Libri scolastici, pensiero dominante e libertà di insegnamento
di Marco Radaelli
Caro Valli,
partecipo volentieri alla discussione da lei sollevata circa la problematicità (eufemismo) dei contenuti dei libri di testo scolastici. Essendo un insegnante, la “questione libri di testo” mi è molto familiare, e aprire un dibattito pubblico su tutto ciò in cui sono costretto a imbattermi ogni santo anno può certamente farmi sentire meno solo.
Entro subito nel merito: quasi ogni libro di testo, dalle elementari alle superiori, presenta ormai una ossequiosa genuflessione al mainstream.
Le nuove edizioni proposte dalle case editrici sono perfettamente in linea con quanto il politically correct impone. Non vi è libro di testo, di qualunque disciplina si tratti, che di anno in anno non cerchi di aggiornare i propri contenuti curvandoli verso l’Agenda 2030. I libri di Scienze propongono schede sui vaccini, come anche sull’aborto, sulla pillola e sulla crescita sostenibile; quelli di Storia e Geografia fanno approfondimenti sul clima, sulla sostenibilità ambientale, sullo sfruttamento delle risorse, sulla devastazione della Madre Terra, sulla brutalità di Cristoforo Colombo e dei missionari; e così via. A ciascuno il suo, insomma, e ognuno partecipa come può. A onor del vero c’è da dire che tutto questo non avviene di nascosto. In maniera molto limpida le case editrici dichiarano fin dalla copertina di recepire le proposte dell’Onu, applicando bollini con il logo dell’Agenda 2030. Insomma, sai cosa compri.
Capitolo a parte merita invece la recente introduzione dell’Educazione civica come disciplina indipendente, vero e proprio ariete con cui l’Onu è entrata nei programmi scolastici per un totale di 33 ore annuali (equiparata quindi a una materia da un’ora alla settimana). La giustificazione era quella di voler educare gli studenti ai valori di civiltà e di rispetto (come se prima, senza questa disciplina, questo non avvenisse), così da arginare la violenza dilagante tra i giovani di cui le cronache sono piene. Ma, a meno di non voler credere alle favole, e cioè che i giovani possano essere educati alla responsabilità e al rispetto aggiungendo una disciplina scolastica apposita, è evidente come questo fosse semplicemente un pretesto. La prova del nove, peraltro, è sotto gli occhi di tutti: i giovani che più di tutti hanno assorbito questi nuovi valori di civiltà sono senza dubbio anche i più incivili. Vogliamo parlare dei ragazzi di “Ultima generazione”, che dedicano le proprie giornate a bloccare strade e a imbrattare opere d’arte, senza alcun rispetto per chi la civiltà la crea per davvero, e cioè le persone che lavorano e gli artisti che creano capolavori eterni? La loro ignoranza parla per loro.
Nelle linee-guida ministeriali per l’Educazione civica (allegate al decreto ministeriale 35 del 22 giugno 2020) l’Agenda 2030 è esplicitamente citata più volte, e l’invito è quello di aiutare gli alunni a “compiere le scelte di partecipazione alla vita pubblica e di cittadinanza coerentemente agli obiettivi di sostenibilità sanciti a livello comunitario attraverso l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”. È sufficiente leggere l’indice di uno qualsiasi tra i libri prodotti per questa disciplina per accorgersi di come le case editrici abbiano semplicemente recepito questo invito, traducendolo in libro di testo (vedi foto), per raggiungere il loro scopo, e cioè vendere. Vi si possono trovare tutti i temi della nuova “religione civile”: dall’ecologismo a Greta Thunberg e ai Fridays for future, dall’emergenza climatica al riscaldamento globale, dal divorzio alle unioni civili, dai “nuovi tipi di unione affettiva” alle famiglie allargate. Vere e proprie Summae del pensiero contemporaneo.
Come vede, caro Valli, cercare di fare l’elenco o di segnalare tutto ciò che i libri di testo propongono agli studenti, oltre a essere impresa ai limiti del possibile (considerata ormai la quantità di riferimenti rintracciabili) è un fin troppo semplice tiro al piccione: ovunque si spara, si coglie. Insomma, nella scuola non accade né più né meno di quello che avviene in ogni altro ambito della società. La scuola non è – purtroppo – una bolla, e la mentalità dominante, come ha pervaso la società in ogni suo ambito, è entrata anche nelle aule.
Tuttavia vorrei provare a dare un punto di vista costruttivo alla discussione, e lo faccio partendo da un presupposto fondamentale: esiste – ancora – la libertà di insegnamento. Sempre più osteggiata dalla furia uniformatrice, ma comunque – ancora – non abolita. Questo permette uno spazio di azione non indifferente.
1- Innanzitutto sono gli insegnanti a scegliere i libri di testo da adottare. Nessun libro entra nell’elenco dei testi da acquistare se prima non è stato scelto dai docenti. Già qui, allora, può esserci un primo livello di opposizione, di difesa e di sbarramento. Esistono ancora libri di testo più “sani” di altri, basterebbe avere la voglia di cercarli.
2- Anche una volta adottato, il libro di testo non è sovrano. Lo diventa solo per quegli insegnanti che non sanno svolgere il proprio lavoro e dunque si riducono a seguire pedissequamente e in maniera acritica lo strumento che hanno sottomano. Normalmente, però, l’insegnante cosciente e preparato può sempre scegliere di cosa parlare e di cosa no, quali pagine assegnare da studiare e quali no. E può anche proporre argomenti che non sono presenti sul libro ma sono stati da lui conosciuti e approfonditi. Cioè: l’insegnante ha sempre la libertà di scegliere tra il bene e il male, e proporre ai suoi studenti un altro punto di vista.
3- La scuola rende possibile e anzi incentiva la partecipazione agli organi collegiali (commissioni, gruppi di lavoro, ecc.) che hanno il compito di predisporre programmi, scegliere libri, proporre attività e incontri con enti esterni. Per un insegnante, inserirsi in questi organi può essere – in negativo – un modo per opporsi al male bloccando le proposte più invereconde (inserendo quindi qualche granellino di sabbia negli ingranaggi della propaganda), ma può anche essere – in positivo – un modo per costruire il bene proponendo a sua volta libri, programmi, incontri o iniziative che possano essere realmente di crescita, cioè educative.
Fermo restando che, per un insegnante cosciente della propria responsabilità, il modo migliore per educare al bene i ragazzi rimane, per me, quello di svolgere bene il proprio lavoro, insegnando agli alunni a fare lo stesso. Dopotutto, non si può imparare cosa significa trattare bene le donne studiando bene Dante e l’amor cortese? Non si può imparare il rispetto verso gli altri studiando bene i grandi autori e i grandi filosofi? Non si può imparare che cos’è l’amore per il proprio Stato studiando bene la vicenda umana di Socrate?
Ma di questo, caro Valli, ho già parlato sia in una lettera precedente [qui], sia nel libro che di recente ho scritto sulla scuola, Educare insegnando, nel quale ho cercato di mettere in rilievo il profondo valore educativo di un lavoro scolastico ben fatto.