Indifferente alla sofferenza, stizzito e insensibile, duro in modo inscalfibile, teologo non misericordioso, beffardo e irriguardoso nei confronti della povera madre, protagonista di una caduta di tono, di stile e di umanità, accecato dal nazionalismo e dal rigorismo teologico, rigido, confuso e da convertire, malato e prigioniero dalla rigidità e dagli elementi teologici, politici e culturali dominanti del suo tempo, lodatore della fede pagana. Questo il ritratto di Gesù fatto dal padre Antonio Spadaro, gesuita, direttore della Civiltà Cattolica, nella sua rubrica Il Vangelo della domenica per Il Fatto Quotidiano, a commento del passo evangelico della guarigione della figlia di una donna cananea (Mt 15,21-28).
Sulle parole di padre Spadaro è già autorevolmente intervenuto [qui] monsignor Carlo Maria Viganò. Oggi altre reazioni.
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La pezza di monsignor Staglianò. Peggio del buco
Caro Aldo Maria,
l’articolo di padre Spadaro sulla fede della donna cananea che invoca la guarigione della figlia, pubblicato qualche settimana fa su Il Fatto Quotidiano, ha suscitato grande dibattito.
Il gesuita scrive che “Gesù appare come fosse accecato dal nazionalismo e dal rigorismo teologico”, che le parole della cananea sarebbero “tali da sconvolgere la rigidità di Gesù, da confonderlo, da convertirlo a sé, che a seguito della professione di fede della donna e della guarigione della figlia “anche Gesù appare guarito, e alla fine si mostra libero dalla rigidità dagli elementi teologici, politici e culturali dominanti del suo tempo”.
La singolare (eufemismo) esegesi del testo ha fatto storcere il naso a tanti. Non pochi hanno accusato padre Spadaro di eresia in quanto, seguendo il ragionamento del gesuita, Gesù avrebbe peccato di rigidità ma poi si sarebbe convertito. Quindi Gesù sarebbe nient’altro che un peccatore, come tutti gli uomini.
L’accusa non era tollerabile. Pertanto sono state sguinzagliate le truppe cammellate, guidate dal presidente della Pontificia accademia di teologia. Obiettivo: difendere l’indifendibile.
Così monsignor Staglianò ha pubblicato un post Facebook, Attenti agli eretici, per tessere le lodi del gesuita che delizia “i lettori con la sua scrittura precisa, puntuale, a tratti poetica, da autentico letterato” (non lo avrà confuso con Manzoni?) e che non avrebbe mai detto che Gesù è accecato dal nazionalismo e dal rigorismo teologico e poi è guarito, ma solo che appare.
La difesa d’ufficio sembra l’ennesima pezza peggiore del buco. La gesuitica differenza tra l’essere e l’apparire di Gesù (tanto sottile nell’articolo di padre Spadaro da risultare quasi impercettibile) non giustifica certo le ulteriori frasi, citate ma non commentate da monsignor Staglianò, in cui il gesuita sostiene che Gesù sarebbe rimasto sconvolto e confuso (Staglianò sul punto cita erroneamente l’articolo: padre Spadaro non scrive “conformalo” ma “confonderlo”) dalle parole della cananea, tanto da convertirlo a sé. Ecco l’immagine di un Gesù tanto umano da avere bisogno, anche Lui, di “conversione” (sia pure tra sempre gesuitiche virgolette). Nessun riferimento alla millenaria interpretazione del passo evangelico che vuole Gesù mettere in realtà alla prova la donna, perché potesse manifestare in pieno la sua commovente professione di fede.
Certo, per chi, inventore della pop-theology, è arrivato a sostenere che Gesù avrebbe recitato con convinzione Imagine di John Lennon, argomentare circa l’ortodossia delle idee di padre Spadaro dev’essere un gioco da ragazzi. Sarei solo curioso di sapere se Gesù, secondo il presidente della Pontificia accademia di teologia, avrebbe cantato Imagine prima o dopo essersi “convertito”.
Vincenzo Rizza
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Spadaro e dintorni. Ma lo Spirito soffia altrove
Caro Valli,
seguo sbigottito quanto negli ultimi giorni ci consegna la cronaca ecclesiale a proposito delle interpretazioni evangeliche di raccomandati giornalisti curiali, e altrettanto raccomandati teologi sanremesi di adozione, per dire sommessamente la mia, quella di un battezzato qualsiasi; o meglio, per dire quel che dice la Chiesa, quella con la C maiuscola, a proposito del famoso brano evangelico di domenica 20 agosto, XX domenica del tempo ordinario A. Sbigottito, dicevo, perché a fronte di ermeneutiche del tutto fantasiose ed evidentemente irriguardose nei confronti di Nostro Signore, una pletora di pavidi burocrati elevati all’episcopato ancora una volta tace, intendendo conservare i propri privilegi governativi ed economici piuttosto che la vera fede, quantunque siano condotti da mesi, come banderuole, sul carrozzone di un sinodo che non ha né capo e né coda a detta degli stessi nei circoli ristretti in cui lo si commenta. E allora dobbiamo necessariamente partire da quella domenica del tempo ordinario per leggere, alla luce dei veri insegnamenti della Chiesa, i testi che la liturgia ci ha proposto, sgomberando innanzitutto il campo dai soliti “assiomi” in voga negli istituti di scienze religiose e nelle università teologiche, ove spesso insegnanti improvvisati identificano la missione di Gesù come un work in progress, un navigare a vista, un po’ alla Schettino. Si tratta di assiomi cari ai moderni teologi, quelli che mettono l’Io davanti a Dio, quelli che si vestono all’ultima moda e si fanno belli nei convegni e nelle pseudo università o istituti dove si entra e si progredisce perché appartieni all’una o all’altra fazione in voga, o peggio ancora a una determinata tendenza magari sessuale, o infine per le stravaganze che scrivi, perché il Vangelo, quello vero, non lo reggono più o forse non l’hanno mai letto. Ecco allora assiomi che avvicinano Gesù alla figura di un hippy, una caricatura alla Ruggero di Un sacco bello, film cult degli anni Ottanta dell’amato Carlo Verdone, dove il personaggio spesso guardava nel vuoto non sapendo e non capendo quello che dice, ma ammantando il tutto di frasi fatte tipo “amore universale”, “rispetto per l’ambiente” e simili. Questi assiomi, elaborati da quanti rifuggono la vera teologia, già solo perché fanno fatica a leggerla e a comprenderne il significato, spesso dimenticano che la vita di Gesù era stata “profetata” diverso tempo prima dai grandi profeti di Israele, e dimenticano pure, o forse non lo hanno mai saputo, che Gesù amava definirsi con espressioni che richiamano proprio i profeti dell’antico testamento, come “Figlio dell’uomo”, “Figlio di Davide”, eccetera. Questi assiomi scontano la totale carenza di fede da parte di colui che li sostiene, il quale, anche solo ipotizzando che Gesù cambi idea nel colloquio con la Cananea, nega che Gesù sia il Figlio di Dio e, in quanto tale, abbia piena e completa visione ex ante della Sua missione salvifica. Sennò come farebbe a predire, tra l’altro, i tre giorni di passione e la sua morte proprio “di croce”? Ricordandoci allora come l’ermeneutica della Parola di Dio si faccia avendo riferimento alla lettera della stessa e in confronto alle altre parti della Sacra Scrittura, ma soprattutto in osservanza del deposito apostolico, ringraziando Dio di non essere teologi, ma con un minimo di cervello che funziona, già solo leggendo la prima riga di quel Vangelo di Matteo ci si pone alcune semplici domande per poi trarne le risposte.
Ma andiamo con ordine analizzando Matteo 15,21-28. “In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne”. Il nostro caro padre Spadaro dovrebbe interrogarsi sul perché di questo viaggio dato che, se come afferma lui, Gesù è “rigido, confuso e da convertire”, non è spiegabile questo sconfinamento verso due città che ancora oggi fanno parte del Libano. Non doveva certo portare dei capitali all’estero oppure farsi una vacanza al mare, ma peregrinare predicando, annunciando la buona novella e compiendo miracoli solo a beneficio degli israeliti. Certo però Gesù va all’estero, dove ci sarà stato anche qualche israelita, ma la maggior parte erano pagani; dunque è d’uopo credere che Gesù aveva ben l’intenzione, sin dall’inizio della sua missione, di rivolgersi tanto ai figli perduti di Israele quanto ai pagani, e questo perché tutti sono, anzi siamo figli di Dio. Ed invero la prima lettura suggerita dalla liturgia, tratta da Isaia, afferma: “Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera… la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”. Ma torniamo al Vangelo: “Ed ecco una donna cananea, che veniva da quella regione… Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!”. Anche qui il nostro caro padre Spadaro dovrebbe chiedersi perché l’evangelista rimarca non soltanto la presenza della cananea implorante l’esorcismo per la figlia, ma anche la presenza dei discepoli che, guarda caso, come Gesù sono ebrei. E nemmeno si pone il dubbio il nostro gesuita di sapere il perché di quella rigida risposta: “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”, Lui che è il figlio di Dio, lui che si nomina il “Figlio dell’uomo” e che dovrebbe conoscere, quindi, il contenuto dei profeti che va citando, Isaia incluso. Ebbene condividendo il traviante assioma di cui sopra, l’unica risposta possibile al nostro gesuita è quella psichiatrica di un Dio “stizzito e insensibile”, di un Gesù “inscalfibilmente duro”, di un Signore “indifferente alla sofferenza”, insomma una summa diabolica di ciò che Gesù non è. Il tutto per poi sfociare in logoro femminismo da strapazzo, facendo assurgere la donna cananea a vera e propria protagonista della pseudo conversione di Gesù, e piegando quindi il racconto evangelico ad una visione partitaria e settaria. Ma il nostro caro padre Spadaro non ha pensato nemmeno di dare un’occhiata alla seconda lettura della XX domenica del Tempo ordinario anno A per capire la ratio pedagogica del comportamento di Gesù. Già, perché in certi ambienti ecclesiali la lettera di san Paolo ai Romani si legge poco, soprattutto il primo capitolo, che in questi tempi è proprio scomodo, a-sinodale, omofobico. Ebbene la lettura proposta Paolo afferma tra le altre cose: “…come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni”. E da qui comprendiamo l’assist di Gesù alla donna cananea: “Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini”, e la risposta della donna: “È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Dunque, ammesso e non concesso che Gesù non va a Tiro e Sidone per le ferie estive, ma per annunciare il Regno di Dio in terra ai pagani, com’era stato previsto dai profeti centinaia di anni prima della Sua nascita, è evidente che l’apparente rigidità nei confronti della donna cananea non è dettata dai problemi psichiatrici o di confusione messianica che il gesuita vuole attribuire a Nostro Signore, quanto piuttosto dalla ferma volontà di far vedere ai suoi discepoli quale debba essere la qualità e tenacia della fede in Dio, nel Dio di Gesù. Quella fede che gli ebrei avevano perso! Qualità e tenacia dimostrate dalla donna pagana (“grande è la tua fede!”) in confronto a quella dei farisei che soltanto qualche riga prima dello stesso capitolo 15 di Matteo – sfuggito probabilmente al nostro Spadaro – vengono così apostrofati da Gesù: “Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Ecco allora non la conversione di Gesù alle richieste della donna pagana, ma la pedagogia di Gesù nei confronti dei suoi discepoli ebrei con lo spunto della richiesta della donna cananea. Discepoli ai quali Gesù vuole insegnare una fede che paragona in modo efficace e poetico a quella del cagnolino per il suo padrone, la fede che deve avere il vero fedele, non importa se pagano, per il vero Dio, Gesù Cristo. Come a dire: non basta appartenere alla stirpe “eletta”, cioè chiamata, non basta essere miei “discepoli”, bisogna avere fede e questa è possibile a chiunque anche se pagano, anche se non chiamato, proprio perché tutti siamo figli di Dio. Ma se così dicono le scritture, padre Spadaro avrebbe anche potuto prendersi la briga di fare un po’ di lectio liturgica, essendo la Parola incastonata come perla nel Divino Mistero eucaristico. Ebbene l’eucologia della domenica XX del tempo ordinario, anno A, ad esempio, alla preghiera di colletta proposta in appendice al Messale Romano recita: “O Padre, che nell’obbedienza del tuo Figlio hai abbattuto l’inimicizia tra le creature e degli uomini hai fatto un popolo solo, rivestici degli stessi sentimenti di Cristo…”. Per non parlare del salmo responsoriale che è un invito pressante a che tutti i popoli lodino il Signore. Ma soprattutto, e con un po’ di umiltà, il nostro gesuita avrebbe potuto andarsi a vedere cosa afferma la Chiesa nel direttorio omiletico per capire quali erano i veri temi proposti dalla liturgia in quella domenica:
CCC 543-544: il Regno di Dio annunziato dapprima a Israele, ora per tutti coloro che credono
CCC 674: la venuta di Cristo speranza d’Israele; la sua finale accettazione del Messia
CCC 2610: il potere dell’invocazione fatta con fede sincera
CCC 831, 849: la Chiesa è cattolica.
Spadaro e i suoi amici canterini dovrebbero sapere che bisogna annunciare il Vangelo di Gesù Cristo, non ciò che frulla loro per la testa o le canzonette dell’Ariston. E dovrebbero anche sapere che lo Spirito Santo soffia dove vuole. Meditate gente.
Ennio Longanesi