Di Cesare Cavalleri (1936 – 2022), il mio primo maestro di giornalismo, ce ne sono stati tanti. C’è stato il direttore della rivista culturale Studi cattolici, il cuore e l‘anima della casa editrice Ares, il critico televisivo di Avvenire, il polemista all’acido muriatico, il commentatore sottile dei fatti d’attualità. E poi c’è stato il critico letterario. Innamorato della letteratura e lettore instancabile, Cavalleri ha recensito centinaia di scrittori e di libri, ed ora l’intera sua opera è disponibile in un libro, Letture. 1967-2022, che assomiglia a un dizionario, ma è molto di più. È una appassionante cavalcata tra nomi e titoli, sempre condotta con piglio arguto, spesso con sguardo ironico, altrettanto spesso esercitando il sacrosanto diritto alla stroncatura.
Letture è un librone di 1320 pagine e naturalmente un libro così non lo si inizia dalla pagina uno per terminarlo alla pagina milletrecentoventi. Un libro così – questo almeno è il mio modo di leggerlo – lo si spiluzzica partendo da dove si vuole e, in genere, arrivando dove vuole Cavalleri.
Rispetto a chi non ha conosciuto Cesare, il sottoscritto ha un vantaggio. È al corrente delle sue idiosincrasie e dei suoi amori, per cui sono andato a colpo abbastanza sicuro. Volendomi divertire un po’, non ho avuto dubbi. Ho cercato prima di tutto la voce Eco, Umberto, mi son messo comodo e ho incominciato a sorridere ancor prima di leggere. Sentite qui: L’isola del giorno prima? “Un libro inutile, innervosente, kitsch, pretestuoso e presuntuoso”. Il pendolo di Focault? “Non ha altra lingua che quella dei giornali studenteschi d’una volta, mescolata a condensati del Reader’s Digest, con fastidiose sciatterie”. Baudolino? “Un libro stucchevole, tedioso, pedante, supponente e sussiegoso”. E poi Cavalleri dice di invidiare il lettore comune, che i libri così li può anche mollare dopo poche pagine, mentre il critico coscienzioso questa libertà non se la può prendere e gli tocca andare fino in fondo.
Dal che deduciamo che Cavalleri i libri che recensiva li leggeva davvero, e considerava il suo lavoro di critico un servizio al lettore.
Ma, ovviamente, era un servizio che Cavalleri faceva prima di tutto a sé stesso. Perché leggere, e rileggere, gli piaceva tantissimo. E leggeva un po’ come lo scienziato conduce i suoi studi in laboratorio o il detective fa le sue indagini: con la passione del ricercatore che non può e non vuole fermarsi alla superficie, all’apparenza, e tanto meno al “così dicono tutti”, ma scava e indaga, anche a costo di scoprire qualcosa di spiacevole.
Secondo me il miglior Cavalleri era quello che stroncava senza pietà. Fossi stato un autore, non avrei dormito sonni tranquilli sapendo che Cesare avrebbe potuto mettermi nel mirino. Sotto il suo bisturi affilato finirono in tanti. Oltre a Eco, per esempio, Eugenio Scalfari (impreparato e saccente), così come i salottieri Arbasino, Baricco e Margaret Mazzantini. Rese invece l’onore delle armi a Roberto Calasso, portatore di una visione del mondo opposta alla sua, ma autore di “bellissimi, eruditissimi, intelligentissimi libri”.
Sì, Cesare il terribile era capace di grandi elogi. E anche a questo proposito sono andato a colpo sicuro. Ho cercato sotto la lettera D ed eccolo: Doninelli, Luca, il mio amico Luca, compagno di stanza all’Avvenire nei primi anni Ottanta, ma soprattutto grande narratore e romanziere, come Cesare puntualmente certificava: “Breve romanzo e capolavoro assoluto è La polvere di Allah, di Luca Doninelli. È la dimostrazione di come lo scrittore, quando è autentico scrittore, sa trasfigurare l’autobiografia in letteratura”. E in un’altra recensione, per un altro libro di Doninelli: “Lo si deve scrivere così un romanzo contemporaneo, così come Luca Doninelli ha scritto Tornavamo dal mare”.
C’è poi tutto il capitolo della poesia, perché Cavalleri amava la poesia forse ancor più della prosa, e le pagine sui poeti sono un libro nel libro. Con accenti indimenticabili. Come quando, occupandosi di Montale (forse l’autore di cui scrisse di più), annota: “Poesia è il lamento dell’uomo che vuol essere Dio, o dell’uomo che ammette di non essere Dio. In ogni caso, macerie. Macerie che amiamo perché amiamo tutto l’umano”.
Il fatto che in questo libro vi siano molti libri mi ha incoraggiato a compulsarlo secondo i miei interessi. Quindi tra i primi nomi sono andato a cercare Corti, Eugenio, l’autore del capolavoro Il cavallo rosso, una scoperta di Cesare Cavalleri, il quale ne parlava così: “Eugenio Corti ha scritto un romanzo che avrà un posto a sé nella letteratura dei nostri anni… Un romanzo che ha il respiro di Guerra e pace… La conferma che la grande arte viene sempre dal lavoro solitario…”.
E un libro nel libro è, per esempio, anche quello che troviamo sotto la K di Kundera, Milan, là dove Cavalleri annota la sua scoperta: “A partire da Lo scherzo (1965) Kundera ha riscritto sempre lo stesso libro. Quando avrò tempo scriverò un lunghissimo saggio in cui seguire, di libro in libro, le variazioni e i camuffamenti degli stessi temi, già tutti presenti nella prima opera, e sarà bellissimo riconoscere le metamorfosi e le trasfigurazioni”.
Venendo a tempi più recenti, mi è venuta la curiosità di andare a leggere la voce D’Avenia, Alessandro, e ho trovato la recensione di Bianca come il latte, rossa come il sangue scritta per Studi cattolici. Più che una recensione, a dire il vero, un colorito riassunto (sentite qui: “Il simpatico Leo, protagonista del lanciatissimo romanzo d’esordio di Alessandro D’Avenia, è un fessacchiotto o, per dirla con Montale, un pirla”), ma poi ecco, in fondo, la pennellata che ti resta nella memoria: “Mi rendo conto di aver compiuto una lettura fin troppo adulta di un romanzo giovanile che, dicono le classifiche, sta appassionando i giovani. Mi fa piacere, ma ognuno legge per quello che è, e dice quello che sa. E chi non ha un passato, peggio per lui. Adulare i giovani, o travestirsi da giovane, è il peggior servizio da rendere ai giovani”.
Sebbene sunteggiare un libro come Letture sia impossibile (bisognerebbe parlare – vado in ordine sparso – per lo meno delle pagine su Pound, Ungaretti, Susanna Tamaro, Solmi, Quasimodo, Raboni, Antonia Pozzi, Irène Némirovsky, Ceronetti, Buzzati, Parazzoli, Pomilio, Rimbaud…), mi sembra, grosso modo, di aver reso l’idea. E se anche voi amate leggere, in particolare narrativa e poesia, vi consiglio di non lasciarvi scappare questo librone introdotto da un affettuoso ricordo di Giuseppe Romano, un altro caro amico, che aiutò Cavalleri a sistemare e organizzare l’enorme mole di recensioni. Fino agli ultimi giorni terreni di Cesare.
Anch’io fui partecipe di quegli ultimi giorni, e ho ben impresso nel cuore il ricordo di un uomo sempre sagace e spiritoso, ma anche reso più dolce e quasi già trasfigurato dall’imminente contemplazione dell’eterna bellezza.
A.M.V.
______________
Cesare Cavalleri, Letture. 1967 – 2022, Ares, Milano 2023, 1320 pagine, 30 euro