di Aldo Maria Valli
Prendete un giovane, dinamico e simpatico prete americano in servizio a Roma. Prendete un bravo, coscienzioso e integerrimo monsignore canadese al quale il papa chiede, niente meno, che di condurre un’inchiesta a tappeto sulla curia romana, per scoprire se alcuni alti prelati siano, come si dice, massoni. Prendete il successore di questo papa e immaginate che muoia improvvisamente, dopo soltanto trentatré giorni di pontificato, in circostanze mai chiarite del tutto, dopo un burrascoso incontro con uno di questi prelati in odore di massoneria. Prendete il successore del successore e immaginate che sottovaluti l’inchiesta del monsignore canadese, salvo poi ravvedersi quando subisce un attentato che lo lascia mezzo morto. Condite la vicenda con un monsignore, quasi certamente massone, che viene allontanato dal Vaticano dopo che gli era stato commissionato il compito di inventare la “nuova messa”. Aggiungete una banca, quella vaticana, che è sull’orlo del fallimento, metteteci un segretario di Stato malvagio e un bravo cardinale che viene invece rimosso… Sembra la trama di un film tipo Angeli e demoni. Invece è cronaca. Anzi, è storia. Quella dell’anno dei tre papi e di un dossier che ancora attende di essere svelato.
La vicenda è raccontata in prima persona nel libro Massoneria vaticana. Logge, denaro e poteri occulti nell’inchiesta Gagnon da quello che all’epoca è il giovane prete americano don Charles Theodore Murr, amico e assistente del bravo monsignore canadese al quale Paolo VI commissiona l’inchiesta interna per scoprire chi sono e quanti sono, nella curia romana, gli alti prelati massoni o amici della massoneria. Il monsignore canadese si chiama Edouard Gagnon (1918 – 2007), in quel periodo è il vicepresidente del Pontifico consiglio per la famiglia ma soprattutto è conosciuto per la sua correttezza e il senso del dovere. Infatti, dopo lunghe e minuziose indagini, mette insieme un bel malloppo con nomi e cognomi, accuse circostanziate e tante di quelle notizie da far scoppiare una bomba di proporzioni colossali.
Solo che Paolo VI, quando Gagnon nel maggio del 1978 si presenta nel palazzo apostolico per consegnargli il dossier, si rifiuta di aprirlo. Prostrato dal rapimento e dalla recente uccisione da parte delle Brigate rosse dell’amico Aldo Moro, il papa si sente troppo vecchio e malato per affrontare un tale problema e desidera che sia il suo successore a occuparsene. Gagnon resta di stucco. Cerca di far capire a sua santità che non bisogna perdere tempo, che i nemici della Chiesa vanno colpiti al più presto, ma Paolo VI, stanco e depresso, avvertendo la fine ormai prossima, è irremovibile.
Monsignor Gagnon dovrà quindi attendere l’arrivo del nuovo papa, ma è questione di meno di tre mesi. Paolo VI muore il 6 agosto 1978 e così ecco il monsignore canadese bussare per la seconda volta al palazzo apostolico, questa volta per l’udienza con Giovanni Paolo I. E le cose vanno decisamente meglio: il nuovo papa prende sul serio il lavoro di indagine e chiede delucidazioni. Gagnon spiega che il tutto è nato da un’inchiesta preliminare condotta dai cardinali Staffa e Oddi con l’aiuto del sostituto per gli affari generali nella Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Benelli. È stato poi Paolo VI in persona, convinto che il fumo di Satana da qualche fessura sia penetrato nella casa di Dio, a chiedere a Gagnon di andare avanti e approfondire. Il risultato è il dossier che oggi papa Luciani ha sulla scrivania. “Vescovi massoni?” mormora il pontefice, incredulo.
Il quadro è terribile, spiega Gagnon, ma tutto è verificato. Massone, o quanto meno legato alla massoneria, è il segretario di Stato Jean Villot. Idem per quanto riguarda l’arcivescovo Bugnini, artefice della riforma liturgica post-conciliare, e il cardinale Sebastiano Baggio, potentissimo prefetto della Congregazione per i vescovi, insomma l’uomo che per conto del papa seleziona i candidati all’episcopato per tutte le diocesi del mondo. Senza parlare delle infiltrazioni nello Ior, la banca vaticana.
Di fronte all’interdetto papa Luciani monsignor Gagnon non può evitare di dire le cose come stanno: “Di fatto i massoni hanno ormai un controllo quasi asfissiante della Chiesa. La verità, Santo Padre, è che lei ha ereditato una Chiesa in una condizione di terribile confusione. La situazione è disastrosa, ma può essere ora sanata”.
Già, non tutto è perduto. E papa Luciani è intenzionato ad agire subito. Infatti, quando Gagnon torna all’auto parcheggiata nel cortile di San Damaso, dove lo attende il giovane don Charlie Murr, è raggiante: “L’Onnipotente ci ha mandato l’uomo giusto per questi tempi difficili!”.
Ma l’entusiasmo del monsignore sarà di breve durata. La mattina del 29 settembre di quell’incredibile 1978 papa Luciani viene trovato morto. Villot si affretterà a rendere nota una versione di comodo, secondo cui il pontefice è morto nel suo letto, quasi certamente per infarto, mentre leggeva L’imitazione di Cristo. Lo stesso Villot dice no all’autopsia e ha fretta di mettere a tacere voci e illazioni.
Ce n’è abbastanza per sospettare, e infatti Gagnon non è per nulla convinto della versione ufficiale. Viene a sapere che papa Luciani la sera prima della morte ha avuto un violento alterco con il cardinale Baggio, tanto che le guardie svizzere in servizio hanno sentito le urla fin nei corridoi del palazzo apostolico. Commenta: “Un uomo può essere ucciso in molti modi. Le voci sull’avvelenamento secondo me sono assurde, quindi il papa non è stato assassinato. Ma se mi chiedete se penso che sia stato ucciso in modo indiretto, la mia risposta è sì, credo di sì”.
Il timido Luciani, dal cuore non in perfette condizioni, sarebbe rimasto traumatizzato dalle rivelazioni del rapporto e dal successivo, tempestoso incontro con Baggio. Giovanni Paolo I aveva deciso di allontanare il cardinale nominandolo patriarca di Venezia, ma da Baggio ci fu un totale rifiuto.
Come non comprendere il trauma e il turbamento di Luciani? Il papa, da poco insediato, viene a sapere che il suo più stretto collaboratore è assai probabilmente massone, e lo stesso vale per il cardinale che sceglie i vescovi. Capisce anche che le finanze vaticane sono in serio pericolo. E che dire della messa post-conciliare? Voluta e ideata da un massone!
In questo clima si va al nuovo conclave, dal quale il 16 ottobre 1978 risulta eletto il giovane e forte cardinale polacco Karol Wojtyła.
E monsignor Gagnon? Come ha già fatto con Paolo VI e Giovanni Paolo I, chiede subito udienza, ma resta deluso. Dovrà aspettare. Il nuovo papa, infatti, non sembra particolarmente ansioso di conoscere i contenuti del dossier. Pensa più alla sua Polonia, ancora sotto il tallone sovietico, e alla necessità di viaggiare per il mondo.
Il terzo tentativo di consegna del dossier può avvenire soltanto quattro mesi dopo, nel febbraio del 1979, e ancora una volta è don Charlie ad accompagnare monsignor Gagnon in auto, fino al cortile di San Damaso. Come andrà l’udienza?
Passano alcuni minuti, il monsignore fa ritorno e don Charlie intuisce subito che le cose non sono andate bene. Gagnon, scuro in volto, chiede di essere riportato a casa e non parla. Fa solo una richiesta: l’indomani vuole essere condotto all’aeroporto di Fiumicino. Intende partire subito.
Don Charlie è incredulo: “Ma, eccellenza…”.
“Lascia perdere” risponde un Gagnon visibilmente indignato. “Ho deciso. Lascio Roma, lascio il Vaticano. Che continuino a sguazzare nella loro corruzione se è questo che desiderano. Quanto a me, non voglio restare nemmeno per un giorno!”.
L’indomani, prima di raggiungere l’aeroporto con Gagnon, don Charlie riceve dal monsignore un ultimo incarico: portare una busta in Segreteria di Stato. Dentro ci sono le dimissioni dell’arcivescovo. L’ordine è di non lasciarle all’usciere ma di consegnarle nelle mani di Villot e così avviene. Dopo aver letto, il segretario di Stato, malatissimo (morirà di cancro ai polmoni un mese dopo), è furibondo, ma non può fare nulla per trattenere Gagnon. Il monsignore ha deciso: andrà a fare il missionario tra i poveri, in Colombia.
Circa due anni dopo, però, Gagnon riceverà una telefonata da Roma. Papa Wojtyła, uscito miracolosamente vivo dall’attentato in piazza San Pietro del 13 maggio 1981, si ricorderà del monsignore detective e chiederà di vederlo con urgenza. E questa volta si mostrerà molto più interessato all’inchiesta.
Murr riferisce che Giovanni Paolo II propose a Gagnon di tornare a Roma, e il monsignore accettò a una condizione: la rimozione del cardinale Baggio dalla Congregazione dei vescovi e quella del vescovo Marcinkus dallo Ior. Gagnon tornò dunque a Roma, nel 1983 diventò presidente del Pontifico consiglio per la famiglia e nel 1985 il papa lo creò cardinale. Tuttavia Paul Marcinkus (1922 – 2006) restò alla Ior fino al 1989 e Baggio, rimosso dalla Congregazione per i vescovi nel 1984, rimase comunque attivo nei sacri palazzi, prima come presidente della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano, poi come camerlengo di Santa Romana Chiesa. Morì nel 1993.
Nella prefazione al libro di Murr lo storico della Chiesa Roberto de Mattei sostiene che Gagnon quando portò il dossier a Giovanni Paolo II commise un errore fatale. Descrivendo la drammatica situazione della Chiesa non riuscì a trattenere le lacrime e così all’energico papa Wojtyła apparve come un uomo in difficoltà, depresso, forse squilibrato, in una parola inaffidabile. Fu forse per questo motivo che, preso da altre urgenze, il pontefice polacco non ritenne di esaminare il dossier.
Ma Gagnon era tutt’altro che inaffidabile. Come scrive in una nota introduttiva un anonimo “amico, fratello e sacerdote”, il rapporto fu realizzato da un uomo che amava la Chiesa e la verità, un uomo la cui memoria va onorata. E oggi coloro che amano la Chiesa e la verità “possono a buon diritto chiedere che quei risultati siano resi noti”.
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