di Fabio Battiston
Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco; le considerazioni che seguono non intendono minimamente mettere in discussione la libertà di stampa. Quella libertà troppo spesso invocata da coloro che poi vorrebbero mettere a tacere pensieri e opinioni a loro non confacenti. No, nessuna voglia di censura; i problemi sono di altra natura.
Qui intendo parlare di un quotidiano che tutti i credenti (e non solo) conoscono col nome di Avvenire. Esso non da oggi costituisce la croce e la delizia di una stessa categoria umana alla quale il giornale – almeno in linea teorica – dovrebbe principalmente riferirsi: i cattolici (più o meno praticanti e convinti).
Vero è che un punto qualificante della testata, rivendicato da tutti i direttori che si sono succeduti dal 1994 a oggi – a partire da Dino Boffo sino all’attuale Marco Girardo, passando per Marco Tarquinio – è stato quello di volersi rivolgere a una platea ben più vasta di quella offerta dal cattolicesimo nazionale. Un’agorà che potesse comprendere non solo chi credente in nostro Signore non è più (o non lo è mai stato) ma arrivasse a “interagire” con una sempre più ampia platea di soggetti sociali, politici, economici e anche religiosi. Avvenire è riuscito talmente bene nel conseguimento di quest’obiettivo che oggi la diffusione del quotidiano, a livello nazionale, si colloca ai primi posti delle classifiche di vendita, gareggiando con le ben più famose e radicate testate del mainstream massmediale cartaceo e web. Questa crescita (nonostante numerose copie del quotidiano siano presenti nelle bacheche domenicali di moltissime chiese) non può essere certo attribuita al popolo delle parrocchie che, come noto, è da anni in costante diminuzione. Gli indicatori in crescita di lettori e simpatizzanti hanno quindi certamente beneficiato di robuste iniezioni di nuova linfa proveniente dai più disparati settori della società italiana. Questa realtà si è sviluppata in primo luogo perché si è avuta – in particolare in questi ultimi dieci, quindici anni – una decisa svolta del quotidiano verso contenuti religiosi sempre più affini alla Nuova Chiesa Universale, promossa dall’inquilino di Santa Marta. Tematiche vicine al Deep State, al politicamente/cattolicamente corretto e alle politiche Onu. In secondo luogo (ma non secondariamente) per un innegabile posizionamento politico del giornale su quel versante che una volta si diceva cattocomunista e che oggi si riconosce, a livello europeo, in quella sedicente maggioranza Ursula che da anni spadroneggia in Europa con le sue folli politiche a trazione popolar-socialista. È la medesima compagine che ha negato di inserire le radici greco-giudaico-cristiane come elementi fondanti della civiltà e dell’etica europea.
Per una plastica dimostrazione di quanto affermo è sufficiente esaminare la storia di molti degli attuali giornalisti e collaboratori del quotidiano. Persone degnissime, per carità, tuttavia quasi sempre associate – per esperienze, militanza e attivismo – a quel cattolicesimo sociale esploso dal 1968 e che oggi è il portabandiera di tutto ciò che la chiesa cattolica 2.0 propone in tema di immigrazione, diritti civili, LGBTQIA…XYZ, clima, ambiente, universalismo, mondo latinoamericano eccetera.
A questo punto qualsiasi non appartenente al cosiddetto mondo cattolico tradizionale, leggendo questa analisi, avrebbe tutte le ragioni per affermare: “E allora? Qual è il problema? Si tratta di un giornale che ha scelto convintamente una sua strategia che si sta rivelando vincente. È il bello dell’informazione libera e democratica”.
Giusto, se non fosse che per un piccolo particolare. Un particolare che, neanche a farlo apposta, fa traslare il tema da una critica a un quotidiano a quello, molto più grave e problematico, del rapporto tra i credenti non inclini alla rivoluzione bergogliana e la Chiesa temporale nelle sue più alte gerarchie.
Infatti il problema non sono tanto Avvenire e la sua linea, il suo posizionamento. Il vero, grande problema è rappresentato, per almeno una parte dei fedeli in Italia, da chi lo sostiene, anche materialmente, dal “di fuori”.
Questo quotidiano – i cui direttori, vicedirettori, redattori e collaboratori hanno sovente rivendicato la loro piena autonomia rispetto alla gerarchia ecclesiastica – ha come tutti i giornali di questo mondo un editore, una proprietà. Quest’ultima (attendo eventuali correzioni in merito) è per oltre i due terzi riconducibile alla Cei, attualmente presieduta dal cardinale Matteo Zuppi. Anche il lettore meno attento e smaliziato (chi scrive, per farsi del male, ogni mattina fruisce delle delizie on line di avvenire.it) potrà certamente verificare i contenuti, le posizioni, le battaglie giornalistiche e le iniziative che questo quotidiano propone costantemente ai suoi aficionados. Dalla Tradizione alle Scritture, dal gender all’ambientalismo, dall’eutanasia al clima, dall’immigrazione al pacifismo, per finire alla politica, le tesi del quotidiano appaiono sostanzialmente in linea con tutto ciò che monsignor Viganò (e tanti altri nella sua scia) sta da tempo denunciando come il male che distrugge la Chiesa cattolica apostolica romana. Il punto fondamentale, per chi vive una profonda crisi nel proprio rapporto con la Chiesa temporale di oggi, è capire se quest’autonomia rivendicata dalla testata è reale o è solo una dichiarazione di facciata. Nel primo caso ci aspetteremmo di assistere, almeno sugli argomenti più eclatanti, a specifiche divergenze tra contenuti giornalistici e proprietà. Dovremmo notare l’apertura di dibattiti in cui i rappresentanti dei vescovi italiani potessero far sentire un’altra voce. Se invece prevalesse il secondo aspetto la sintonia sarebbe, e apparirebbe, pressoché assoluta.
Nell’incipit della voce Avvenire su Wikipedia® leggiamo:
Il quotidiano si muove nel rispetto della dottrina della Chiesa cattolica ma in piena autonomia dalla gerarchia: infatti può prendere una sua posizione “per difendere e sostenere valori sulla base di motivazioni umane, morali, solide e profonde”.
Prendo per oro colato questa solenne affermazione e la trasferisco, come si dice a Roma, paro paro nella realtà odierna. Ci sentiamo in tutta coscienza di affermare che il muoversi nel rispetto della dottrina della Chiesa cattolica sia, ormai da anni, una prerogativa di Avvenire? E se ciò non è, o non è più, quale dovrebbe essere la risposta della Cei ogniqualvolta leggiamo articoli a dir poco sconcertanti sulla crisi della liturgia, sull’accettazione del transgender nella Chiesa, sul sincretismo religioso, sul catastrofismo climatico unito all’adorazione del creato e via discorrendo?
Le risposte sono semplici e quasi banali nella loro ovvietà.
Primo. Il quotidiano si muove nel rispetto non già della dottrina della Chiesa cattolica, bensì della dottrina di una Chiesa ormai “fluida”, non più legata alla Tradizione ma all’ermeneutica di un magistero relativista, ormai ridotto a un insignificante orpello. Una dottrina immaginata e poi sviluppata concretamente negli ultimi sessant’anni. Una fluid doctrine che oggi Jorge Mario Bergoglio ha reso trionfalmente vittoriosa.
Secondo. La Cei nel suo assordante e continuo silenzio, rispetto ai contenuti della testata, dimostra senza tema di smentita di essere pienamente in sintonia con essi. Di più: rappresentandone il principale proprietario, la Conferenza appare (spesso forma e sostanza coincidono) come l’ispiratrice stessa di una linea editoriale che sconcerta e spesso indigna molti credenti.
In conclusione, Avvenire fa solo il suo mestiere e, giornalisticamente parlando, lo fa anche molto bene. Pur trovando semplicemente ributtante il 90% dei suoi contenuti, non posso non riconoscere la capacità dei direttori che si sono succeduti al suo comando, e le redazioni che si sono via via succedute, nello sviluppare (non certo in autonomia ma in totale simbiosi con la Cei) una linea che oggi è il vero e proprio braccio armato informativo di una Chiesa temporale, essa sì, unica e vera responsabile dello sfacelo cui stiamo assistendo.
Con il suo silenzio assenso, infatti, la Conferenza episcopale italiana – cioè la totalità dei nostri Vescovi, coloro che dovrebbero essere la nostra guida e che insieme al Santo Padre dovrebbero confermarci nella fede – dimostra di essere la vera ispiratrice di tutto ciò che compare nella velina bergogliana. Se cerchiamo le menti e le mani che quotidianamente “soffiano” su penne e mouse dei giornalisti di Avvenire, sappiamo bene dove trovarli: Circonvallazione Aurelia, 50. 00165 Roma.
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Cari lettori,
solo due righe in margine all’articolo di Fabio Battiston. Come qualcuno sa, il sottoscritto è nato e cresciuto, giornalisticamente, proprio ad Avvenire. Erano i primi anni Ottanta del secolo scorso. Un altro mondo, un’altra Chiesa, un’altra Cei. Un affetto profondo mi lega al quotidiano dei cattolici italiani, dove ho conosciuto persone straordinarie e professionisti di altissimo spessore. Oltretutto, sempre in quegli anni lontani, mi sono laureato in Scienze politiche all’Università Cattolica di Milano con una tesi in Teoria e tecnica dell’informazione realizzata sotto la guida di uno dei più bravi direttori che Avvenire abbia avuto: Angelo Narducci. Capite perché per me non è agevole affrontare il tema Avvenire. So anche quanto sia complicato, per chi dirige il giornale, lavorare avendo come riferimento una proprietà atipica qual è quella costituita dall’insieme dei vescovi italiani e da altre realtà del mondo cattolico, e sempre con il papa e il Vaticano sullo sfondo. Per tutti questi motivi, dal un lato non ho mai invidiato i direttori di Avvenire, dall’altro penso che non si possa parlare di questo giornale senza tener presente la sua storia e le sue caratteristiche peculiari. Il che non mi impedisce comunque – lo vedete – di pubblicare contributi come quello di Fabio Battiston o anche quello recente di Vincenzo Rizza [qui].
Se volete dire la vostra, blogducinaltum@gmail.com
A.M.V.