Intervista / José Arturo Quarracino: “Vi racconto Bergoglio e le sue giravolte”.
José Arturo Quarracino, nato a Buenos Aires nel 1953, è nipote del cardinale di Buenos Aires Antonio Quarracino (1923-1998). Insegnante e traduttore freelance, José Arturo si è laureato in filosofia all’Università di Buenos Aires.
Coinvolto nella vita politica argentina e nel movimento pro-vita, si interessa di storia, religione, teologia e politica, e partecipa con articoli e attività politiche alla resistenza contro quello che l’arcivescovo Carlo Maria Viganò chiama il colpo di stato sanitario globale.
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Qual è il suo grado di parentela con il cardinale di Buenos Aires Antonio Quarracino, che fece diventare vescovo ausiliare padre Jorge Mario Bergoglio?
Sono il primo di cinque nipoti del cardinale. Mio padre era suo fratello minore, di cinque anni più giovane. Il cardinale fu anche il mio padrino.
Questo ha creato un legame speciale?
Sì, ci apprezzavamo molto, come è normale nelle famiglie con radici italiane, come la nostra. A parte il periodo in cui fu segretario generale della Conferenza episcopale latinoamericana (Celam) e viveva a Bogotà, in Colombia, dove c’è la sede dell’organizzazione, i contatti e gli incontri con la nostra famiglia erano frequenti. Era un buon zio per tutti i suoi nipoti e ci visitava ogni volta che poteva.
Che tipo di arcivescovo era?
Di buon cuore, con una speciale attenzione per i bisogni degli altri, perché li avvertiva come suoi. Era molto allegro, gioioso e amorevole. Nel 1962, all’età di 39 anni, fu nominato vescovo di Nueve de Julio, una città dell’interno della provincia di Buenos Aires: il più giovane vescovo in Argentina. In seguito fu vescovo di Avellaneda, arcivescovo di La Plata (capitale della provincia di Buenos Aires) e infine cardinale arcivescovo di Buenos Aires. In questi uffici fu sempre pastore del gregge e padre dei sacerdoti di cui era responsabile. Trattava tutti allo stesso modo, non ostentava mai la sua carica e i suoi titoli, e sapeva essere semplice e affabile con i sacerdoti e con tutti i fedeli. Quando doveva esercitare l’autorità, lo faceva con fermezza e misericordia.
Che tipo di eredità ha lasciato?
Il suo funerale mostrò che tipo di prete era. Nella cattedrale ci fu una veglia di tre giorni, con messe celebrate dalla mattina presto fino alla sera, una ogni ora, con una processione infinita di persone di tutti i ceti sociali che passavano davanti alla sua bara per rendergli omaggio. Durante la sua vita fu un vero sacerdote (alter Christus) che servì il nostro Salvatore e la sua Chiesa con totale rinuncia di sé, senza cercare il proprio vantaggio. Venerava Nostra Signora di Luján, patrona della nostra amata Repubblica Argentina. Come vescovo, fu un buon padre e consigliere di molti sacerdoti nelle quattro diocesi di cui fu responsabile.
Bergoglio era lontano da Buenos Aires quando il cardinale Quarracino lo fece vescovo ausiliare…
È così. Nel 1992, Bergoglio fu esiliato a Córdoba dai gesuiti, per tenerlo lontano da Buenos Aires, dove aveva servito come provinciale per diversi anni. La fine del suo mandato fu segnata da grandi divisioni interne tra i suoi amici e oppositori.
Perché suo zio scelse Bergoglio?
Mio zio lo aveva conosciuto nel 1973 o 1974, quando era provinciale. La persona che glene parlò, per “salvarlo dal suo esilio”, era uno dei maestri di Begoglio nella Compagnia di Gesù, padre Ismael Quiles, un santo gesuita. All’epoca, Bergoglio non stava bene, sia spiritualmente sia psicologicamente. Ecco perché mio zio chiese alla Santa Sede che diventasse vescovo ausiliare, anche se ce n’erano già altri. Il libro di Austen Ivereigh The Great Reformer descrive in dettaglio quanto duramente mio zio abbia dovuto lavorare per convincere la Santa Sede a nominare Bergoglio vescovo.
Questo significa che Bergoglio venne fatto vescovo per pietà?
Mio zio conosceva abbastanza bene padre Ismael Quiles, che lo avvicinò a Bergoglio, e lo apprezzava come un eccellente sacerdote e gesuita esemplare. A parte i conflitti interni con i gesuiti, Bergoglio trasmetteva l’immagine di un uomo pio, molto ignaziano, con uno stile di vita austero che sviluppava simpatia in coloro che gli “piacevano”. Questa nomina risolse anche il grande problema di Bergoglio, cioè l’enorme conflitto che aveva con molti gesuiti che erano stati suoi amici e dai quali aveva preso le distanze.
Chi era padre Quiles?
Era uno dei gesuiti più rispettati in Argentina, un grande intellettuale e un vero gesuita. Tradusse in spagnolo più della metà della Summa Theologica di san Tommaso d’Aquino, una traduzione ispirata da un altro grande sacerdote gesuita, padre Leonardo Castellani. Quiles fu uno dei maestri spirituali di Bergoglio quando questi entrò nei gesuiti.
Lei sa perché Bergoglio, come provinciale, causò delle divisioni?
Non conosco i dettagli, ma da lontano penso che sia stata la sua personalità a portarlo in conflitto con i suoi confratelli, perché ha sempre aspirato al potere. Viveva questo desiderio appoggiandosi ai sacerdoti più giovani e ai novizi, non tanto ai confratelli più anziani ed esperti. Dopo la fine del suo mandato come provinciale, si comportò come se fosse ancora in carica, il che indebolì l’autorità dei nuovi superiori, sia nella direzione dei gesuiti sia nella facoltà di teologia di San Miguel, la sede storica della Compagnia di Gesù, dove i gesuiti venivano formati. Molto è stato scritto sul confronto di Bergoglio con i gesuiti dopo la fine del suo periodo come provinciale. Quello che pochi dicono, forse per motivi di discrezione, è che coloro che più lo affrontarono furono proprio i suoi collaboratori o compagni nella gestione dell’Ordine. Alcuni di loro erano suoi amici molto stretti che lo rispettavano e lo apprezzavano. Erano persone serie, con personalità proprie, che non potevano essere manipolate o ricattate.
Che impressione ha lasciato Bergoglio come vescovo ausiliare?
Il vescovo ausiliare Bergoglio seppe conquistare la stima di gran parte del giovane clero con la sua semplicità, la sua pietà, la sua guida premurosa e psicologica, che esercitava come nessun altro, spesso in meglio, in alcuni casi in peggio. Verso coloro che non gli andavano a genio era spesso duro, persino crudele. Si mise sottilmente in disparte dal clero più anziano per promuovere i suoi amici e i suoi giovani protetti.
Il vescovo ausiliare Bergoglio era diverso dal provinciale Bergoglio?
In generale, non si mostrava molto e non aveva così tanti compiti di leadership come quando era provinciale. Tuttavia, a volte mostrava un comportamento particolare. Per esempio, poteva interrompere improvvisamente tutti i contatti senza che la persona tagliata fuori sapesse cosa avesse fatto di male.
Il cardinale Quarracino andava d’accordo con il suo vescovo ausiliare?
Direi molto. Bergoglio piaceva a mio zio. Nella sua posizione, Bergoglio gli fu di grande aiuto, soprattutto nella cura pastorale, quando mio zio soffrì di malattie che limitarono la sua mobilità. Per due anni non poté camminare e dovette usare una sedia a rotelle. Ma un giorno, miracolosamente, recuperò la mobilità delle gambe.
Non c’erano altri vescovi ausiliari?
Negli ultimi decenni, l’arcidiocesi ha sempre avuto diversi vescovi ausiliari. Anche se il territorio diocesano è piccolo, ci vivono circa tre milioni di persone. Ci sono 251 parrocchie, 54 congregazioni maschili e 121 femminili, zone con condizioni abitative precarie. L’arcidiocesi è stata poi divisa in quattro vicariati con i rispettivi vescovi ausiliari. Per la cura dell’arcidiocesi erano indispensabili quattro o cinque vescovi ausiliari. Bergoglio seppe distinguersi dagli altri fino a quando fu nominato vicario generale. Negli ultimi anni di vita di mio zio, divenne vescovo coadiutore con diritto di successione. Di conseguenza, dopo la morte di mio zio divenne immediatamente arcivescovo.
Dopo il Vaticano II, in molti paesi, i progressisti si sono separati dalla tradizione cattolica. È stato così anche in Argentina?
No, la fase post-conciliare in Argentina è stata caratterizzata dalla presenza di una grande maggioranza rimasta fedele all’insegnamento cattolico. Certo, c’è stato chi si è rivolto alla teologia della liberazione, che in molti casi ha portato a un impegno politico nel marxismo e in alcuni casi alla lotta armata, ma la maggior parte dei laici è rimasta fedele agli insegnamenti della Chiesa, soprattutto nell’interno del paese, dove è forte e viva la devozione alla Madonna e ai santi patroni delle varie province argentine.
E oggi?
Negli ultimi anni, l’influenza spirituale e culturale della gerarchia è molto diminuita. Seguendo l’esempio di Roma, i vescovi si sono adattati allo spirito del mondo. Con poche onorevoli eccezioni, hanno lasciato il popolo di Dio come pecore senza pastore. Oggi, la voce dei vescovi non si sente quasi più e non ha alcun peso in Argentina e nella vita dei fedeli. Nell’arcidiocesi di Buenos Aires e in alcune diocesi circostanti ci sono i cosiddetti curas villeros, sacerdoti che lavorano in quartieri molto poveri: sono meritevoli per il loro lavoro sociale e di aiuto ai bisognosi, ma generalmente hanno una scarsa formazione teologica.
Lei come giudicò il lavoro di Bergoglio come vescovo ausiliare?
Dal 1995 al 2002 lavorai nell’ambiente di Bergoglio. Era cancelliere dell’Università del Salvador, dove lavoravo. In quel periodo, mantenne un profilo molto gesuita, molto pio e pastorale, anche se il confronto aspro con gli altri gesuiti continuava. Si arrivò al punto che quando Bergoglio divenne vescovo ausiliare, l’Ordine dovette nominare come provinciale un gesuita colombiano, padre Álvaro Restrepo, perché nessun gesuita argentino andava d’accordo con Bergoglio. Fu uno scontro all’ultimo sangue, come si dice in Argentina.
Bergoglio era un “conservatore”?
Dogmaticamente, Bergoglio ha coltivato un profilo ortodosso con molti accenti gesuitici. Nella pastorale, ha enfatizzato i problemi sociali, la cura dei bambini e delle famiglie, il servizio ai poveri, con molta liberalità e lassismo in materia liturgica e sacramentale.
Bergoglio cambiò quando divenne arcivescovo?
Il suo approccio cambiò completamente. Per prima cosa si sbarazzò dei collaboratori più importanti di mio zio, come monsignor José Erro, il rettore della cattedrale di Buenos Aires, un santo sacerdote, al quale disse di ritirarsi con una telefonata, senza considerazione né ringraziamenti. Penso che l’abbia fatto per mostrare al clero di Buenos Aires che la direzione dell’arcidiocesi stava per cambiare radicalmente. Spazzò via tutto ciò che suggeriva una continuità con il periodo precedente, anche se fece attenzione a conservare qualcosa dell’eredità di mio zio.
L’amichevole vescovo ausiliare era diventato improvvisamente un arcivescovo malvagio?
Molti rimasero scioccati perché Bergoglio come arcivescovo assunse una faccia imbronciata, amara, triste, una “faccia da peperoncino all’aceto”, come adesso la chiama lui parlando degli altri. Era impressionante vedere quella faccia durante le celebrazioni liturgiche. Nessuno sapeva spiegare la ragione di quel modo di apparire, che a molti faceva male. Notammo con stupore, dopo l’elezione a papa, il nascere di un volto allegro e gioviale che prima non si era mai visto. Così, alcuni si chiesero se durante il periodo di Buenos Aires, con quella faccia scura, ciò che lo motivasse non fosse per caso proprio l’ambizione di diventare papa. Divenne abituale tra i fedeli commentare il volto acido e risentito che Bergoglio mostrava in tutte le attività pubbliche. Si arrivò al punto che un parroco di cui si fidava, per metà scherzando e per metà seriamente, gli chiese di non fare più visite pastorali se aveva intenzione di continuare a mostrare quella “faccia d’aceto”.
Come governò Bergoglio a Buenos Aires?
Cominciò a prendere le distanze da tutti coloro che non conosceva e che non appartenevano alla sua cerchia di amici, ed era noto per il fatto che nessuno sapeva cosa pensasse veramente, poiché diceva sempre a ogni interlocutore quello che voleva sentire.
Quando divenne visibile che il Bergoglio ortodosso era diventato eterodosso?
Non nei primi anni. Poi, col passare del tempo, cominciò a mostrare segni di un certo rilassamento, non tanto in quello che diceva, ma in quello che faceva. Non divenne veramente eterodosso fino a un anno e mezzo dopo il suo insediamento come arcivescovo, nel febbraio 1998. Era una settimana prima dell’apertura ufficiale dell’anno giubilare del 2000, nel Natale 1999. Quel giorno, il 18 dicembre, Bergoglio invitò l’arcidiocesi di Buenos Aires a celebrare una Messa del millennio (non del giubileo) in previsione dell’iniziativa papale, che non aveva nulla a che vedere con la celebrazione della Chiesa universale.
Perché?
Credo che abbia fatto questo per mostrare al “mondo dei potenti” che era abbastanza autonomo da agire indipendentemente dalla Chiesa universale, pur rispettando la forma.
Come affrontava i problemi sociali?
A livello sociale diede sempre più importanza al lavoro di soccorso nelle baraccopoli urbane, che più tardi chiamò la “Chiesa in uscita”, ma con la raccomandazione – o la richiesta – che l’attenzione non dovesse essere rivolta alla diffusione della fede o alla cura pastorale dei sacramenti.
Come fu il suo impatto politico?
Politicamente, mantenne relazioni praticamente con tutto lo spettro dei partiti, senza impegnarsi in nessun settore particolare. In questo senso, il confronto che ebbe con l’allora presidente Néstor Kirchner fu notevole, probabilmente perché entrambi erano personalità molto simili, che volevano mantenere tutto il potere nelle loro mani.
Come si sviluppò il seminario di Buenos Aires sotto Bergoglio?
Da quello che so dai seminaristi che furono costretti a trasferirsi in altre diocesi, il seminario – a quel tempo uno dei più importanti del paese in termini di formazione accademica – cominciò ad abbassare il livello della formazione teologica e ad accentuare la “formazione pastorale”. Il risultato fu che i nuovi sacerdoti, tranne forse una o due eccezioni, divennero sempre più operatori sociali, ma con una formazione teologica e intellettuale ridotta. Bergoglio scoraggiò i seminaristi dall’indossare la talare, sia dentro sia fuori il seminario. E poi ha fatto lo stesso a Roma.
È vero che si dice che Bergoglio abbia “coperto” abusi omosessuali?
Purtroppo sì, perché questo riguardava spesso persone che gli erano vicine. Si è parlato molto del caso di un prete di cui si fidava molto e che era noto per le sue tendenze omosessuali. Bergoglio, qualche anno prima di diventare papa, lo aiutò mandandolo a Roma, il che gli permise anche di apprendere molte informazioni riservate dalla Santa Sede. Non bisogna dimenticare che questo tipo di personalità tende a raccogliere informazioni di ogni tipo, e Bergoglio era estremamente interessato.
Ha informazioni di prima mano su questi casi?
Nell’aprile 2001, pochi mesi dopo la sua elevazione a cardinale, un impiegato dell’Universidad del Salvador, di cui era gran cancelliere, lo informò che una persona molto vicina a Bergoglio, che non solo lavorava in questa casa di studi ma era anche un impiegato statale, aveva distribuito foto pornografiche ai membri dell’università. Questa persona poté continuare a lavorare per diversi anni senza problemi, mentre la persona che aveva portato la cosa all’attenzione di Bergoglio fu licenziata senza motivo alcuni mesi dopo.
Nel 2004 Bergoglio ha consacrato il famoso vescovo di San Rafaél, Eduardo Taussig. Lo conosce?
Negli anni Novanta ho conosciuto il reverendo Taussig, che mio zio aveva nominato pastore della chiesa di San Lucas, una parrocchia universitaria per tutta l’arcidiocesi. Taussig proviene da una famiglia molto distinta in campo cattolico. Suo padre era un uomo esemplare. Taussig si atteneva alla sana dottrina ed era un ottimo sacerdote. Dopo il 2002 non ho più avuto contatti con lui. Certo, mi ha sorpreso la cattiva gestione del seminario della sua diocesi, uno dei migliori, se non il migliore del paese. È ovvio che ha preferito sottomettersi al “capo” nel conflitto tra Bergoglio e il suo gregge. Così facendo, ha mostrato un lato che non era mai venuto alla luce prima.
A proposito di Bergoglio, tutti parlano del suo peronismo…
Che Bergoglio sia un peronista è detto molto spesso, ma non è vero. È vero che dopo la sua elezione a provinciale dei gesuiti fu vicino a un gruppo peronista, la Guardia de Hierro. Arrivò al punto di rinunciare alla direzione e all’amministrazione dell’Università del Salvador e, in accordo con il padre Pedro Arrupe, il superiore generale dei gesuiti, la consegnò a laici, pur mantenendo il controllo finale. Questa esperienza non finì bene, poiché era impossibile che due organizzazioni – una politica e l’altra religiosa – potessero coesistere nello stesso ambiente universitario accademico. Da questa esperienza nacque il mito che Bergoglio fosse stato membro di quel gruppo peronista. Quando Bergoglio conobbe la Guardia de Hierro, era già provinciale, con una corrispondente posizione ecclesiastica; quindi, sarebbe stato impossibile per lui essere coinvolto in un raggruppamento politico.
Qual è lo stato del peronismo nella Chiesa argentina?
Il peronismo aveva e ha tuttora una pessima reputazione nella Chiesa argentina. Soprattutto a causa di gravi errori da parte del peronismo e della Chiesa, che portarono a un brutale scontro nel 1955, abilmente pianificato e manipolato dalla Gran Bretagna. Perché? Per impedire il successo di un processo politico che si identificava chiaramente con l’insegnamento cattolico nella teoria e nella pratica: l’introduzione dell’educazione religiosa cattolica nelle scuole pubbliche, la costruzione di seminari in diverse diocesi, il riconoscimento dell’opera missionaria della Spagna cattolica in America, la realizzazione di congressi eucaristici, la consacrazione dell’Argentina a Nostra Signora di Luján, eccetera Eva Duarte de Perón, moglie del presidente Perón, fu ricevuta con grande solennità da Pio XII durante il suo viaggio in Europa, come riconoscimento dell’opera che il governo argentino stava facendo in quel momento.
È d’accordo con la valutazione negativa del peronismo?
No. Il peronismo è stato la realizzazione e l’attuazione della dottrina sociale della Chiesa, dalla quale il suo fondatore ha tratto l’ispirazione per la sua azione politica e che ha sempre indicato pubblicamente come base della sua politica. Basta leggere il testo postumo di Juan Domingo Perón che costituisce la sua eredità politica – Modello argentino per il progetto nazionale -, la preghiera da lui pronunciata in onore della Madonna di Luján nella Plaza de Mayo il 15 novembre 1953, o i discorsi della sua seconda moglie Eva Perón in Spagna nel 1947, in cui il cristianesimo viene presentato non solo come fonte e fondamento di ogni organizzazione sociale, ma anche come creatore di cultura e civiltà.
Era pietà o tattica politica?
In entrambi i casi si trattava di vera pietà. Anche prima di diventare presidente, Perón era un terziario dell’Ordine mercedario. Non lo nascose mai, tanto che lo stemma mercedario era esposto all’ingresso della sua casa nell’esilio di Madrid. Eva Perón era terziaria dei francescani. Fino alla sua morte, avvenuta nel luglio 1952, il suo confessore fu padre Hernán Benítez, un ex gesuita che dopo la morte di Eva parlò apertamente della profonda fede cristiana della donna.
Cosa pensa personalmente del peronismo?
Vi racconterò un’esperienza personale. Perón morì lunedì 1° luglio 1974. Qualche giorno dopo andai a trovare mio zio, che all’epoca era vescovo di Avellaneda, una diocesi adiacente all’arcidiocesi di Buenos Aires. Mi disse che quel giorno aveva celebrato la messa nella cattedrale e la chiesa era piena di fedeli come se fosse stata una domenica. Un amico parrocchiano scrisse una parte di ciò che mio zio disse nell’omelia e me la diede da leggere. Il Vangelo era di Matteo, dove Cristo dice: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”. Mio zio disse: “Oggi possiamo essere sicuri che l’anima del generale Perón riposa in cielo, perché evidentemente ha realizzato queste richieste del Vangelo”. Se il peronismo non fosse esistito, l’Argentina sarebbe quasi certamente diventata un satellite dell’Unione Sovietica, come Cuba.
Suo zio era peronista?
Mio zio non aveva simpatia per Perón. Era molto sospettoso nei suoi confronti. In quel momento gli chiesi se potesse darmi una copia del testo, ma si rifiutò. Quel giorno aveva parlato come un sacerdote che celebrava il mistero dell’Eucaristia, non come un vescovo. Pur apprezzando molto gli aspetti teorici del peronismo con le sue profonde radici cristiano-cattoliche, non fu mai un peronista.
Perché era sospettoso?
Gliel’ho chiesto alcune volte, ma non mi ha mai dato una risposta chiara. È vero che Perón agì spesso con un’astuzia difficile da contrastare. Fece anche alcuni errori, come il conflitto con la Chiesa, benché fosse un conflitto con alcuni vescovi, mai con la fede del popolo argentino, che era profondamente cristiana e mariana.
Come si può caratterizzare il peronismo?
Al di là della persona di Perón, il suo movimento politico ha rappresentato e rappresenta tuttora la possibilità più forte e concreta di una pratica politica ispirata a una dottrina profondamente cristiana e umanista. Il peronismo era ed è il modo argentino di creare un sistema sociale e politico in cui la realizzazione personale va di pari passo con la realizzazione del destino storico del paese, che non è altro che l’istituzionalizzazione di una comunità organizzata in cui tutti collaborano alla realizzazione del bene comune, non solo in favore di una minoranza, ma per tutti. Culturalmente, il peronismo è l’espressione di un profondo nazionalismo culturale che non è sciovinista, ma cerca di raccogliere il meglio del mondo dello spirito, delle idee e dei sensi della storia culturale occidentale per combinarlo con le peculiarità del popolo argentino, che ha radici indigene, ispaniche e creole.
Perché il peronismo è controverso?
Da un lato, a causa del già citato scontro sanguinoso del 1955, quando ci furono cattolici che si opposero al peronismo con le armi e formarono organizzazioni di guerriglia simili a quelle che seguirono negli anni Sessanta. I militanti che realizzarono un attentato al palazzo del governo di Buenos Aires si identificarono con l’insegna “Cristo vince”.
D’altra parte, furono commessi gravi errori da parte del peronismo, come il conflitto con la Chiesa, che finì male per entrambe le parti, per la gioia dell’imperialismo monetario internazionale, che non ha ideologia ma è liberale, ateo, marxista o progressista, a seconda del suo opportunismo. Per diciotto anni questo potere ha governato il paese, spodestando sia il peronismo sia la Chiesa.
Oggi il problema è che il peronismo viene preso per quello che abbiamo visto dal 1983, anno della “restaurazione della democrazia”, fino ad oggi. Ma questa non è altro che una caricatura del movimento politico, un progressismo insipido e spregevole, con le onorevoli eccezioni che sempre esistono. Questo declino può essere paragonato all’attuale declino della Chiesa, amministrata da persone che stanno agli antipodi della vera Chiesa di Cristo.
Il peronismo consiste nel dire a tutti quello che vogliono sentire?
Lei cita qui la caricatura del peronismo. Molti credono che Perón abbia parlato con tutti dopo la sua caduta nel 1955, e fino al suo ritorno in Argentina nel 1973, perché li cercava. In realtà, riceveva chi voleva parlare con lui. Non cercò mai nessuno, ma tutti cercarono lui, soprattutto quando i tentativi di governare il paese senza Perón e il peronismo erano falliti. Perón tornò al suo paese senza cercare vendetta o castigo.
Lei personalmente ha avuto qualcosa a che fare con il peronismo?
Sì. Quando Perón tornò in Argentina, io avevo diciannove anni e avevo cominciato a far parte dei circoli a cui si rivolgeva Bergoglio. Una delle frasi di Perón che mi colpì particolarmente all’epoca fu: “Per fare una rivoluzione, hai bisogno o di sangue o di tempo; se vuoi risparmiare sangue, devi usare tempo, e per risparmiare tempo, devi essere pronto a versare sangue”. Dal suo ritorno, Perón non ha mai propagandato la via del sangue. Ma è vero che alcuni hanno fatto ricorso in suo nome a mezzi che lui ha sempre rifiutato.
Quali erano i rapporti del cardinale Bergoglio con il governo?
Bergoglio ha flirtato con il mondo peronista, ma ha flirtato anche con il mondo liberale e progressista, sempre nella misura in cui gli conveniva. Si è sempre trovato bene con i governi di Buenos Aires, male con il presidente Kirchner, molto bene con Cristina Kirchner, al punto da farla incontrare con George Soros.
Che cosa pensa del libro Il papa dittatore di Henry Sire?
Quando il libro è uscito, ho potuto leggere alcuni estratti. Non ho mai letto il libro intero. Sono rimasto sorpreso dalla conoscenza e dalla precisione dell’autore e impressionato dal coraggio che ha dimostrato nel pubblicarlo.
Ho avuto il privilegio di leggere l’intervista a Sire in anticipo, grazie alla gentilezza di Gloria.tv, e sono completamente d’accordo con quanto detto dall’autore sul papa, meno con quanto dice sul peronismo. Per capire Bergoglio, bisogna tener conto dei suoi legami con la Casa Rothschild attraverso il Consiglio per il capitalismo inclusivo. Ciò che Sire e altri attribuiscono al “peronismo” di Bergoglio proviene in realtà dalla baronessa Lynn Forester de Rothschild, terza moglie di sir Evelyn de Rothschild: il concetto di inclusione, il grido dei poveri e il grido della Madre Terra sono concetti familiari al mondo oligarchico che questa signora rappresenta.
Qual è la funzione di Bergoglio in questo Consiglio?
La baronessa Lynn Forester ha detto in un’intervista che il suo Consiglio per il capitalismo inclusivo è il testo scritto e Bergoglio è la musica. Così, Bergoglio è il buffone di un gruppo plutocratico che vuole dare al capitalismo un “volto umano” perché questa gente è consapevole di essere diventata ipermiliardaria mentre il 90% della popolazione mondiale ha ricevuto qualche briciola della ricchezza che tutti produciamo. Bergoglio fa l’attore politico più che il Vicario di Cristo, titolo al quale del resto ha rinunciato dall’edizione 2020 dell’Annuario pontificio. Questo avviene sulla base del gesuitismo, che conserva le forme ma cede sui contenuti. Bergoglio stesso ha detto che nelle sue decisioni si affida “al suo istinto e allo Spirito Santo” e non tiene conto della Sacra Scrittura, della Tradizione e del Magistero.
Ci sono esempi di questo comportamento?
Nel 2014 ha spinto per un incontro tra l’allora presidente Cristina Kirchner con George Soros, che è avvenuto pochi mesi dopo. Ma non si è mai interessato di un medico argentino che è stato condannato nel 2018 da un tribunale provinciale (Rio Negro) per non aver eseguito un aborto. Questo medico ha salvato due vite, quella di una giovane madre che stava per abortire e per morire, e la vita del figlio. Bergoglio, inoltre, non ha mai incoraggiato i movimenti pro-vita che lottano contro la legalizzazione dell’aborto. Al contrario, ha inviato parole di incoraggiamento ai politici di sinistra che affrontavano cause penali e civili, anche se erano nemici della Chiesa.
Si dice che il cardinale Bergoglio abbia avuto dei segretari che frequentavano la messa di Pio X. Bergoglio sembra anche difendere la Fraternità sacerdotale San Pio X. Come si inserisce questo nel quadro?
È sempre stato tipico di lui giocare con gli opposti e cadere da un estremo all’altro. Un giorno è ortodosso, condanna l’aborto davanti a un gruppo di medici cattolici e lo chiama omicidio su commissione. Il giorno dopo riceve Emma Bonino o il presidente argentino abortista. Questo è sempre stato il gioco astuto di Bergoglio. Questo modo gli permette di non essere etichettato, anche se è una tattica di breve durata. Puro gesuitismo.
Gesuitismo significa doppiezza…
Si noti che Bergoglio ha iniziato il suo pontificato chiamando la secolarizzazione spirituale e la spiritualità secolarizzata il più grande problema della Chiesa, per poi finire per rendere la Chiesa un’organizzazione secolarizzata: la basilica di San Pietro come museo, la dottrina omosessualista, gli attacchi contro la Tradizione della Chiesa, il culto della pachamana, eccetera Questo è il gesuitismo, che conserva la forma gesuitica ma senza il contenuto. La Compagnia di Gesù è mutata in una Compagnia di Giuda Iscariota.
La tendenza all’omosessualismo di Bergoglio era già visibile in Argentina?
Per quanto ne so, no. Questo avrebbe reso impossibile la sua elezione a Papa. Però ci sono casi noti di sacerdoti che hanno mostrato un tale comportamento e hanno sempre potuto contare sulla protezione discreta di Bergoglio. Ha iniziato a farlo apertamente solo quando è arrivato alla cattedra di Pietro, per esempio quando ha dato rifugio e protezione politica ed ecclesiastica a qualcuno, come il vescovo Zanchetta.
Può confermare che Francesco seleziona collaboratori in base al fatto che possano essere controllati?
Purtroppo sì, e a tutti i livelli. Si è sempre circondato di personalità mediocri, sottomesse e servili. Lo stile di leadership di Bergoglio è quello di un despota che non permette né contraddizioni né giudizi indipendenti.
Una domanda personale. Lei ha avuto tre figli, due dei quali sono morti. Cosa dice ai genitori che subiscono un destino così terribile?
Attraverso il sacramento dell’Ordine il sacerdote diventa “un altro Cristo”, mentre attraverso il sacramento del Matrimonio noi persone sposate diventiamo collaboratori di Dio nella procreazione della vita. Il Salmo 127 dice che la benedizione e l’eredità di Dio nella vita è data attraverso i figli.
Perdere un figlio all’età di ventotto anni, una persona straordinaria e piena di bontà, come era nostro figlio Juan José, è stato per me e mia moglie il colpo più pesante che abbiamo dovuto subire. Grazie alla fede che abbiamo saputo accrescere nel corso della nostra vita, mia moglie ha potuto aggrapparsi alla Madre e partecipare al suo dolore ai piedi della croce da cui è stato tolto il corpo senza vita del suo Figlio divino.
Potevo sentire un dolore simile a quello che Dio provò come Padre quando vide Suo Figlio sulla via della morte. Non lo ha impedito perché sapeva che era così che noi umani avremmo raggiunto la salvezza dopo la resurrezione di Cristo. Immergermi in questo dolore mi ha permesso di affrontare il duro colpo di trovare mio figlio morto sulla soglia di casa mia, per sua scelta, perché aveva perso la speranza di poter affrontare una malattia che non poteva dominare.
Così come ho sofferto il grande dolore della sua partenza in quel momento, Dio mi ha dato la grazia della consolazione di poter condividere il dolore divino della partenza di suo figlio nella morte, permettendomi di guardare con gli occhi della fede in quel mondo in cui andiamo quando lasciamo questo mondo. In quel mondo nostro Figlio vive circondato dai santi che sono con lui per l’eternità. Come ho imparato dal cardinale Joseph Ratzinger, il segreto della vita cristiana è trasformare un male per cui soffriamo in un bene che porta frutto per gli altri, perché alla fine tutto quello che ci succede nella vita è grazia, se viviamo la fede pienamente come il Signore ci chiede, con dignità e senza comodità.
La partenza di nostro figlio ha significato per me mostrargli ogni giorno l’amore e la gentilezza che lui ha mostrato a tutti quelli che lo circondavano, nella speranza di poterci incontrare in cielo e fonderci in un abbraccio eterno dopo aver compiuto sulla terra la missione a cui Dio mi ha chiamato per il suo maggior onore e la sua maggior gloria.
Fonte: gloria.tv