di Nicolò Raggi
Caro Valli,
ho letto con piacere l’articolo del dottor Paolo Gulisano [qui] sulla figura del generale Vannacci e il dibattito [qui] che ne è seguito (ci tengo a precisare “dottor” perché Gulisano è medico, un vero dottore nel gergo popolare, mentre si è agevolmente esteso all’intera penisola il vecchio adagio napoletano secondo cui una laurea e un caffè non si negherebbero a nessuno).
Riassumendo, si potrebbe affermare che l’eccezionalità di Vannacci non sta né in ciò che dice, né tantomeno in come lo dice, e neppure nell’essere l’unico che lo dice, ma nell’essere l’unico che lo dice che abbia un grande risalto mediatico.
Bene, a questo punto, come ogni personaggio pubblico, ha le sue schiere di estimatori (detti anche fan, follower o tifosi) e di detrattori (haters o non so che altro), mentre una sana indifferenza non viene di massima nemmeno presa in considerazione.
Quella che, comunque, mi ha colpito del dibattito è stata la conclusione di Gulisano: sforzarci, come cristiani, di tendere alla perfezione.
Anche questa, che fino a pochi decenni fa sarebbe stata una non-notizia, ora la si colloca in bilico tra la presunzione e l’eversione: siamo talmente stati irradiati di misericordia 2.0 che non ci sembra proprio che sia il caso di arrivare a tanto.
Si può essere buoni cristiani – ci hanno detto – senza andare a messa, senza confessarci, senza pregare, senza inginocchiarci, senza percepire come vincolante nessuno dei Comandamenti, tanto che voler addirittura essere perfetti suona proprio blasfemo e in effetti, in questo cristianesimo senza Cristo, lo è senz’altro.
Mi accorgo, in quelle rare occasioni in cui ascolto la preghiera dei fedeli a messa, che anche in me si genera un sussulto di contrarietà di fronte agli avverbi “mai” e “sempre”.
Signore, aiutami a non peccare mai più. Signore, aiutami a fare sempre la Tua volontà.
Ma no, aiutami ogni tanto!
Eppure la stessa consacrazione religiosa una volta era chiamata “vita di perfezione” e i santi, pur non essendo perfetti, volevano con tutto il cuore esserlo ed era proprio questo desiderio, per Grazia e con volontà e abnegazione, a farli tali.