di Aurelio Porfiri
Nelle famiglie con più figli si dice spesso che il padre e la madre amano tutti senza fare distinzioni. Magari ci sarà qualcuno o qualcuna più in sintonia con l’uno e l’altro genitore, ma tutti meritano di godere dell’amore genitoriale.
Se parliamo del padre, sappiamo quanto il suo appoggio e sostegno siano importanti per i figli. Il padre è colui che insegna alcuni valori importanti, con la speranza che i figli li seguiranno. Viviamo però in un tempo in cui la figura paterna è in grande crisi, e questo perché è in crisi la figura del maschio, indotto a sentirsi colpevole del proprio sesso e della propria identità.
Il domenicano ed ex maestro dell’ordine dei predicatori, padre Radcliffe, nella sua prima meditazione per il sinodo sulla sinodalità ha detto: “Quando il Santo Padre mi ha chiesto di predicare questo ritiro, mi sono sentito molto onorato, ma anche nervoso. Sono profondamente consapevole dei miei limiti personali. Sono anziano, bianco, occidentale e uomo! Non so che cosa sia peggio! Tutti questi aspetti della mia identità limitano la mia comprensione. Vi chiedo quindi perdono per l’inadeguatezza delle mie parole”.
Con l’avanzare dell’età comprendo che l’essere anziano comporta in effetti alcuni limiti, ma non capisco in che modo sia limitante essere bianco, occidentale e uomo.
La crisi della paternità si avverte anche nella cosiddetta paternità spirituale, quella di chi riconosce in un sacerdote o un vescovo una guida per crescere e avanzare nella vita di fede.
Il padre spirituale può avere molti figli, di molti tipi e caratteri, ma la sua sollecitudine deve raggiungere tutti, senza valutazioni di tipo ideologico.
Certo, ci possono essere figli più vivaci, ma spesso proprio questi cercano di più l’affetto del padre. Non sono uno psicologo, ma non credo che connotare questi figli con parole irrispettose (per esempio, indietristi o rigidi) li aiuti a progredire nello spirito. Il padre è padre di tutti, di quelli che stanno alla sua destra e di quelli che stanno alla sua sinistra. Anzi, i figli apparentemente più capricciosi vanno amati ancora di più e ascoltati.
Mi sembra che oggi nella Chiesa si ami secondo una certa ideologia e non secondo la fede. Se si è liberal-progressisti si viene guardati con molta più simpatia e considerati come i “buoni” in opposizione agli altri, i cattivi per antonomasia. Ma questo non è il Vangelo, che dice: “Se uno di voi ha cento pecore e ne perde una, che cosa fa? Lascia le altre novantanove al sicuro per andare a cercare quella che si è smarrita e la cerca finché non l’ha ritrovata. Quando la trova, se la mette sulle spalle pieno di gioia, e ritorna a casa sua”. Ammesso che gli altri, gli smariti, siano i meno buoni (sulla qual cosa avrei molto da discutere), bisogna farsi a loro prossimi e non trattarli come appestati. O no?