Diario di una cattolica del post Concilio / Così ho aperto gli occhi. Così voglio conservare la fede
di Claudia Regnani
Caro Valli,
comincio ad avere una certa età e quindi è da decenni che assisto all’evoluzione, o per meglio dire al più o meno graduale svelamento, di un pensiero “cattolico” che oggi va per la maggiore.
Negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II ero una ragazzina, ma ricordo bene alcuni fatti accaduti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta relativi a singoli sacerdoti o gruppi di fedeli del tutto deviati. In seguito è sembrato che gli estremismi potessero rientrare o tutt’al più restare confinati nell’ambito di isolati gruppi. Invece un certo pensiero non cattolico ha messo robuste radici all’interno della Chiesa e ha dilagato. E anche dal mio piccolo punto di osservazione ho potuto assistervi.
Il primo grosso choc per me risale a una trentina di anni fa.
Messa vespertina dell’Epifania. Il celebrante, parroco da poco tempo e insegnante presso un istituto di teologia, inizia l’omelia dicendo che la visita dei Magi a Gesù non deve intendersi come un fatto realmente accaduto. È un modo di dire, un simbolo. Allibita, mi guardo intorno per vedere la reazione degli altri fedeli: niente, tutti fermi, lo sguardo verso il celebrante, apparentemente attenti e concordi. Finita la messa, vado in sacrestia e manifesto la mia contrarietà. Il sacerdote mi guarda con aria di compatimento e mi dice: “Ma guarda che la gente è molto più avanti di quel che pensi tu”. Ammutolisco. Non so cosa voglia dire di preciso e non approfondisco, ma mi resta la sensazione dolorosa e amara di qualcosa che non va. Intanto mi prometto di non andare più alle messe celebrate da lui.
Stessi anni. Pranzo delle famiglie in parrocchia. Mi trovo accanto, presentato dal parroco, il medico che tiene le lezioni nei corsi di preparazione al matrimonio. Nella mia ingenuità, penso di approfittarne per porgli una domanda sui metodi naturali: fa una risatina. E per il resto della giornata vengo trattata come una povera minorata.
Qualche anno dopo. Stessa diocesi. Corso di formazione per catechisti. La relatrice, una giovane ed entusiasta signora frequentante il corso di teologia per laici, dice che anche Gesù ha dovuto crescere nella consapevolezza della sua missione, perché non gli era tutto chiaro da subito. Cita Karl Rahner e, a conferma della sua tesi, si rifà al brano di Vangelo della cananea.
Io, che non ho mai la risposta giusta al momento giusto, balbetto che invece Gesù ha voluto mettere alla prova la fede di questa donna. Solito sorrisino di compatimento, accompagnato da una risposta il cui senso, non troppo velato, è: cosa pretendo di saperne io, povera tapina che non ha studiato teologia? Come si vede, il recente commento di padre Spadaro a questo brano del Vangelo non è una novità.
Negli stessi anni. Conferenza spirituale tenuta da un frate. Il quale a un certo punto, parlando dell’episodio del centurione che chiede a Gesù la guarigione del servo, dice che è chiaro: si tratta di due omosessuali. Penso: proprio vero che quando uno ha il chiodo fisso su una cosa, la vede dappertutto. A quegli incontri non andrò più. Ma ancora una volta, sul momento, non riesco a reagire.
Ho in casa il Catechismo della Chiesa cattolica, edizione 1992. Al numero 2358 si legge: “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali innate. Costoro non scelgono la loro condizione omosessuale” In seguito il testo dev’essere stato cambiato. Infatti allo stesso paragrafo il sito vatican.va al posto di “innate” usa “profondamente radicate” e omette la frase successiva sostituendola con: “Questa inclinazione, oggettivamente disordinata…” Mi pare chiaro: qualcuno ha sbandato sull’argomento, qualcun altro ha cercato di ripararvi; ma la sbandata c’è stata già decenni fa.
Qualcosa sulla confessione. Una decina di anni fa vado con mio marito a visitare una basilica gotica del nord-ovest. All’entrata, noto un tavolino con una serie di fogli dedicati alla confessione. Incuriosita, mi fermo a leggere. Si spiega che al confessore non vanno riferiti solo i propri errori (non si parla di peccati). Bisogna dirgli anche le cose positive che uno fa nella vita. Mi chiedo: che vuol dire? Forse della serie: ho tradito la moglie, però, sa, faccio sempre l’elemosina all’immigrato, aiuto il vicino malato e do una mano alla vecchietta a fare la spesa?
Durante la visita vediamo in fondo ai transetti due confessionali barocchi. Belli, in legno, con tre bassorilievi ciascuno, uno dalla parte del sacerdote, raffigurante una scena della vita di Gesù, due dalla parte dei penitenti con immagini della passione. Così il sacerdote entrando in confessionale veniva richiamato al grave compito che si accingeva a compiere e al fatto che agiva in persona Christi, mentre il penitente inginocchiandosi si trovava davanti agli occhi le sofferenze patite da Gesù per i nostri peccati. Qui i confessionali barocchi, là i fogli all’ingresso. Sorge spontaneo un pensiero: è la stessa religione o sono due cose diverse?
Con il passare degli anni sono sempre più a disagio durante le celebrazioni liturgiche novus ordo, messa domenicale in particolare. Atmosfera da mercato all’inizio e immediatamente dopo la fine; nessuna possibilità di raccoglimento; appena dopo la comunione gli avvisi, accompagnati da lunghi e noiosi commenti di parecchi minuti; il confiteor sempre più ridotto fino a sparire del tutto; pressoché scomparso l’uso di inginocchiarsi; frequenti applausi. Quasi ogni volta una novità, un abuso. Ogni domenica mi reco a messa con ansia: come andrà a finire oggi? Cosa si inventeranno? Cerco di far fronte al mio malessere andando, per quanto possibile, alle messe meglio celebrate.
Finché esce il Summorum pontificum. Allora, mi dico, si può e si deve celebrare meglio: non sono io che non capisco o sono troppo insofferente.
È dopo questo motu proprio che da una religiosa sento parlare, ovviamente in senso negativo, di monsignor Lefebvre. Ne sono incuriosita. Non conosco la vicenda, all’epoca ero giovane e avevo altro cui pensare. Per documentarmi devo leggere qualcosa di lui. Cerco e trovo un libro che raccoglie sue conferenze tenute tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta.
È una vera scoperta. Vi trovo un uomo pacato, un vescovo, molto preoccupato per le sorti della Chiesa. Le sue critiche corrispondono alle mie perplessità. Comincio ad avere simpatia per lui e ogni tanto vado sul sito della FSSPX. Non mi spingo oltre, ma partecipo qualche volta a una messa vetus ordo di un gruppo Summorum pontificum. Mi fido di papa Benedetto XVI.
Tutto questo fino al 13 marzo 2013. Fin dall’inizio avverto nel nuovo papa, e nel clima attorno a lui, qualcosa di inquietante. L’esaltazione dei media e del mondo. Il diretto interessato che non fa nulla per calmarla ma anzi ne gode e la alimenta. In parrocchia è tutto un esultare, un riprendere le sue frasi, le foto, ogni gesto. Ai papi precedenti non veniva riservata tutta questa attenzione, nemmeno ai loro documenti più significativi. Veritatis splendor? Mai sentita nominare o proporre. Familiaris consortio? Così così. Non parliamo poi di Humanae vitae e Summorum pontificum: peggio che anatema. Dai pochi ai quali oso manifestare qualche dubbio spesso mi sento rispondere: è un papa vicino alla gente. Risposta che non capisco bene cosa voglia dire e mi lascia ancor più perplessa.
Vivo mesi di grande travaglio interiore. Tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, in un centro di accoglienza per migranti, il papa esorta a condividere bibbia e corano, perché, conclude, c’è un solo Dio, solo che agli uni ha parlato in una maniera agli altri in un’altra. Così Gesù Cristo diventa un optional. Mi si aprono gli occhi. Comincio a capire tutto il resto, dal “sia lodato Gesù Cristo” mai pronunciato ai gesti e discorsi fatti o non fatti.
In una delle prime interviste, alla domanda su cosa farà di fronte ai vescovi contrari al suo programma, la risposta del papa è che si aspetta che vadano in pensione oppure (con un certo sorriso, come sottolinea l’intervistatore) li tirerà per la capocchia come si fa con i chiodi. Non occorre aggiungere altro.
Penso che tutto ciò che ha fatto e farà questo papa si trovi già in Evangelii gaudium. È l’unico suo documento che ho letto per intero. Ho iniziato anche Amoris laetitia e Laudato sì’, poi ho smesso: perché sprecare tempo?
Tutti i distinguo (è intervista e non magistero, è stato interpretato male, non parla bene l’italiano), non stanno in piedi. Tutto era chiaro fin dall’inizio, nero su bianco. È stato coerente. Quel che ogni tanto appare in controtendenza va visto nell’insieme: come in un puzzle, quando all’inizio i singoli pezzi sembrano confusi e fuori luogo ma poi si scopre che si incastrano perfettamente.
Ma il problema non è lui. Ormai il grosso della Chiesa era pronto per il suo arrivo. Lui è semplicemente il papa che tanti aspettavano. Molti cattolici appaiono anestetizzati. Altri se ne sono andati. Un’altra parte (non saprei quanto numerosa) ha preso coscienza e soffre.
Da una decina di anni frequento la FSSPX. Il Signore è stato buono con me, non permettendo che mi smarrissi, perché anch’io per tanti anni ho vissuto all’interno di un clima modernista e vi ho aderito, in certe occasioni pure con entusiasmo.
Spiacevoli le critiche ultimamente mosse alla fraternità. Niente di nuovo, però. Le solite accuse trite e ritrite. Basta conoscere un po’ la storia per capire che monsignor Lefebvre non si è comportato da scismatico. Quanto al fatto che all’interno della FSSPX ci sono state divisioni, e questo sarebbe un segno che sono scismatici, viene amaramente da ridere. Premesso che viviamo in un mondo pieno di confusione e ne siamo tutti impregnati; che il diavolo la alimenta (basti pensare a quante apparizioni e messaggi circolano: il diavolo rimescola le carte in modo da far dimenticare o sminuire i veri messaggi celesti), se c’è un posto in cui la confusione regna sovrana è la Chiesa odierna. Qui un vescovo dice e fa una cosa, là un altro vescovo dice e fa l’esatto contrario. Forse qualcuno è infastidito perché le comunità Ecclesia Dei e Summorum pontificum sono state colpite, mentre la FSSPX pare di no. Ma se è per questo, basta aspettare. Toccherà anche alla FSSPX. Sicuro.
Nel frattempo, ironia della sorte, chi ha accusato la FSSPX di scisma è stato a sua volta accusato di eresia, addirittura dal presidente della Pontificia accademia di teologia, e ha organizzato un convegno con relatore un cardinale definito eretico e scismatico dal prefetto del Dicastero della dottrina della fede (notare il cambio di nome per poi col tempo alterarne il significato). Auguro loro – davvero di cuore – di riuscire a difendersi, ma la vedo dura. Ho l’impressione che alcuni vescovi e cardinali si troveranno, o già si trovano, in una situazione simile a quella vissuta da monsignor Lefebvre.
Il diavolo è astuto: sta utilizzando valori e parole del Vangelo, ovviamente distorte a suo piacimento, per attaccare la fede e la Chiesa. Niente di nuovo sotto il sole: vi aveva già provato con Nostro Signore.
Per quanto mi riguarda, voglio conservare la fede, quale mi fu donata dalla Chiesa. La stessa fede che fu di san Giovanni Battista, san Giovanni apostolo, san Paolo (povero Paolo! Cosa ne faranno?), di tutti gli Apostoli, dei primi martiri, dei santi dei secoli successivi, dei martiri del comunismo, insomma di tutti i santi. Così che leggendo i loro atti o i loro scritti mi possa ritrovare con compagni (loro giganti, io formichina) diretti verso la stessa meta. Non bisogna mai pensare: altri tempi, altre culture. È la nostra fede.
Devo paradossalmente ringraziare papa Francesco perché ha dato uno scossone alla mia fede che si stava intiepidendo. Prego ogni giorno per lui. Con tanta fatica, lo ammetto. A dimostrazione, casomai ce ne fosse bisogno, che sono un’indegna seguace di Nostro Signore Gesù Cristo.
Che Dio abbia pietà di noi e mandi il suo Figlio presto. Presto!