Auferte gentem perfidam
credentium de finibus,
ut unus omnes unicum
ovile nos Pater regat.
Hymn. Placare Christe Servulis
di monsignor Carlo Maria Viganò
La festa di tutti i Santi è una solennità speciale: in essa celebriamo coloro che ci hanno preceduto nella Gerusalemme celeste con il segno della Fede. Vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat, dice San Giovanni nell’Apocalisse (Ap 7, 9). Egli ci riferisce la visione della schiera sterminata dei Santi, ex omnibus gentibus, et tribubus, et linguis, rivestiti della veste candida della Grazia, adoranti la Maestà di Dio assieme alla miriade di Angeli, ai vegliardi e alle quattro creature alate. Questa scena apocalittica, tremenda come tremendum è il luogo in cui siede il Signore, il Dio degli eserciti schierati, era spesso raffigurata nel catino absidale delle antiche chiese, non solo per ricordarci il privilegio di poter essere annoverati nel numero dei signati ma anche per ammonirci sulla sciagura dell’esserne esclusi per l’eternità. Voltandosi verso l’occidente liturgico – che allora era in direzione del portale principale – per salutare il Christus Oriens che torna nella gloria, i fedeli potevano contemplare la scena del Giudizio universale, in cui Cristo in maestà accoglie nella gloria del Paradiso gli eletti e condanna i reprobi alle fiamme dell’Inferno. Gli Angeli accolgono le anime sante nella luce celeste, mentre i demoni mostruosi trascinano nel fuoco inestinguibile i dannati. Erano immagini crude, vere, che dovevano suscitare in chi le guardava il santo timore di Dio e del suo castigo, ma che allo stesso tempo rincuoravano chi viveva quotidianamente alla Sua presenza e cercava di santificarsi.
Oggi le visioni dell’inferno sono associate ai riti pagani di Halloween, durante i quali l’orrore, la mostruosità, la morte diventano qualcosa di cui si ride, che può addirittura essere allettante, ricercata e preferita alla noiosa bellezza, alla vita. E quello che oggi si insinua nella nostra società come scherzo di fatto ci abitua a tutto ciò che caratterizza il regno di Satana.
Ecco dunque le due città: la civitas Dei, la Gerusalemme celeste, con la miriade di Santi in adorazione della Santissima Trinità, e la civitas diaboli, la Babele infernale in adorazione di sé. E come oggi onoriamo tutti i Santi di tutti i tempi e di ogni parte del mondo passati all’eternità, così dobbiamo pensare a coloro che qui e ora combattono la loro quotidiana battaglia nella fedeltà al Signore, e che San Paolo chiama parimenti Santi. La determinazione di queste anime buone e generose è alimentata dall’esempio dei nostri compagni d’arme, che ci hanno preceduti e che oggi intercedono per i loro amici in terra e per quelli in Purgatorio.
Oggi celebriamo la Comunione dei Santi, questo consolante Mistero della nostra santa Religione, per il quale vi è una reciproca comunicazione di grazie tra i membri del Corpo Mistico, come in uno spirituale sistema circolatorio che irrora e alimenta tutti gli organi con il medesimo sangue. Grazie a questa Comunione dei Santi ogni nostra preghiera, ogni buona azione, ogni penitenza, ogni digiuno costituiscono un tesoro più o meno consistente che possiamo restituire al Signore, in sconto dei nostri peccati, per quelli di altre persone viventi o come suffragio per i defunti. Domani, nella Commemorazione dei fedeli defunti, daremo compimento a questa nostra professione di fede nella Comunione dei Santi con il dedicare le preghiere ufficiali e solenni della Chiesa in suffragio dei nostri morti, perché raggiungano i nostri comuni amici in Paradiso a godere della visione beatifica. E loro, dal Paradiso, pregano per noi in terra e per loro in Purgatorio. E in Purgatorio pregano per noi. Una Comunione di grazie che si aggiunge all’incommensurabile tesoro degli infiniti Meriti di Nostro Signore Gesù Cristo, acquisiti con il Suo Sacrificio redentore.
E tutti noi, pur nella molteplicità delle nazioni, delle culture e delle lingue, abbiamo ricevuto dal Signore la veste della Grazia con la quale presentarci alle Nozze dell’Agnello. Consideriamo quale sia il privilegio che ci è concesso, senza alcun nostro merito, quale debba essere la nostra riconoscenza verso il Signore, e come essa debba tradursi in una coerenza di vita e in una testimonianza quotidiana di Fede. E semmai abbiamo insozzato questa veste con il peccato, ricordiamoci che non sappiamo quando saremo chiamati a presentarci dinanzi a Nostro Signore: chiediamo perciò alla Vergine di concederci la grazia di una santa morte e la consolazione di un sacerdote; e non differiamo la Confessione se ci troviamo in stato di peccato grave.
Questa festa, in cui celebriamo i nostri amici e fratelli che hanno seguito Cristo come loro Dio, Signore e Re, non può non spronare tutti noi ad un sincero esame di coscienza. Non dobbiamo limitarci ad evitare il peccato: noi siamo chiamati a far fruttare i talenti, a seminare il seme nella terra fertile, a gettare le reti al comando del Signore. Siamo insomma chiamati alla sequela Christi, alla imitatio Christi, a seguirLo e ad imitarLo, sapendo che un discepolo non è superiore al maestro, né un servo superiore al suo signore (Mt 10, 24). Questo hanno fatto tutti coloro che nel corso dei secoli hanno partecipato alla santa competizione, hanno raggiunto il traguardo e hanno mantenuto la loro Fede (2Tim 4, 7), secondo la similitudine di San Paolo. Evitare di vivere in peccato mortale ci salverà dalla dannazione, ma non ci risparmierà i tormenti del Purgatorio, e saranno i tormenti più tremendi, perché dovranno purificarci dalla nostra mediocrità, dalla nostra ignavia, dalla nostra ingratitudine nei riguardi del Signore che ripaghiamo, se non con l’offesa del peccato, certamente con l’indifferenza di una vita amorfa e indegna di chi ha meritato di essere redento dal Figlio di Dio Incarnato.
Vi è un altro motivo per cui dobbiamo essere Santi: ogni anima che si salva e va in Paradiso è una pietra preziosa che trova il proprio castone sulla corona regale di Cristo. Viceversa, ogni anima che si danna e va all’Inferno è il maledetto bottino di guerra che Satana sottrae nel corso delle battaglie, anche se le sorti della guerra sono già decise e la vittoria di Cristo Re e Maria Regina è decretata dall’eternità. Il nostro dovere, il nostro impegno d’onore come Soldati di Cristo e Cavalieri della Vergine Santissima dev’essere la loro gloria, mediante la salvezza nostra e dei nostri fratelli. Una salvezza che si compie per mezzo della Grazia, certamente, ma della quale noi possiamo farci docili strumenti. Potremmo rifiutarci di scendere in campo e preferire di fare da servi nelle retrovie, quando ci è data un’armatura splendente, un elmo di salvezza, la spada della Parola? Quanto potrà esser fiero di noi il Padre celeste, nel vederci incapaci di mettere a frutto i doni sovrabbondanti che ci ha donato?
Molti di noi, anche per una realistica consapevolezza delle proprie colpe, sono tentati di guardare alla santità come ad una meta irraggiungibile, che solo pochi possono concretamente conseguire. Ed è questo un grave errore. Il Signore non ci illude con false promesse di un futuro ultraterreno di beatitudine che dovrebbe indurci a sopportare i mali presenti in vista di beni ipotetici di là da venire. Il Signore non gioca con le anime, specialmente dopo che Egli le ha redente patendo e morendo per ciascuno di noi. Egli viceversa non ci inganna dandoci precetti che nessuno rispetta, per poi ammettere tutti in Paradiso a prescindere da come si sono comportati o dalla fede che hanno professato. Questi sono i modi di agire del demonio, che con la falsa promessa di piaceri illusori e beni caduchi, ci spinge a disobbedire a Dio, ad essere indulgenti con i nostri difetti, a scusare i nostri peccati, a guardare alle colpe altrui per sminuire le nostre. Il Signore agisce come un Padre, e come un Padre Onnipotente. Egli ci mostra una meta che con i nostri soli mezzi non potremmo nemmeno remotamente sperare, ma che con l’aiuto soprannaturale della Sua Grazia possiamo raggiungere realmente, se solo abbiamo la Fede in Lui e la Carità che ce Lo fa amare sopra ogni cosa: sopra noi stessi, sopra le seduzioni del mondo, sopra i piaceri della carne, sopra le lusinghe dell’orgoglio, sopra il potere e il denaro, sopra le profferte fraudolente del demonio.
Noi non siamo capaci di nulla, se non di far danni. Eppure, con tutte le nostre infermità e infedeltà, noi abbiamo meritato un Salvatore che ha espiato per noi tutte le nostre colpe, che ha cancellato il chirografo di morte firmato dai nostri Progenitori, che ci ha riconciliato con il Padre mediante il Suo Sacrificio. Dobbiamo solo avere l’umiltà di riconoscerci indegni della Misericordia di Dio, e riconoscenti per i doni incommensurabili che Egli ci ha concesso per farci santi. Solo l’umiltà e il distacco dai beni terreni ci permette di essere santi, perché l’umiltà è la chiave che apre la porta del Cielo, come l’orgoglio è la catena che ci imprigiona all’Inferno. Umiltà, dunque. Un’umiltà non affettata, non di facciata, non ostentata, ma un’umiltà vera, basata sulla consapevolezza del nostro nulla e sulla infinità del tutto che ci viene da Dio e solo da Lui.
E visto che l’umiltà è il segreto della santità, guardiamo a Colei che più di ogni creatura, ancorché preservata dal peccato grazie all’Immacolata Concezione, ci ha dato un modello di umiltà e di abbandono alla volontà di Dio. Fiat mihi secundum verbum tuum: avvenga di me secondo la tua parola. È Lei, che la Santa Chiesa celebra con il culto specialissimo dell’iperdulia, che ci mostra le grandi cose che il Signore opera quando siamo docili al Suo volere. È Lei, ancilla Domini, cui dobbiamo guardare come alla nostra guida, la Stella matutina, per camminare in questa valle di lacrime e raggiungere la nostra patria celeste. E sarà Lei, nel momento dell’agone finale, a condurci al cospetto di Suo Figlio, perorando la nostra causa come nostra Avvocata.
Ricerchiamo dunque la santità, non come una chimera ingannatrice, ma come una realtà a cui siamo chiamati, un destino di gloria eterna, una promessa di compimento firmata con il Sangue dell’Agnello nella potenza dello Spirito Santo. E così sia.
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
1 novembre 2023
Omnium Sanctorum