di Silvio Brachetta
Giunto al suo 70° (settantesimo!) decreto di governo – tra motu proprio, leggi e regolamenti –, papa Francesco approva i nuovi statuti della Pontificia accademia di teologia, con disposizioni che è quasi superfluo segnalare. Si tratta dell’approvazione di nuovi statuti per il consueto, martellante, esclusivo, monotono programma di pontificato: bisogna cambiare «paradigma», la teologia non si può limitare «a riproporre astrattamente formule e schemi del passato», bisogna «revisionare» le norme, bisogna sviluppare una «cultura del dialogo», bisogna «ripensare il pensiero» (questa è la più esilarante), bisogna trovare nuovi linguaggi, bisogna essere sinodali, collegiali, pastorali, discernitori. Slogan notissimi, riaffermati in questo suo ultimo motu proprio, dal titolo Ad theologiam promovendam.
Si può sintetizzare il tutto? Certo: è necessaria – scrive Bergoglio – una «coraggiosa rivoluzione culturale», già proposta anni fa nella Laudato si’. E andiamo allora a vedere cos’è una «rivoluzione culturale», anche perché le parole hanno un peso, un’origine e un significato: chi le pronuncia dovrà rispondere e del peso e dell’origine e del significato.
La «rivoluzione culturale» è un termine maoista. Mao Zedong la introdusse in Cina nel 1966 col nome di Grande rivoluzione culturale (Wénhuà tà ghémìng), contrazione del nome ufficiale: Grande rivoluzione culturale proletaria (Wúchan jiējí wénhuà tà ghémìng). Non solo la rivoluzione culturale ha un’origine storica determinata, ma nell’origine è contenuto il suo stesso significato, il metodo di attuazione e il risultato da ottenere.
Quanto all’origine, la rivoluzione culturale è legata all’ideologia social-comunista, non tanto per via di Mao, ma fin dai tempi immediatamente successivi alla teoria astronomica di Copernico: la rivoluzione della terra attorno al solo fu presa a pretesto per introdurre un vocabolo che riunisse i significati di sovversione, rovesciamento, rivolta, ribellione, sconvolgimento e insurrezione. Chi dunque usa e approva il termine «rivoluzione» non può prescindere a piacere dal suo significato, che resta quello che è.
Già, ma vediamo in particolare il caso della Cina. «Rivoluzione» è tradotta con «ghémìng». Alla lettera: «rovesciare il mandato del Cielo». Concetto introdotto nel dibattito politico cinese verso il 1911, al tramontare storico della dinastia Qing (l’ultima in Cina).
L’ideogramma ghémìng è composto da «ghé», carattere antichissimo, di origine contadina, collegato alla muta del pelo nelle bestie. Ghé corrisponde all’esagramma 49 del Libro dei mutamenti (Yijing): è collegato al mutare del tempo (muda), inteso come sovvertimento, come attraversamento delle grandi acque, da un punto verso il suo opposto, come nel caso di un fiume o di un lago. Collegata all’esagramma 49 è anche la «sentenza del sovvertimento»: «Il sovvertimento. Nel tuo giorno verrai creduto. Sublime riuscita. Propizio per perseveranza. Il rimorso scompare».
Da notare l’ultima frase della sentenza: «Il rimorso scompare».
Ma l’esagramma 49 è formato da sei linee, donde il nome esagramma, appunto. La linea 2 è accompagnata dalla seguente sentenza: «Quando arriva il nostro momento, possiamo allora creare sovvertimento. Iniziare reca salute. Nessuna macchia. Cambiate senza rimpianti, non ve ne pentirete». Vediamo poi la sentenza relativa alla linea 3: «Ci penserete su tre volte prima di agire, poi nulla potrà fermarvi».
E andiamo alla 4: «Il rimorso scompare. […] Cambiare la forma di governo reca salute». Interessante anche la sentenza della linea 6: «Iniziare reca sciagura. Rimanere perseveranti reca salute». Insomma, già nel primo millennio avanti Cristo, era pronto il manuale del perfetto rivoluzionario.
E l’ideogramma mìng di ghémìng che significa? Mìng è il «mandato», laddove il tiānmìng è il «mandato del Cielo» – il «mandato celeste» –, caro a Confucio e a tutti i maggiori saggi dell’antichità. Si comprende bene che il ghémìng di Mao e di tutti i rivoluzionari è la sovversione o il rovesciamento di questo mandato che, nella forma teologica d’Occidente, corrisponde alla ribellione verso il volere della Provvidenza divina.
Ora, ritrovare il programma della rivoluzione culturale in un Motu proprio pontificio è qualcosa di più che allarmante. Non solo, ma per papa Francesco la rivoluzione culturale, da apportare anche in teologia, è «coraggiosa». E su questo ha ragione: sdoganare il maoismo richiede un coraggio fuori dal comune.