di Marco Radaelli
Caro Valli,
intervistato da un quotidiano belga a proposito delle leggi sul fine-vita in discussione oggi in diversi paesi (non ultimo la Francia), il vescovo di Anversa monsignor Johan Bonny ha affermato: «Sosterremo sempre il rispetto della vita, ma mi rammarico che il Vaticano sostenga che l’eutanasia è sempre un male intrinseco, indipendentemente dalle circostanze».
Credo ci sia da rabbrividire davanti al cedimento, senza nemmeno l’onore delle armi, che certi ecclesiastici mostrano ormai di avere operato nei confronti della mentalità dominante. Le parole del vescovo sono anche rivelative, se ce ne fosse ancora bisogno, di quella tendenza che in un recente articolo di Duc in altum [qui] è stata benissimo denominata “ma-anchismo” e lei, caro Valli, aveva già denunciato nell’articolo del 2016 La Chiesa e la logica del “ma anche” [qui]: la tipica tendenza con cui la chiesa di oggi, mantenendo fermamente salda a parole la dottrina, si apre a sviluppi pastorali contrai alla dottrina stessa. “Sì, ma anche no”, appunto. Monsignor Bonny ce ne dà un luminoso esempio: se ho interpretato bene le sue parole – ma penso di sì, spazio per un fraintendimento non ne vedo –, il vescovo affermerebbe di essere a favore della vita sempre ma anche non sempre, e che in alcune circostanze (ovviamente in nome del discernimento, la parola magica con cui tutto può essere giustificato) l’eutanasia non è un male.
Per contrasto mi viene in mente la meravigliosa vicenda del grande cardinale Clemens August von Galen, il Leone di Münster, dalla città tedesca di cui fu vescovo dal 1933 al 1946, anno della sua morte. Un uomo che visse dall’inizio alla fine, e in una posizione di rilievo, il periodo tedesco a dominazione hitleriana. Non proprio il periodo migliore in cui mostrare il proprio coraggio. O forse sì.
Il motto episcopale di von Galen era Nec laudibus nec timore (né con le lodi né con la minaccia devierò dalle vie di Dio). E come vorrei che qualche vescovo di oggi lo riprendesse come proprio, percorrendo nuovamente i passi di questo gigante della fede che non si piegò nemmeno di fronte alla brutalità nazista pur di affermare la verità sull’uomo e sul mondo!
Nec laudibus nec timore, dunque. E di timore non ne ebbe davvero, quando nel 1941 tuonò da pulpito della sua cattedrale con tre prediche dirompenti contro quanto il regime nazista stava compiendo sia nei fronti della Chiesa (deportazione dei religiosi, occupazione e confisca dei conventi) sia nei confronti della propria popolazione, non solo di origine ebraica. Sembra che perfino lo stesso Hitler fosse giunto ad affermare che al termine del conflitto avrebbe fatto i conti con il cardinale lui «fino all’ultimo centesimo» (4 luglio 1942). Furono queste tre prediche a rendere von Galen il Leone di Münster, facendogli pure guadagnare, l’8 giugno del 1942, un articolo sul New York Times che lo definì come «l’oppositore più ostinato del programma nazionalsocialista anticristiano».
L’ultima predica è quella su cui vorrei in particolare soffermarmi. Erano i tempi del tristemente noto Aktion T4, il programma di eutanasia con il quale il regime aveva cominciato a eliminare sistematicamente le persone con disabilità fisiche e mentali. Un piano di sterminio parallelo, insomma, rivolto verso la popolazione che non solo risultava improduttiva ma, occupando inutilmente posti letto nelle cliniche e negli ospedali, era la più costosa per lo stato. Si iniziò con i bambini, arrivando poi ad allargare la platea dei morituri ai giovani e quindi ai pazienti adulti che vivevano nelle strutture sanitarie.
Il vescovo, venuto a conoscenza di questo piano di sterminio, il 3 agosto 1941 pronunciò dal pulpito una predica sul quinto comandamento – Non uccidere –, che per la potenza delle sue parole venne definita dal ministero della Propaganda guidato da Goebbels «il più forte attacco frontale sferrato contro il nazismo in tutti gli anni della sua esistenza».
Ne riporto uno stralcio profondamente vero, allora come oggi. Come vorrei che lo leggesse anche il vescovo Bonny, e tutta la compagnia sinodale che in questi giorni a Roma sta conducendo la Chiesa verso aperture inesplorate:
Se si afferma e si accetta il principio secondo cui possiamo uccidere i nostri fratelli improduttivi, calamità e sventura si abbatteranno su di noi quando diventeremo vecchi e deboli! Se permettiamo che uno di noi uccida chi è improduttivo, la sventura si abbatterà sugli invalidi che hanno esaurito, sacrificato e perduto salute e forza nel processo produttivo. Se permettiamo che uno di noi elimini con la forza i nostri fratelli improduttivi, la sventura ricadrà sui valorosi soldati che hanno fatto ritorno in patria gravemente feriti, mutilati, storpi, invalidi. Se anche per un’unica volta accettiamo il principio del diritto a uccidere i nostri fratelli improduttivi – benché limitato in partenza solo ai poveri e indifesi malati di mente – allora in linea di principio l’omicidio diventa ammissibile per tutti gli esseri improduttivi, i malati incurabili, coloro che sono stati resi invalidi dal lavoro o in guerra, e noi stessi, quando diventiamo vecchi, deboli e quindi improduttivi.
Basterà allora un qualsiasi editto segreto che ordini di estendere il metodo messo a punto per i malati di mente ad altre persone improduttive, a coloro che soffrono di malattie polmonari incurabili, ai vecchi deboli o invalidi, ai soldati gravemente mutilati. A quel punto la vita di nessuno di noi sarà più sicura. Una qualsiasi commissione ci può includere nella lista degli improduttivi, a suo giudizio diventati inutili. Nessuna polizia, nessun tribunale indagherà sul nostro assassinio, né punirà l’assassino come merita. […] Sventura al genere umano, sventura alla nostra nazione tedesca se non solo viene infranto il santo comandamento di Dio: “Non uccidere”, che Dio proclamò sul monte Sinai tra tuoni e lampi, che Dio nostro creatore impresse nella coscienza del genere umano fin dall’inizio del tempo, ma si tollera e ammette che tale violazione sia lasciata impunita».
Tutto chiaro, monsignor Bonny?
È sufficiente un’apertura all’eutanasia, pur piccola, pur circoscritta a una singola situazione, per demolire il principio. Perché a un principio non si deroga: aprire vuol dire demolire. Non si tratta soltanto di una deroga per una particolare situazione: così si sdogana il fatto che sia possibile uccidere qualcuno e dunque si demolisce il principio della sacralità della vita. Hai aperto. E quando hai aperto, perché vietarlo anche ad altri che vivono una situazione di disagio e vogliono farla finita? È il problema dei principi: se deroghi, non sono più principi. Se in presenza di un principio si rende possibile anche fare un’altra cosa, il principio non è più assoluto ma relativo. E se è relativo, fine. Un po’ di discernimento ed ecco che l’opposto viene giustificato. Esattamente quello che sta succedendo oggi.
Da docente di Filosofia e Storia, ho sempre studiato – e poi insegnato ai miei studenti – che la Verità è una sola. Se ne abbiamo due, non abbiamo più la Verità. Se iniziamo a pensare che la Verità è una ma anche no, siamo semplicemente illogici, perché è innanzitutto la logica, con il principio di non contraddizione, ad affermare che una cosa non può essere sé stessa e un’altra nel medesimo momento. Una Verità non può essere il suo contrario nello stesso momento. Perché, non mi stancherò mai di ripeterlo, la verità è vera e basta: non cambia a seconda dei tempi, delle mode, dei costumi o delle voglie. Con buona pace di tutti i discernimenti del mondo. E le giravolte dei vescovi.
Disse Pio XII: «Le tre prediche del vescovo von Galen procurano anche a noi, sulla via del dolore che percorriamo insieme con i cattolici tedeschi, un conforto e una soddisfazione, che da molto tempo non provavamo. Il vescovo ha scelto bene il momento per farsi avanti con tanto coraggio». Per la cronaca, von Galen venne beatificato il 9 ottobre 2005 da Benedetto XVI. Chissà che qualche vescovo, ritornando con la mente alla vicenda del Leone di Münster, non trovi in esse la forza di imitarne le gesta e la virtù. E soprattutto l’amore per la verità e il coraggio di gridarla dai tetti.
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Nella foto, il beato Clemens August von Galen (1878 – 1946)