di Mario Grifone
Caro Valli,
negli anni Settanta uscì un divertente giochino che si chiamava tubolario: consisteva in un tubo di cartone sul quale erano montati anelli con sopra riportate frasi mutuate dai discorsi dei politici dell’epoca. Ruotando gli anelli si potevano combinare queste frasi ottenendone sempre un senso compiuto che però non aveva alcuna finalità se non quella di non dire nulla. Discorsi del tubo, appunto.
Ecco, questa medesima impressione l’ho avuta leggendo l’ennesima lettera apostolica del vescovo di Roma Ad theologiam promovendam. Dieci punti nei quali si ribadisce il fatto che la teologia deve essere come la Chiesa in uscita (chissà per andare dove), adeguarsi ai tempi, dialogare con tutti e soprattutto essere sinodale, il mantra così di moda in questo pontificato.
Mi considero un quidam de populo, pertanto non pretendo di confrontarmi con illustri teologi né tantomeno proporre chissà quali definizioni teologiche, ma proprio come semplice cristiano cattolico sono tenuto a leggere quanto scrive il pontefice nell’esercizio del suo magistero ordinario, cercando per quanto possibile di farne tesoro. Ora, per quanto letto e appreso in tanti anni, mi risulta che la teologia sia la disciplina che ordina e giudica la realtà alla luce della relazione divina e si serve della ragione per meglio comprendere quanto già si possiede con la fede. Una sana teologia dovrebbe, quindi, saper bene indirizzare il cristiano di fronte ai mutamenti sociali indicando con chiarezza le verità di fede, eventualmente adeguando il linguaggio ai tempi presenti.
In questo documento, per quello che si può capire al netto delle inutili ripetizioni, sembra che la strada che si vuole perseguire sia esattamente l’opposto: invece di adeguare il linguaggio teologico ai tempi moderni, si vuole adeguare la teologia alle istanze presenti.
Mi viene in mente la domanda di Pilato: quid est veritas? La verità è il punto centrale di tutta la nostra fede, l’insegnamento principale di Gesù racchiuso in tre semplici parole: Via Verità e Vita. Non a caso la parola verità è al centro delle altre due. Senza la sicurezza che quello in cui crediamo sia vero perdiamo la via che ci porta alla salvezza cioè alla vita.
In questo pasticciato documento non si capisce dove stia la verità. L’insistenza sul dialogo, l’uscita, la comprensione delle istanze moderne, la sinodalità eccetera che cosa vuol dire? Forse che la verità della fede rivelata deve sottostare al vaglio di una votazione democratica? Che quelli che prima erano indicati come peccati oggi non lo sono più? Che la morale deve adeguarsi ai tempi? Dal documento non si capisce e, come per tante altre esternazioni del nostro pastore, alla fine se ne esce confusi, si ha cioè l’impressione di un relativismo e di un soggettivismo che certamente non aiutano il povero cristiano che, se non adeguatamente istruito, perde la bussola. Se il compito che ci compete è quello di evangelizzare e fare apostolato, come puoi procedere se gli argomenti di sempre vengono messi in discussione continuamente?
E infine questo continuo richiamo all’uscita ha francamente stancato. Se vogliono uscire nessuno glielo impedisce, vadano dove vogliono. Personalmente preferisco stare accanto al tabernacolo chiedendo perdono, grazie e pregando anche per loro.
Non praevalebunt!