasi modo adottata sulla base di questo principio sia davvero adeguata, e tantomeno che essa sia sempre lecita sotto il profilo morale.
La strategia catacombalista, nelle cinque modalità sopra descritte, può accidentalmente raggiungere risultati positivi in settori limitati e per qualche tempo, pur rivelandosi a mio avviso inadeguata e persino dannosa in un’ottica fattuale più ampia. Cosa più grave, è impossibile articolarne una coerente giustificazione sul piano ecclesiologico e teologico-morale. Il discorso cambierebbe (ma solo in parte) se ci trovassimo al cospetto di una persecuzione cruenta da parte di nemici esterni alla Chiesa. Nulla invece può autorizzare un fedele, un sacerdote o un vescovo cattolico a occultare e falsificare programmaticamente se stesso e la propria azione al cospetto della Chiesa, società visibile, e della sua legittima Gerarchia. È la parola con cui Gesù si congeda da Nicodemo: “Chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3, 21).
Il catacombalismo si sostanzia precisamente di un occultamento o privatizzazione della verità e della prassi cattolica, o di qualche suo aspetto intrinseco ed essenziale. Nelle cinque modalità sopra descritte (catacombalismo psico-settario, privato, individualista, tollerato, movimentista) si rinviene facilmente, in combinazioni diverse e in misura maggiore o minore, uno o più degli “occultamenti” seguenti:
- occultamento/privatizzazione della professione integrale della fede dinanzi all’errore;
- occultamento/privatizzazione delle manifestazioni pubbliche necessariamente connesse alla professione della fede, liturgia ed insegnamento in primis;
- occultamento/privatizzazione della struttura istituzionale, visibile, essoterica che deve caratterizzare la stessa azione di supplenza dei pastori perché tale azione si ponga realmente e durevolmente al servizio dell’universalità dei fedeli, così come della Gerarchia in vista della sua correzione e risanamento;
- occultamento/privatizzazione della dimensione ad extra o conquistatrice dell’apostolato sacerdotale e gerarchico.
Ecco perché il catacombalismo, lungi dall’esserne un’espressione, mi sembra piuttosto una degenerazione involutiva del tradizionalismo cattolico, ovvero della necessaria e genuina reazione all’attuale apostasia gerarchica. I problemi legati a tale mentalità riguardano i doveri morali legati alla professione esterna della fede, la vita cristiana nella sua costitutiva indole testimonial, l’autentica nozione di Chiesa in quanto istituzione visibile, l’apostolato sacerdotale, il pubblico annuncio della fede, e con esso la conquista di nuove anime a Dio. Viene così tradita, a mio giudizio, quella grazia peculiare, di cui parla dom Guéranger nell’opuscolo Il senso cristiano della storia, che è connessa alla proclamazione piena ed intera della fede.
- continua