Non una crisi, ma una rivoluzione. Reazioni al mio articolo e qualche ulteriore elemento di riflessione

Dopo il mio articolo Non è solo una crisi, è una rivoluzione. Ecco perché per essere cattolici occorre essere controrivoluzionari [lo trovate qui], alcuni amici mi hanno scritto per complimentarsi. Tutti mi dicono che ho fatto centro. Accetto i complimenti molto volentieri  ma soprattutto mi sento incoraggiato a proseguire nella riflessione.

Da tempo penso che di fronte a ciò che sta succedendo nella Chiesa occorra una nuova lettura, con il conseguente uso di nuovi concetti. Le vecchie categorie non servono a interpretare fenomeni senza precedenti. E mi sembra che, in tal senso, l’idea espressa nel mio articolo, e cioè che siamo di fronte non a una crisi ma a una rivoluzione, possa essere una buona pista.

La parola crisi non la trovo adeguata perché qui ci stiamo confrontando non solo e non tanto con un passaggio, ma con una sovversione. Non si tratta di un semplice cambiamento o di un adeguamento. Siamo al rovesciamento. Siamo di fronte alla volontà di sovvertire, con il fine di arrivare a qualcosa di totalmente nuovo: una nuova chiesa per una nuova religione.

Ho impiegato parecchio tempo per aprire gli occhi. Ma forse non li volevo aprire. Non potevo accettare la realtà di un papa sovversivo. Ora però, dopo il modo a cui si è arrivati al sinodo sulla sinodalità e dopo la Laudate Deum, è impossibile non vedere. Lo scardinamento sta avvenendo contemporaneamente sul piano sia delle strutture sia dei contenuti. Nella Laudate Deum a dispetto del titolo (questa dei titoli beffardi è una costante, come in Amoris laetitia e Traditionis custodes) Dio è relegato in un cantuccio, quasi si trattasse di un accessorio di poco conto. E il sinodo sulla sinodalità non è altro che l’espressione di un finto assemblearismo grondante demagogia il cui scopo è duplice: celare il reale dispotismo che caratterizza questo pontificato e scaricare sulla sinodalità la responsabilità delle scelte.

Va sottolineato che il processo rivoluzionario al quale siamo di fronte non è incominciato con Bergoglio. Il Big Bang, se proprio vogliamo identificarne uno, è stato il Concilio Vaticano II. Da lì si è messa in moto la frana che ora sta travolgendo tutto e che con il pontificato di Bergoglio ha accelerato vistosamente.

Qualcuno dirà: ma come puoi definire rivoluzionari anche i tuoi amati Giovanni Paolo II e Benedetto XVI? Rispondo subito: non li definisco rivoluzionari nel senso pieno del termine, ma certamente, potendo osservare il tutto dalla prospettiva attuale, sostengo che già in quei pontificati c’erano elementi di sovversione (penso in particolare all’ecumenismo, al dialogo interreligioso e alla questione della libertà religiosa) che poi con Bergoglio sono arrivati a maturazione piena.

Tornando al presente, sottolineo che la rivoluzione per imporsi ha bisogno di destabilizzare e per destabilizzare deve disarticolare. Ecco dunque la sempre più marcata marginalità dei vescovi, ridotti ad aiutanti del principe, a burocrazia ottusa che può soltanto eseguire i diktat di Santa Marta, pena l’emarginazione o anche qualcosa di peggio. Un ridimensionamento che avviene (per paura, per codardia, per stupidità?) con la complicità delle stesse vittime, apparentemente felici di farsi normalizzare dal despota, come dimostrano le iniziative diocesane finalizzate a esaltare sia il sinodo sia la Laudate Deum.

Circa il mio articolo, un amico lettore, Giuseppe, mi scrive: “Il 1789 per la vita della Chiesa è stato il Vaticano II, come suggeriva lo stesso Ratzinger. Vero è che il cosiddetto regime del terrore venne dopo l’89”.

E un’amica lettrice, Laura, scrive: “È stato per me la spinta necessaria a prendere coraggio e a divenire, se Dio vorrà, controrivoluzionaria, insieme a tutti i cattolici indietristi decisi a far qualcosa di concreto per mantenere accese le lampade, cosicché Gesù, al suo ritorno, non abbia a dirci: non vi conosco! A sessantasei anni suonati forse è arrivato finalmente il momento del mio risveglio da quel profondo, comodo, caldo, silenzioso, letargo opportunista nel quale mi ero da troppo tempo accomodata”.

Forse Laura è troppo severa con se stessa e con tutti quelli come lei e come me. Non credo che sia stato l’opportunismo a impedirci di uscire allo scoperto. Semplicemente, non volevamo credere ai nostri occhi. Una forma di difesa che scatta anche in tanti amici i quali, pur rendendosi conto del processo sovversivo innescato da Bergoglio, ancora difendono a spada tratta il Concilio Vaticano II e i pontificati che ne sono scaturiti, come se tutto il male fosse esploso improvvisamente nel 2013 e non fosse in incubazione già da un bel po’ di tempo.

Torneremo su questi temi e soprattutto su che cosa significa, oggi, essere controrivoluzionari. Intanto vi segnalo l’articolo di un altro amico che si firma Sine Nomine (“purtroppo – scrive – non posso permettermi di svelarmi, perché i misericordiosi me la farebbero pagare”) e introduce un concetto sul quale forse vale la pena di incominciare a ragionare: il pontificato di Bergoglio come sede usurpata.

A.M.V.

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