Caro Valli,
sono l’Obelisco di piazza San Pietro. Mi scusi se la disturbo, ma la devo proprio ringraziare.
L’intervista apparsa sul suo blog qualche giorno fa [qui] mi ha dato una visibilità inattesa e insperata, e questa settimana è stata per me piena di impegni. Non ricordo giornate così dense dai tempi di Nerone, quando campeggiavo al centro del suo circo e di certo non passavo inosservato.
Ho smesso di contare le persone che si sono fermate per ammirarmi e per cimentarsi con il latino scolpito alla mia base. Erano secoli che non sentivo più risuonare nella piazza questa lingua così nobile, che pure dovrebbe essere di casa qui in Vaticano.
Una cosa però devo assolutamente raccontargliela. Una persona, vedendomi da lontano, ha lasciato il gruppetto di amici con il quale stava parlando per corrermi incontro. Capisce, Valli? Un uomo ha ritenuto che valesse la pena interrompere quello che stava facendo… per me! E giunto ai piedi della mia base ha iniziato a scandire in un ottimo latino il bellissimo testo lì scolpito: “ECCE CRVX DOMINI. FVGITE PARTES ADVERSAE. VICIT LEO DE TRIBV IVDA”, quindi ha scattato una foto con la scritta in primo piano. Ma non è finita, caro Valli! Pensieroso, quest’uomo si è fermato un attimo a contemplarmi, poi ha fatto rapidamente alcuni passi indietro e con sguardo compiaciuto e soddisfatto ha scattato ancora alcune foto. Mi sono chiesto che cosa avesse immortalato per essere così contento, ma lui mi ha anticipato mostrandomi il risultato del nuovo scatto: c’ero sempre io, con la mia scritta ben visibile, ma questa volta sullo sfondo spuntava bellissima la Basilica di San Pietro. E allora ho capito. Ho capito che quell’uomo aveva capito, e che mi stava conoscendo per davvero. La scritta che io porto scolpita su di me, infatti, non parla di me. Non sono io il protagonista di ciò che porto addosso. Io provengo dall’Egitto, non sono io il leone della tribù di Giuda di cui parlo. E di certo le forze avverse non fuggono davanti a me. Parlo di Gesù, e tutto il mio valore consiste nel fatto di esserne un segno, piantato solidamente a terra perché la gente, guardandomi, possa ricordarsene. È la Basilica la protagonista, perché è in lei che quotidianamente si compie il miracolo della presenza del vero leone di Giuda. Il mio compito è quello di indicare, e quell’uomo lo ha capito. Non potevo esserci solamente io nelle foto. E infatti quell’uomo non mi ha più fotografato da solo: la Basilica era sempre ben visibile alle mie spalle.
Ma non è finita, sa? Terminato il suo servizio, l’uomo è corso incontro agli amici mostrandogli i risultati dei suoi scatti. E tutti si sono girati verso di me a guardare, seguendo con gli occhi quello che lui stava spiegando con le parole. E poi ha inviato le foto anche a quelli che non erano con lui, “diffondendomi” ai suoi contatti e “condividendomi” sui social. A questo punto non ho potuto fare a meno di chiamarlo, chiedendogli se potesse condividere le foto anche con me, perché io stesso non rischiassi di dimenticare quello che era accaduto. Allego le foto a questa lettera, così può verificare lei stesso la verità di quanto le sto raccontando.
Fortunatamente, prima che quell’uomo mi salutasse, ho fatto in tempo a chiedergli il suo nome e cosa lo avesse “attirato” a me, e la sua risposta, sorprendente, è stata questa:
Mi chiamo Marco Radaelli e sa, signor Obelisco, io sono stato diverse volte in questa piazza. Ho partecipato a udienze, manifestazioni e incontri, sono venuto perfino vestito da sposo con mia moglie. E poi, ovviamente, ci sono stato molte volte anche da turista, proprio come oggi. L’ultima volta sono stato qui a gennaio per il funerale di Benedetto. Conoscevo perfino la sua storia, e il cammino che dall’Egitto l’ha condotta a Roma, per poi essere spostato in mezzo alla piazza. Ma sa, Obelisco, non mi ero mai accorto della sua bellezza e del significato di cui è portatore. Finché non ho letto l’intervista che ha rilasciato all’amico Valli. Allora mi sono accorto che pur avendola vista moltissime volte e sapendo molte cose di lei, in verità non l’avevo mai conosciuta. E allora, trovandomi qui di passaggio, sono tornato per ammirarla meglio.
Sa, signor Obelisco, io sono un insegnante di Filosofia e di Storia, e tante volte mi capita di parlare di cose per me bellissime, ma che spesso non vengono colte nel loro valore e nella loro profondità dai ragazzi che cerco quotidianamente di risvegliare dal torpore. È un duro lavoro il nostro, di questi tempi soprattutto, ma l’insegnante può fare solamente una cosa: lavorare bene e sperare, puntando tutto sul cuore dello studente. Un cuore che è lo stesso mio e lo stesso di tutti gli uomini di tutti i tempi. Un cuore che è desiderio di verità, di bene e di bellezza. Un cuore che si può risvegliare ed esaltare nel momento in cui riconosce una cosa come vera, buona e bella, corrispondente alla propria natura.
Puntare sul cuore dello studente, cercando di fargli percepire la bellezza di cui siamo circondati. Bellezza che ovviamente non è intesa in senso puramente esteriore, ma profondo: bellezza come profondità, come ciò che allarga il cuore e lo risveglia. E questa può giungere da ogni dove: per un animo matematico, ad esempio, è bello il teorema di Pitagora perché ne risveglia e ne esalta le capacità logiche, così spiccate in lui come predisposizione, mentre la Pietà di Michelangelo è bella per un animo delicato che da essa viene ridestato nella sua sensibilità. Siamo tutti fatti per la bellezza, ma ognuno è differente in termini di qualità e inclinazioni. E allora uno può essere risvegliato da una bellezza, uno da un’altra, e uno da un’altra ancora! La bellezza è una, ma può creare brecce in molti modi, e può farsi strada nel cuore di ciascuno secondo le modalità e le sensibilità proprie di ciascuno. Possiamo dire che ognuno ha lo stesso cuore, ma, a seconda delle qualità proprie, ognuno può sperimentare la bellezza attraverso modalità e strade differenti. La bellezza è come un prisma che riflette in maniera molteplice i propri colori, uno per ciascun animo, secondo le sue modalità naturali di essere colpito! L’anima, dice l’immenso Platone nel Fedro, viene nutrita e accresciuta soltanto da ciò che è bello, vero, buono, mentre viene rovinata se si abitua a ciò che è brutto e fatto male. La bellezza infatti non passa da lì. Ed è per questo che da insegnante riparto ogni mattina, provandoci ogni mattina. Alcune volte ci riesco, e ho visto ragazzi fiorire. Altre volte invece no. Ma il punto è ripartire e riprovarci sempre di nuovo.
Ebbene, signor Obelisco, forse si sta chiedendo perché le racconto tutto questo. Semplice: perché a me pare che, leggendo la sua intervista all’amico Valli, mi sia accaduto proprio questo, stavolta vissuto dalla parte di uno studente: avendo un animo sensibile all’arte, ma anche al latino e alla religione, sono stato colpito da una cosa bella che non conoscevo, e questo mi ha portato a volerla conoscere di più, fino a comprenderne il vero e profondo significato. E così posso dire che la mia anima è stata nutrita e si è accresciuta in consapevolezza. Questa volta sono stato alunno suo e di Valli e mi sono lasciato colpire, e questo mi ha portato a comprendere un po’ di più quale grande missione ci sia nelle mani di un insegnante, e quindi anche nelle mie. Quindi grazie, signor Obelisco, e alla prossima!”.
Questo, caro Valli, è ciò che mi è accaduto dopo l’intervista che le ho rilasciato. Dovevo per forza raccontarglielo.
Un caro saluto
l’Obelisco di piazza San Pietro