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Mettere in discussione la visione immanentista e relativista della dottrina e della morale non è “indietrismo”. Significa restare saldi nella fede

di José Antonio Ureta*

Nelle ultime settimane papa Francesco ha ripetuto che i critici delle novità che sta introducendo nella Chiesa sono vittime dell'”ideologia”. A suo avviso, ciò avviene perché si rifiutano di incarnare la dottrina cattolica nelle vicissitudini della vita quotidiana dei battezzati e dei loro contemporanei.

Nella sua controversa conversazione con i gesuiti portoghesi a margine della Giornata mondiale della gioventù il papa ha attaccato il presunto “indietrismo” (guardare indietro) della gerarchia e dei laici americani: “La visione della dottrina della Chiesa come un monolite è errata”. Perché in “un clima di chiusura […] si perde la vera tradizione e ci si rivolge alle ideologie per avere supporto e sostegno di ogni genere. In altre parole, l’ideologia soppianta la fede, l’appartenenza a un settore della Chiesa rimpiazza l’appartenenza alla Chiesa”. E ha aggiunto: “Quei gruppi americani dei quali parli, così chiusi, si stanno isolando da soli. E anziché vivere di dottrina, della vera dottrina che sempre si sviluppa e dà frutto, vivono di ideologie. Ma quando nella vita abbandoni la dottrina per rimpiazzarla con un’ideologia, hai perso, hai perso come in guerra[1] .

Durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dalla Mongolia, il 4 settembre, papa Francesco è tornato su questa dicotomia dottrina/ideologia. Quando gli è stato chiesto di rispondere all’irritazione causata dal suo elogio degli autocrati russi Pietro il Grande e Caterina II, il papa ha dichiarato:

È vero che ci sono degli imperialismi che vogliono imporre la loro ideologia. Mi fermo su questo: quando la cultura viene “distillata” e trasformata in ideologia, questo è il veleno. Si usa la cultura, ma distillata in ideologia. Questo bisogna distinguere: quando si tratta della cultura di un popolo e quando si tratta delle ideologie che sorgono da qualche filosofo, da qualche politico di quel popolo.

E questo lo dico per tutti, anche per la Chiesa: dentro la Chiesa a volte si mettono le ideologie, che staccano la Chiesa dalla vita che viene dalla radice e va in su; staccano la Chiesa dall’influsso dello Spirito Santo.

Un’ideologia è incapace di incarnarsi, è idea soltanto. Ma quando l’ideologia prende forza e si fa politica, di solito diventa dittatura, diviene incapacità di dialogo, di andare avanti con le culture. E gli imperialismi fanno questo. L’imperialismo sempre si consolida in base a un’ideologia.

Dobbiamo distinguere anche nella Chiesa tra dottrina e ideologia: la vera dottrina mai è ideologica, mai; è radicata nel santo popolo fedele di Dio; invece l’ideologia è staccata dalla realtà, staccata dal popolo[2].

Alla domanda successiva su come evitare la polarizzazione al prossimo Sinodo, papa Francesco ha risposto: “Nel Sinodo non c’è posto per l’ideologia, è un’altra dinamica. Il Sinodo è il dialogo, fra i battezzati, fra i membri della Chiesa, sulla vita della Chiesa, sul dialogo col mondo, sui problemi che oggi toccano l’umanità”.

Un giornalista di Vida Nueva ha poi fatto riferimento al prologo de Il processo sinodale: un vaso di Pandora, in cui il cardinale Raymond Burke avverte che dal Sinodo scaturiranno calamità. Il giornalista spagnolo ha chiesto cosa pensasse il Papa di questa posizione e se potesse influenzare l’assemblea di Roma. Dopo aver prima eluso la domanda per raccontare la storia di alcune monache carmelitane che temevano il Sinodo, il Papa l’ha affrontata in modo generico:

Se si va alla radice di queste idee, troverai delle ideologie. Sempre, quando nella Chiesa si vuole attaccare il cammino di comunione, quello che attacca sempre è un’ideologia. E accusano la Chiesa di questo o di quell’altro, ma mai la accusano di quello che è vero: che è peccatrice. Mai dicono: ‘È peccatrice’. Difendono una ‘dottrina’, tra virgolette, che è una dottrina come l’acqua distillata, non sa di niente, e non è la vera dottrina cattolica, che è nel Credo[3].

Ciò che sembra emergere da questo linguaggio profuso e confuso è che la vera cultura e la vera Fede (in altre parole, la vera dottrina) sono un’emanazione dell’anima del popolo (e, nel caso delle dottrine religiose, del sensus fidei dei fedeli). Inoltre, la vera cultura e la vera Fede rimangono valide finché sono incarnate nell’anima di un popolo. Pertanto, la cultura e la dottrina vengono distorte quando sono scollegate dalla vita del popolo attraverso una distillazione intellettuale. Tale raffinatezza le trasforma nel bagaglio spirituale di una minoranza che vive rinchiusa in torri d’avorio e cerca di imporre le proprie asettiche e rigide convinzioni al popolo in modo imperialistico. I loro postulati sono scollegati dalla vita reale dei fedeli.

Cosa fare di questa comprensione dell’origine e dello sviluppo della cultura e della fede?

  • In primo luogo, è stata l’asse filosofico-teologico dell’intero pontificato di papa Francesco.
  • In secondo luogo, corrisponde alle sue convinzioni socio-politiche, fortemente influenzate dalle sfumature populiste della cosiddetta “Teologia del Popolo”.
  • In terzo luogo, è stata espressamente condannata da papa san Pio X nella sua enciclica antimodernista Pascendi Dominici gregis.
  • In quarto luogo, è sbagliato promuovere una presunta evoluzione della dottrina e della morale cattolica basata su una versione ridotta del Commonitorium di san Vincenzo de Lerin.

Approfondirò ciascuno di questi punti.

1) L’anti-intellettualismo di papa Francesco deriva da una visione immanentista e teilhardiana dell’universo e della storia, che attribuisce gli impulsi di nuove dinamiche nell’azione umana a un’azione considerata divina. Nella sua prima intervista a La Civiltà Cattolica, poi ripresa dalle riviste dei gesuiti di tutto il mondo, papa Francesco ha spiegato a padre Antonio Spadaro:

La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte”. Ha poi sottolineato che “Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo (…) Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove[4].

In virtù di questa visione, il papa ha sottolineato nell’Amoris laetitia la necessità di “prestare attenzione alla realtà concreta, perché ‘le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia’”[5]. Attraverso le “tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale”, come spiega nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, perché “le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita”, e “l’autore principale, il soggetto storico di questo processo, è la gente e la sua cultura, non una classe, una frazione, un gruppo, un’élite”[6].

Partendo da queste premesse immanentiste ed hegeliane, si comprende perché papa Francesco abbia scritto nell’Evangelii gaudium che uno dei quattro principi che guidano la sua azione è che “la realtà è superiore all’idea”[7]. Questo postulato può avere un’interpretazione tomistica della definizione tradizionale di verità: “Adaequatio intellectus ad rem” [conformità del pensiero alla cosa pensata]. Ciò significa che la corretta comprensione e le elaborazioni concettuali devono basarsi sulla realtà ed essere al suo servizio. Tuttavia, il postulato assume una connotazione diversa nel contesto sociologico-pastorale in cui papa Francesco lo inserisce. Come spiegava padre Giovanni Scalese nel 2016, “significa piuttosto che dobbiamo accettare la realtà così com’è, senza pretendere di cambiarla sulla base di principi assoluti, ad esempio principi morali che sono solo ‘idee’ astratte, che il più delle volte corrono il rischio di trasformarsi in ideologia”. “Questo postulato”, ha sottolineato padre Scalese, “è alla base delle continue polemiche di Papa Francesco contro la dottrina”[8]. E continuava: “Nell’agire umano è inevitabile lasciarsi condurre da alcuni principi, che per loro natura sono astratti. A nulla serve quindi polemizzare sull’astrattezza della ‘dottrina’, opponendole una ‘realtà’ a cui ci si dovrebbe semplicemente adeguare. La realtà, se non è illuminata, guidata, ordinata da alcuni principi, rischia di risolversi in caos”[9].

Tuttavia, come spiega il professor Giovanni Turco, per papa Francesco la verità è relativa in senso pieno, non in senso tomistico, “come relazione vitalistica e pragmatica che deriva da una situazione. Così intesa, la verità non ha un contenuto proprio, non può essere ‘assoluta’, ossia ‘valida sempre’, ma con ciò stesso cessa di essere verità (e diventa opinione)!”[10].

Ma cos’è un’ideologia, se non un insieme di mere opinioni? Così, la condanna delle ideologie da parte di Papa Francesco si ritorce come un boomerang contro se stesso a causa della sua comprensione relativistica di una “verità” situata.

2) Nello scenario socio-politico latinoamericano, questa visione del mondo immanentista e la sua corrispondente visione relativistica della verità si fondono nella Teologia del Popolo, che non si basa su verità provenienti dalla Rivelazione ma sui valori concreti e storici dei popoli. In un’intervista con il sociologo francese Dominique Wolton, papa Francesco ha spiegato questa interazione:

Negli anni Ottanta c’era una tendenza all’analisi marxista della realtà, ma poi è stata ribattezzata “teologia del popolo”. Non mi piace molto questo nome, ma è così che l’ho conosciuta. Andare con il popolo di Dio e fare teologia della cultura.

C’è un pensatore che dovreste leggere: Rodolfo Kusch, un tedesco che viveva nel nord-est dell’Argentina, un ottimo filosofo e antropologo. Mi ha fatto capire una cosa: che la parola “popolo” non è una parola logica. È una parola mitica. Non si può parlare di un popolo in modo logico, perché sarebbe solo una descrizione. Per capire un popolo, bisogna capirne i valori, entrare nello spirito, nel cuore, nel lavoro, nella storia e nel mito della sua tradizione. Questo punto è davvero alla base della teologia chiamata ‘teologia del popolo’. Vale a dire, andare con il popolo, vedere come si esprime”[11].

Commentando questo passo, il vaticanista Sandro Magister ha rivelato che “Kusch si ispirò alla filosofia di Heidegger per distinguere tra ‘essere’ e ‘stare’, qualificando con la prima categoria la visione razionalista e dominatrice dell’uomo occidentale e con la seconda la visione dei popoli indigeni latinoamericani, in pace con la natura che li circonda e animati, appunto, da un ‘mito’”[12].

3) Il problema più grave dei recenti commenti di papa Francesco su dottrina e ideologia è che sembrano molto simili alla visione modernista della natura evolutiva dei dogmi, basata sulla falsa credenza nell’evoluzione della coscienza umana.

Come è noto, con alcune differenze di sfumature, i modernisti condividono la convinzione che la Chiesa, la sua dottrina e il suo culto siano frutto della coscienza umana. Identificano la Rivelazione con un’esperienza religiosa chiamata “immanenza vitale” e propongono una “religione del cuore” basata su verità che corrispondono alle nuove condizioni di vita. Per i modernisti, quindi, la Chiesa e la dottrina devono adattarsi alle esigenze di ogni epoca perché la vita, compresa quella cristiana, è un continuo sforzo di adattamento alle nuove condizioni. Secondo loro, la fede non è un libero assenso a tutta la verità che Dio ha rivelato[13] perché questo sarebbe un’espressione di freddo intellettualismo. Al contrario, la fede sarebbe un senso interiore, originato da un bisogno del divino latente nel subconscio umano senza una precedente consapevolezza dell’intelletto. Inoltre, la Rivelazione non sarebbe più la comunicazione da parte di Dio a una creatura razionale di alcune verità su di sé e sulle leggi eterne della sua volontà, attraverso mezzi che esulano dal corso ordinario della natura, verità che ci vengono trasmesse dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione, perché tutto ciò sarebbe una forma di intellettualismo.

Per i modernisti, la Rivelazione è una manifestazione diretta di Dio all’anima attraverso il suo senso religioso. I dogmi diventano semplici formule che forniscono al credente un mezzo per spiegare la fede a se stesso. Con il mutare delle condizioni di vita e di coscienza, anche queste formule, soggette alle vicissitudini dell’esistenza delle persone, sono suscettibili di cambiare.

Nell’enciclica Pascendi Dominici gregis, papa San Pio X denuncia il pensiero modernista secondo il quale le formule religiose, “perché tali siano in verità e non mere speculazioni dell’intelletto, è mestieri che sieno vitali e che vivano della stessa vita del sentimento religioso”[14]. Per i modernisti, quindi, è necessario che il credente si guardi innanzitutto dall’attaccarsi “troppo alla formola, ma se ne giovi solo allo scopo di unirsi all’assoluta verità, di cui la formola rivela insieme e nasconde, si sforza cioè di esprimere ma senza mai riuscirvi”[15].

La conseguenza di quanto detto è che, per i modernisti, la Chiesa “trova la sua ragione di evolversi nel bisogno di accomodarsi alle condizioni storiche e di accordarsi colle forme di civil governo pubblicamente adottate”[16]. Questa evoluzione procede attraverso il conflitto e il compromesso tra due forze:

La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di lei è proprio dell’autorità religiosa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso[17].

Dal punto di vista modernista, se la Chiesa si rifiutasse di seguire questa evoluzione della vita e della coscienza umana, rimarrebbe una struttura rigida, che predica una “ideologia” superata e insipida come l’acqua distillata. Prevedendo questa accusa, san Pio X denunciò nella sua enciclica i pericoli delle teorie anti-intellettualistiche del modernismo:

Togliete di mezzo l’intelletto; l’uomo, già portato a seguire il senso, lo seguirà con più impeto. Di più, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che ogni perturbazione od occupazione dell’animo non è di aiuto ma d’impedimento alla ricerca del vero; del vero, diciamo, quale è in se; giacché quell’altro vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell’azione, se è acconcio per giocare di parole, poco interessa l’uomo a cui soprattutto importa di conoscere se siavi o no fuori di lui un Dio, nelle cui mani una volta dovrà cadere[18].

4) Nella citata conversazione con i gesuiti portoghesi, papa Francesco ha affermato che l’atteggiamento “reazionario” della Chiesa americana si basa sull’arretratezza. Spiegando la sua disapprovazione, Papa Francesco ha detto:

“Bisogna capire che c’è una giusta evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale purché si seguano i tre criteri che indicava già Vincenzo di Lérins nel V secolo: che la dottrina si evolva ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. In altre parole, anche la dottrina progredisce, si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e diviene più ferma, ma sempre progredendo. Il cambiamento si sviluppa dalla radice verso l’alto, crescendo con questi tre criteri. […]

Sempre su questa strada, che parte dalla radice con una linfa che sale e sale, e per questo il cambiamento è necessario.

Vincenzo di Lérins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita nella comprensione. La visione della dottrina della Chiesa come un monolite è errata[19] .

Questi passaggi meritano tre osservazioni.

In primo luogo, va notato come papa Francesco stabilisca, in modo modernista, la crescita della coscienza umana, aiutata dalla scienza, come motivazione di base per il progresso della dottrina.

In secondo luogo, quando afferma che tale crescita avviene dalle radici verso l’alto, Papa Francesco non si riferisce agli insegnamenti di Nostro Signore e degli Apostoli, ma piuttosto all'”influenza dello Spirito Santo” sul “santo popolo fedele di Dio” di cui ha parlato durante la conferenza stampa sull’aereo di ritorno dalla Mongolia.

In terzo luogo, papa Francesco tronca consapevolmente il Commonitorium di san Vincenzo de Lerins, come ha esaurientemente dimostrato il vescovo Tommaso G. Guarino:

C’è una crescita organica e architettonica nel tempo, sia negli esseri umani che nella dottrina cristiana. Ma questo progresso, sostiene San Vincenzo, deve essere di un certo tipo e forma, proteggendo sempre le precedenti conquiste dottrinali della fede cristiana. Un cambiamento non può creare un significato diverso. Piuttosto, le formulazioni successive devono essere “secondo la stessa dottrina, lo stesso significato e lo stesso giudizio” di quelle precedenti. (…)

Se dovessi consigliare il papa, lo incoraggerei a prendere in considerazione l’intero Commonitorium di san Vincenzo, non solo la selezione che cita ripetutamente.

Si noti che san Vincenzo non parla mai positivamente dei cambiamenti di rotta. Un tale cambiamento, in Lérins, non è un progresso nella comprensione della verità da parte della Chiesa; non è un caso di un insegnamento ‘ampliato dal tempo’. Al contrario, tali cambiamenti sono il segno distintivo degli eretici. (…)

Vorrei anche invitare Papa Francesco a invocare i salutari confini che san Vincenzo erige nell’interesse di garantire un corretto sviluppo. Mentre papa Francesco si attiene alla frase di san Vincenzo dilatetur tempore (ingrandito dal tempo), Lérins utilizza anche la suggestiva frase res amplificetur in se (la cosa cresce in sé). San Vincenzo sostiene che ci sono due tipi di cambiamento. Un cambiamento legittimo, un profectus, che è un anticipo, una crescita omogenea nel tempo, come quella di un bambino che diventa adulto. E un cambiamento improprio, che è una deformazione perniciosa, chiamata permutatio. Si tratta di un cambiamento nell’essenza stessa di qualcuno o qualcosa, come ad esempio un roseto che si trasforma in semplici spine e cardi. (…)

Un’altra barriera è l’affermazione vincenziana che la crescita e il cambiamento devono essere in eodem sensu eademque sententia, cioè secondo lo stesso significato e lo stesso giudizio. Per il monaco Vincenzo di Lérins, qualsiasi crescita o sviluppo nel tempo deve preservare il significato sostanziale degli insegnamenti precedenti. Per esempio, la Chiesa può certamente crescere nella sua comprensione dell’umanità e della divinità di Gesù Cristo, ma non può mai regredire dalla definizione nicena. L’idem sensus o “stesso significato” deve essere sempre mantenuto in qualsiasi sviluppo futuro. Papa Francesco cita raramente, se non mai, questa importante frase vincenziana, ma qualsiasi tentativo di cambiarla deve dimostrare che non si tratta semplicemente di un’alterazione, o addirittura di un’inversione dell’insegnamento precedente, ma è in realtà in eodem sensu con quello che l’ha preceduta.

Consiglierei anche al papa di evitare di citare san Vincenzo per sostenere i cambiamenti di rotta, come nel caso del suo insegnamento che la pena di morte è “di per sé contraria al Vangelo”. La comprensione organica e lineare dello sviluppo di San Vincenzo non comprende le inversioni delle posizioni precedenti[20].

Ciononostante, la modifica apportata da papa Francesco al Catechismo della Chiesa cattolica in merito alla pena capitale è stata proprio l’esempio che ha fornito nel suo discorso ai gesuiti portoghesi per avallare la sua affermazione che “la visione della dottrina della Chiesa come un monolite è errata”. A Lisbona si è spinto oltre le dichiarazioni precedenti, affermando che “la pena di morte è peccato, non si può praticare, e prima non era così”[21].

* * *

Per smontare la falsa alternativa presentata da papa Francesco, ovvero quella di dover scegliere tra una dottrina e una morale evolutiva o una rigida ideologia, è utile ricordare l’abissale differenza fra la tradizionale prassi pastorale della Chiesa e quella nuova del papa argentino. Come spiega Guido Vignelli, in senso tradizionale

La teologia pastorale è una scienza pratica che studia come adeguare la vita umana alle esigenze della Verità rivelata, realizzandone i principi dogmatici, morali e liturgici. Essa non indica la meta, ma solo la via da percorrere per raggiungerla annunciando e trasmettendo il Vangelo all’umanità in modo efficace e adeguato alle opportunità di tempo e di luogo.

Pertanto la pastorale dipende dalla dogmatica, dalla morale e dalla liturgia (…), non può cambiare dogmi, leggi e culti, (…)

La prassi pastorale, quindi, dipende dal dogma, dalla morale e dalla liturgia; (…) non può cambiare i dogmi, la legge e il culto (…)

La nuova pastorale [è] intesa non più come arte di convertire l’uomo a Dio (…) ma come ‘pedagogia del dialogo e dell’incontro paritario’ tra la Chiesa e l’umanità nella sua concreta situazione storico-sociale (…).

Alla fine del processo che descriviamo, si compie un rovesciamento: invece di adeguare la vita alla verità, all’inverso si adegua la verità alla vita; dunque la pastorale non è più via ma meta, non più mezzo ma fine. (…)

Presupponendo che la vita ha il primato sulla verità, la via sulla meta e il mezzo sul fine, la moderna teologia finisce col sancire il primato della pastorale sulla Dottrina. (…)

La prassi diventa criterio assoluto e legge suprema non solo della vita ma anche della dottrina e dell’insegnamento ecclesiali, per cui la funzione magisteriale è sostituita da quella pastorale.

Alla fine del processo, “l’ortoprassi diventa la sola ortodossia”, come a suo tempo denunciava un futuro papa (J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede, Paoline 1984, p. 197)[22].

Fondato su una teologia pastorale innovativa ed errata, l’attacco di papa Francesco ai cattolici americani per la loro fedeltà alle concezioni tradizionali della fede e del ministero pastorale è del tutto immeritato.

Inoltre, i fondamenti filosofici e teologici di questa accusa errata rivelano una concezione immanentista, relativista e populista della cultura e della Fede, simile a quella della “Teologia del popolo”, insieme a una visione modernista dello sviluppo evolutivo dei dogmi e della morale, condannata da tempo nella Pascendi Dominici gregis.

*coautore di Il processo sinodale: un vaso di Pandora: cento domande e risposte. Nel 2018 è stato autore di  Il “cambio di paradigma” di papa Francesco. Continuità o rottura nella missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato.

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[1] Antonio Spadaro, “Qui l’acqua è stata smossa per bene”La Civiltà Cattolica, 28 agosto 2023.

[2] Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno.

[3] Idem

[4] Antonio Spadaro, S.J., “Intervista a Papa Francesco“.

[5] Papa Francesco, Esortazione apostolica Amoris laetitia, n. 31.

[6] Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, nn. 221, 228 e 239.

[7] Papa Francesco, Evangelii gaudium, nn. 231, 233.

[8] Giovanni Scalese, I postulati di papa Francesco, Antiquo robore, 10 maggio 2016, n. 6b.

[9] Scalese, “I postulati”, n. 8.

[10] Giovanni Turco, “[Da leggere] alcune linee guida per la lettura filosfica del pontificato di Bergoglio“, Radio Spada, 25 giugno 2017.

[11] Papa Francesco e Dominique Wolton, A Future of Faith: The Path to Change in Politics and Society, traduz. Shaun Whiteside, e-book ed. (New York: St. Martin’s Press, 2018), 26-27.

[12] Sandro Magister, Il mito del Popolo: Francesco rivela chi gliel’ha detto, L’Espresso-Settimo Cielo, 18 settembre 2017.

[13] Catechismo della Chiesa cattolica, n. 150.

[14] San Pio X, Enciclica Pascendi Dominici gregis (8 settembre 1907), n° 11.

[15] San Pio X, Pascendi, n. 18.

[16] San Pio X, n. 25.

[17] San Pio X, n. 26.

[18] San Pio X, n. 39.

[19] Spadaro, “Qui l’acqua è stata smossa per bene”.

[20] Thomas G. Guarino, Papa Francesco e san Vincenzo di Lérins, First Things, 16 agosto 2022. Traduzione italiana qui.

[21] Spadaro, “Qui l’acqua è stata smossa per bene”, cit. L’ultimo paragrafo è stato omesso dalla trascrizione in spagnolo.

[22] Guido Vignelli, Una rivoluzione pastorale: sei parole talismano nel dibattito ecclesiale sulla famiglia, pp. 19-22.

Fonte: Edward Pentin

Traduzione a cura di Tradizione Famiglia Proprietà – Italia.

Attribuzione immagine: By Christoph Wagener – Own work, CC BY-SA 3.0Wikimedia.

Aldo Maria Valli:
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