Lettera da Milano / Un prete di strada e la Carità senza Verità
di Mario Bellotti
Caro Valli,
le racconto della mia disgraziata parrocchia ambrosiana (pardon: ormai comunità parrocchiale), che include diverse ex parrocchie periferiche per un totale di vari ettari di territorio, con una popolazione residente di oltre 25 mila abitanti, in parte decisamente benestanti ma in maggioranza sempre più in difficoltà economiche e sociali.
Dopo essere stati di fatto dimenticati dal precedente parroco, ne è subentrato uno nuovo, piuttosto noto in città per essere un “prete di strada”. Non metto in dubbio l’utilità della sua energia, del suo entusiasmo e soprattutto della sua capacità di svolgere un’azione pastorale in quartieri difficili, ma se la Carità è senza Verità allora il risultato è pura illusione.
Domenica andiamo alla messa del mattino celebrata da lui in una delle varie chiese parrocchiali. Tutta la famiglia al completo: noi genitori più i tre figli dai nove ai sedici anni. In chiesa ci sono molti bambini, ma solo perché sono stati radunati lì da tutto il vasto territorio della parrocchia.
Il brano del Vangelo della liturgia ambrosiana è di quelli che più antimodernisti non si può: “Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti”.
Il parroco attacca l’omelia con piglio sarcastico: “Questo brano mi ricorda la scuola di tanti anni fa, quando c’erano le lavagne e i cattivi come me che ci finivano dietro…”. Continua su questa falsariga per un po’, strappando qualche risata all’assemblea; poi a un certo punto decide che l’atmosfera narrativa è stata preparata a sufficienza e affonda: “Se voi volete un Dio così, che giudica i buoni e i cattivi, tenetevelo!”.
I miei figli comprendono che c’è qualcosa che non quadra e si girano verso di noi con sguardi interrogativi. Io e mia moglie decidiamo di attendere la fine dell’omelia, anche se temiamo di sapere dove andrà a parare.
E infatti arriva proprio lì dove temevamo, non senza aver prima creato una certa suspense: “Per duemila anni la Chiesa ha interpretato in modo sbagliato questo brano… e non solo questo, ma diversi altri brani evangelici in cui Gesù sembra insegnare in modo così duro… ma ora vi dico io qual è l’unico modo in cui possiamo recepire queste parole!”.
Cincischia per qualche secondo da attore consumato, minacciando di non svelarlo e di mandarci a casa con la curiosità, raccogliendo ancora qualche risatina divertita.
Infine conclude: “Quando saremo davanti a Dio, lui separerà non i buoni dai cattivi ma le cose buone dalle cose cattive che abbiamo vissuto, aiutando finalmente a liberarci da tutte le fatiche di cui non abbiamo saputo disfarci da soli. Ecco la sua grande misericordia!”.
La predica è terminata, l’assemblea pare soddisfatta: certamente non si è distratta, dunque obiettivo pastorale raggiunto?
Mia moglie ed io ci guardiamo negli occhi e decidiamo di uscire: rapidamente lo diciamo ai ragazzi che ci seguono senza discutere, anzi con una certa convinzione, come avremo modo di appurare a casa, riprendendo l’insegnamento del Maestro alla luce della sacra dottrina, della Redenzione e dei Novissimi.
Francamente non ci era mai capitato di andarcene a metà di una celebrazione eucaristica in polemica irrimediabile col celebrante. Siamo un po’ scossi e ci confrontiamo con vari amici tra cui un sacerdote. Ci tranquillizzano: abbiamo fatto la cosa giusta.
La domenica prosegue rivoluzionando la programmazione del pomeriggio per partecipare a un’altra santa messa (e anche in questo caso i figli non protestano).
Se la Carità è senza Verità allora il risultato è pura illusione.