Testimonianza / Così ho scoperto la messa tradizionale
di Ciro Patitucci
Caro Valli,
leggo su Duc in altum molti articoli che riguardano la santa messa tradizionale (vetus ordo) e di come tante persone, tra le quali commentatori, giornalisti e scrittori cattolici presenti nel web, si siano avvicinate a essa, alcune da anni. Come mai? Questa tendenza non desta sorpresa, soprattutto se confrontata con l’attuale crisi nella chiesa e della fede.
Anche a me è avvenuto qualcosa di simile. Venivo da una crisi di fede maturata nel 2018, dopo aver frequentato per anni un movimento ecclesiale laico all’interno della chiesa, e all’epoca, interessandomi di musica, mi trovai a scrivere un messaggio al maestro Aurelio Porfiri, perché mi consigliasse a Roma un luogo dove poter vivere una messa più raccolta e spirituale, diversa da quella da me vissuta per anni, ovvero un’esperienza comunitaria conviviale, libera, adattabile a ciascuno, solidale, in poche parole “troppo umana e poco divina”.
Aurelio, senza tante spiegazioni, mi disse semplicemente di andare alla parrocchia della Santissima Trinità dei Pellegrini. Ancora oggi non so se volutamente non mi disse che era una “messa in latino” per lasciar fare agli eventi organizzati dal Cielo.
Andai quindi una domenica d’autunno, alle 11. Dire che provai grande sorpresa è dire poco! Scoprii successivamente che mi trovavo in una messa solenne in rito tradizionale. Ero abituato a tutt’altro, e ancora oggi, quando invito qualcuno, dico sempre che dopo la prima volta o si resta rapiti dal senso del sacro e dalla bellezza, anche spirituale, e non la si lascia più, oppure si scappa, magari straniti dal latino che al primo impatto crea un ostacolo.
Chi l’ha sperimentata sa bene di cosa sto parlando. Mi colpirono allora, e lo vivo ancora oggi, la bellezza, la profondità, la commozione per i canti gregoriani con organo e coro, i sacerdoti riverenti e composti, le incensazioni, la processione d’ingresso, la cura e la pulizia dell’abside e dell’altare, i paramenti sacri, i banchi, gli allestimenti delle cappelle, l’ordine, il rispetto, il silenzio, l’inginocchiarsi frequente: tutto riflesso nell’atteggiamento dei fedeli. Si dirà che non è l’essenziale, ma certamente aiuta, e molto, soprattutto i lontani, i freddi, i tiepidi nelle cose di Dio. La fede del fratello, vissuta e celebrata, è la migliore chiamata a conversione.
Per me fu una scelta non di gusto, ma di sostanza. Lo dimostra la mia successiva consacrazione alla Vergine Maria che prima avevo, ahimè, trascurato.
Andare e venire dalla periferia al centro di Roma mi costa oltre due ore, ma va bene così’. Ho tolto tempo ad attività ricreative e sportive svolte per anni, ma sono contento. Senza certo tralasciare i miei doveri di stato come padre di famiglia e lavoratore, i frutti per la mia anima sono abbondanti.
Non si tratta solo di partecipare a una “bella messa”, quasi si fosse a teatro e tutto si riducesse a un piacere sentimentale, emozionale. Siamo in una dimensione intima, profonda, esistenziale, sempre nella dottrina e nella verità, e così Dio pian piano prende posto nella vita. Frequentare il vetus ordo ha voluto dire per me anche svolgere tante attività, certamente e primariamente di carattere spirituale (catechesi, sacramenti, devozioni, incontri formativi).
Concludo parafrasando il famoso passo della Lettera agli Ebrei, che ben si adatta alla forma della messa tradizionale: “Gesù è lo stesso di ieri, oggi e sempre!”.