di Vincenzo Rizza
Caro Valli,
è di qualche settimana fa la notizia [qui] del raduno di un migliaio di persone appartenenti ad un’associazione denominata “Canine Beings” (Essere canini) tenutosi a Berlino.
I pittoreschi partecipanti, per lo più travestiti da cani, hanno manifestato in piazza abbaiando e ululando con bestiale perizia: rivendicano infatti il diritto di identificarsi come cani e non come essere umani.
In effetti, vedendo le immagini del raduno qualche dubbio che i manifestanti non siano proprio assimilabili al genere umano è quanto meno legittimo. Il problema, tuttavia, è un altro. Le aperture alle teorie gender che imperversano da qualche anno fanno nascere importanti interrogativi: se un uomo può pretendere di essere riconosciuto come donna e viceversa, perché un bianco non può pretendere di essere riconosciuto come nero e viceversa, oppure un anziano non può pretendere di essere riconosciuto come adolescente e viceversa?
Allo stesso modo, se ciascuno ha diritto di definire ed esprimere la propria identità, come posso negare a un individuo di pretendere di essere riconosciuto anche dagli altri come un cane, un pomodoro o una scopa?
Sono i nuovi “diritti” che avanzano; un’avanzata inarrestabile, che non guarda più al reale ma al desiderio. Due più due fa quattro ma nessuno può impedirmi di pensare (sbagliando) che possa fare cinque; il problema nasce qualora io dovessi pretendere che anche per tutti gli altri la somma debba essere uguale a cinque solo perché un giorno io “mi sento” che l’aritmetica è una mera opinione.
Posso solo immaginare la reazione che avrebbe avuto il mio professore di matematica del liceo a una risposta del genere (o di genere? certamente degenere). Come minimo mi avrebbe giustamente invitato a fare pace con il cervello o, più probabilmente, avrebbe espresso tutto il suo disappunto identificandomi (questa volta correttamente) come asino e premiandomi con un meritato due sul registro. Questo anni fa, perché oggi sarebbe tacciato di essere discriminatorio e non inclusivo, mettendo a rischio il posto di lavoro.
Ciascuno ha diritto di vivere come vuole (non è questo in discussione), anche di sentirsi e vivere come un cane, ma non può pretendere che gli altri debbano essere costretti per legge ad assecondarlo.
Si narra che san Tommaso, avviando i propri corsi, sarebbe stato solito indicare una mela sentenziando: “Questa è una mela. Chi non è d’accordo può anche andarsene”. L’attribuzione della frase al Dottore Angelico è verosimilmente apocrifa, ma la sostanza cambia poco: il dialogo e il rispetto presuppongono la condivisione di alcuni elementi fondamentali, a partire dalla realtà fenomenologica. In mancanza, non può esserci alcun serio confronto.
Il serio confronto, tuttavia, non è ciò che cercano i neo-sacerdoti della (pseudo)cultura che si sta prepotentemente imponendo. Così negli Stati Uniti, culla della follia woke, si sta perfino discutendo se eliminare o comunque ridimensionare la matematica dai programmi scolastici per agevolare i bambini che appartengono alle minoranze nere e ispaniche, i quali non raggiungono gli standard minimi di profitto: in effetti è risaputa la natura pericolosa e xenofoba di aritmetica e geometria, che sono ancora inspiegabilmente legate a rigorose formule che se ne infischiano del relativismo imperante.
Presto, tuttavia, il problema sarà risolto: naturalmente non aiutando anche chi ha più difficoltà a crescere e migliorarsi (questo, in teoria, dovrebbe essere il compito della scuola e questa dovrebbe essere l’aspirazione di ogni sistema educativo), ma livellando tutto verso il basso, come si addice a una civiltà stanca e decadente come la nostra.
Un po’ ciò che sta succedendo nella nostra amata Chiesa, che da tempo ha rinunciato a insegnare i veri valori, ritenuti, nel migliore dei casi, impossibili da raggiungere e, nel peggiore, orpelli di un passato buio e da dimenticare, frutto di uno spietato “clericalismo” (qualsiasi cosa voglia dire quest’abusata espressione) che imprigionano l’uomo in inutili precetti e regole.
Di uomini e bestie