di padre Graziano Di Plinio
Caro Valli,
eccomi qua con un’altra piccola segnalazione. Della serie: «Ma che ci sarà mai di tanto grave? Chi vuoi che ci faccia caso?». Scrivo perché siamo tutti consapevoli di quanto tempo abbiamo perso negli anni passati prima di renderci conto che tutti i nostri sospetti erano giustificati e che avremmo dovuto darci subito da fare per contrastare la deriva demolitrice che oramai è sotto gli occhi di tutti e sembra guadagnare ogni giorno più forza, al punto da sembrare ormai inarrestabile.
Premetto che mi costa scrivere queste righe, perché, nonostante non condivida tutto ciò che riguarda il movimento ecumenico e le scelte di chi nella Chiesa cattolica vi è impegnato in modo continuativo, conosco le buone intenzioni e la dedizione di alcuni di essi. Quindi la mia non è un’accusa generica a tutto, ma, in modo più circostanziato, ai responsabili della preparazione (e, credo, anche dell’adattamento) del sussidio per l’Italia. A cosa mi riferisco?
Per ragioni dovute al mio ministero ho tra le mani il sussidio ufficiale preparato per la celebrazione della prossima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio 2024). Lo schema di testi e preghiere per la celebrazione quest’anno è stato preparato da un gruppo ecumenico del Burkina Faso. Non discuto sui contenuti perché non ho ancora avuto il tempo di leggerli nella loro completezza. Quello che mi sconcerta è il testo della presentazione della Settimana nel sussidio per l’Italia, preparato dalla Comitato di presidenza del Consiglio regionale delle Chiese cristiane della Campania. Comitato che si presenta con la firma del suo presidente (la dottoressa Elisabetta Kalampouka Fimiani dell’Arcidiocesi ortodossa d’Italia – Patriarcato ecumenico), del vicepresidente (il pastore Franco Mayer della Chiesa Metodista di Salerno e Diaspore), il segretario (don Edoardo Scognamiglio, segretario della Chiesa cattolica).
Vado ora al cuore della questione. Nella Presentazione si esprime il desiderio, piuttosto «che interrogarci ancora sul fondamento dell’amore fraterno», di «offrire il nostro personale e comunitario contributo per realizzare il sogno della fraternità universale, facendoci noi prossimo nei confronti degli altri». In questo senso, secondo gli estensori della Presentazione, «sono ancora profetiche e attuali – per noi e per i cristiani del Burkina Faso e di ogni credente di qualsiasi fede e credo – le parole del poeta libanese Khalil Gibran». E quali sono queste parole? Eccole: «Ti amo fratello, chiunque tu sia, / sia che tu t’inchini nella tua chiesa, / o t’inginocchi nel tuo tempio, / o preghi nella tua moschea. / Tu ed io siamo figli di una sola fede, / giacché le diverse vie della religione, / non sono che le dita dell’amorevole / mano di un solo Essere Supremo, / una mano tesa verso tutti, / che offre a tutti l’interezza dello Spirito, / ansiosa di accogliere tutti».
Non è necessario commentare. Mi chiedo soltanto: 1) Allora anche le altre chiese o confessioni cristiane sono allineate nello stesso percorso sincretista chiaramente abbracciato dai vertici della nostra Chiesa cattolica? 2) Qual è lo scopo che si prefigge oggi il movimento ecumenico, dato che qui sembra confondersi l’ecumenismo col dialogo interreligioso? 3) Dovremo abituarci a sentir chiamare Dio con l’espressione “Essere Supremo”, che evidentemente può andar bene a tutti? 4) Se le diverse religioni sono le dita di un unico dio amorevole (l’Essere Supremo), perché dovrei essere cristiano piuttosto che induista? Perché dovrei sottopormi con rispettoso ossequio al magistero del Papa di turno invece che andare a prendere dallo scaffale del supermercato delle religioni ciò che più mi aggrada?
In definitiva: cosa resta più di Gesù Cristo in un’esperienza religiosa dove ogni profeta, o sacerdote, o santone, o sciamano è la manifestazione di un differente dito dell’unica mano di Dio, mano tesa verso tutti e che a tutti offre l’interezza dello Spirito (quindi anche della Verità)?
L’intento di chi ha proposto il tema «Ama il Signore Dio tuo … e ama il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27) non è stato rispettato da chi vi ha premesso questa citazione di Khalil Gibran. Nessuno, infatti, fuori dall’esperienza giudaico-cristiana, ha proposto la via indicata, e vissuta pienamente, da Gesù Cristo (il Dio che si è fatto nostro prossimo donando tutto se stesso per amore, fino alla morte di croce). E in nessun altro c’è salvezza. Certo, nella nostra vita cristiana dobbiamo operare affinché anche altri possano conoscere il Vangelo, e dobbiamo credere che la salvezza di Cristo può attraversare i confini della Chiesa. Ma è, appunto, sempre e solo la salvezza “di” Cristo, «il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione» (Dei Verbum, 2), nel cui mistero «si dà la rivelazione della pienezza della verità divina» (Dominus Iesus, 5).
Sono tempi infelici i nostri. Evidentemente, con la stessa velocità con cui cambiano le mode, oggi anche recentissimi testi del Magistero possono diventare in un attimo superati, troppo rivolti al passato, “indietristi”. Come ci sono gli “instant books” (libri prodotti e pubblicati molto rapidamente per soddisfare la domanda del mercato, ma la cui attualità e periodo di vendibilità è molto breve), così nella Chiesa iniziamo a conoscere anche l’“instant Magisterium” (dottrine sempre nuove e in continua e rapida riformulazione, così da soddisfare la sempre nuova domanda di inclusività del mercato della fede).