di Marco Radaelli*
Caro Valli,
di fronte agli episodi di violenza giovanile che la cronaca ormai quotidianamente ci propone, tutti si sentono in dovere di intervenire con una ricetta per risolvere il problema. E di solito alla fine tutti – ma proprio tutti – arrivano a dire sempre e soltanto la stessa cosa: “Bisogna ripartire dalla scuola”.
Fin qui un insegnante come me potrebbe anche essere tentato di provare soddisfazione: ecco che la scuola finalmente viene messa di nuovo al centro dei dibattiti e considerata nella sua importanza per la società. Poi, però, lo sconforto prende inevitabilmente il sopravvento. Sono infatti costretto a rendermi conto che, per questi “illuminati”, la scuola, oltre che una bella parola con la quale riempirsi la bocca, è sì una risorsa, ma come lo è una scatola quando decido di sistemare la camera e non so dove mettere le cose. È il concetto di scuola-contenitore tanto in voga in questi ultimi anni: di fronte a ogni episodio di disagio giovanile che sfocia nella violenza, la soluzione consiste nel fare “qualcosa” nelle scuole. Ma in quale modo il disagio emerso dovrebbe sparire facendo “qualcosa” a scuola, nessuno lo spiega. Basta pronunciare la parola magica e ci si sente a posto.
È un problema di educazione, dicono. Ed è vero! Ma poi, quando si passano in rassegna le proposte per risolvere questo “problema educativo”, ecco che si capisce che molti di questi non mettono piede in una scuola da anni e non hanno la minima idea di che cosa siano questa educazione e questa scuola di cui parlano come fossero massimi esperti. Per loro, infatti, la “risposta educativa” si traduce in una vaga “sensibilizzazione nelle scuole”. Per ogni problema, ecco che nelle scuole deve entrare “qualcosa” per porvi rimedio.
La cronaca riporta un episodio di violenza sulle donne? Giornata di sensibilizzazione nelle scuole! C’è un episodio di bullismo? Giornata di sensibilizzazione nelle scuole! Leggiamo di un episodio di revenge porn? Giornata di sensibilizzazione nelle scuole (magari tenuta da Rocco Siffredi)! C’è una violenza sessuale? Giornata di sensibilizzazione nelle scuole! Droga? Giornata di sensibilizzazione nelle scuole! E via con le giornate per ogni sensibilizzazione alla presenza di esperti di ogni genere che arrivano, fanno il loro incontro, e se ne vanno. La scuola è così diventata un enorme contenitore di cose da fare e di attività, ma un contenitore in cui risulta sempre più faticoso fare ciò che la scuola deve fare: insegnare. Nella scuola entra ormai qualunque cosa, senza alcun filtro, come se la salvezza potesse arrivare dal chi più ne ha più ne metta, come se la quantità fosse anche segno di maggiore qualità.
Il tutto interrompendo il normale corso delle lezioni e quindi il nostro lavoro di insegnanti. Il risultato è dunque che la scuola è sempre più lontana dall’essere ciò che deve essere: scuola.
Personalmente, credo che sia esattamente il contrario, e che proprio questo continuo aggiungere sia il segno più evidente della crisi della scuola e della società in generale. Mi chiedo se il problema non sia esattamente questo: che alla scuola non si lascia più il tempo di fare quello ciò che dovrebbe fare, ossia insegnare ed educare tramite l’insegnamento e il lavoro quotidiano. Mi chiedo se il generale abbassamento civile non sia legato anche alla sempre maggiore ignoranza che ogni anno numerosi test rilevano. La mancanza di civiltà e di valori non sarà connessa al fatto che continuamente si toglie alla scuola e agli insegnanti il tempo e il modo di svolgere il proprio lavoro?
Davvero pensiamo che un ragazzo, partecipando ad un “incontro di sensibilizzazione” tenuto in genere da sconosciuti mai visti prima e che mai più vedrà dopo, possa cambiare abitudini, modo di pensare e di vivere, i rapporti che intrattiene con gli amici e con le ragazze, il proprio stare nel mondo?
E soprattutto, alla prova dei fatti, ora che nella scuola sono entrate giornate e sensibilizzazioni di ogni tipo, la situazione è migliorata? No. A me, che nella scuola vivo quotidianamente, non sembra proprio che tutte queste iniziative abbiano avuto un impatto positivo. Vedo anzi, al contrario, che contribuiscono al peggioramento del sistema scolastico, che ne esce svalutato, come se da solo non fosse in grado di educare attraverso l’insegnamento.
A mio giudizio è proprio la normalità scolastica, continuamente sacrificata sull’altare della sensibilizzazione, quella che maggiormente potrebbe contribuire al miglioramento della società. I cambiamenti veri, stabili, non avvengono grazie a qualche incontro con l’esperto di turno, ma solamente nel tempo, facendo bene le cose, con serietà, costanza, fatica, impegno e sacrificio. Come possono i ragazzi imparare il rispetto? Ascoltando uno che un giorno fa una lezione sul tema, oppure imparandolo giorno dopo giorno, nel rapporto con chi hanno accanto? Come si impara ad essere meno superficiali? Ascoltando uno che arriva e ti tiene una lezione oppure, giorno dopo giorno, seguendo un maestro che ti aiuta a entrare nella realtà della vita con maggiore profondità e con la serietà dovuta? E ancora: i valori civili si imparano inserendo nei programmi l’ora di educazione civica oppure vivendoli quotidianamente, grazie a insegnanti che, facendo bene il proprio lavoro, ti insegnano a fare bene anche il tuo?
Sono fermamente convinto, ad esempio, che si possano imparare il rispetto e l’amore verso le ragazze studiando l’amor cortese, Dante o Petrarca, ossia facendo bene quello che normalmente la scuola propone con i suoi programmi. Nel tempo, acquisendo familiarità con quel pensiero, percependone la corrispondenza con il nostro cuore, e approfondendolo con il lavoro e lo studio. È questa la vera “sensibilizzazione”: costruita nel tempo, lavorata, interiorizzata.
La situazione può cambiare non facendo entrare sempre più cose nella scuola, ma facendo uscire da essa tutto ciò che non c’entra nulla con la sua missione. Lasciamo che la scuola torni a svolgere il proprio compito con continuità e in santa pace. Come si può pensare che un ragazzo possa seguire il proprio cammino di crescita e di consapevolezza, con calma, se il tempo gli è continuamente rubato e il lavoro è interrotto da incontri e attività extra?
La scuola dovrebbe essere il luogo in cui crescere e diventare sempre di più se stessi, scoprendo le proprie qualità e le proprie predisposizioni attraverso il lavoro, lo studio, la passione, l’allenamento, il sacrificio. Ma se alla scuola vengono tolti il modo e il tempo di lavorare, di fatto la svuotiamo.
Lasciate stare la scuola, per favore. Volete aiutare i ragazzi? Lasciate lavorare gli alunni e gli insegnanti in santa pace. Sono persone, non scatoloni in cui inserire di tutto e di più.
“Bisogna ripartire dalla scuola” è davvero la risposta giusta. A patto di lasciare alla scuola il modo e il tempo di essere scuola.
*docente di Filosofia e Storia presso l’Istituto di istruzione superiore “A. Omodeo” di Mortara (Pavia)