Dopo l’omicidio di Giulia / 2. Ma davvero il problema è la “società patriarcale”?
di Mario Grifone
Caro Valli,
come tutti, sono rimasto molto colpito dall’ennesimo omicidio di una ragazza da parte del suo ex ragazzo che non si era rassegnato ad accettare la fine di un rapporto. Fattispecie che si ritrova nella gran parte di questi casi. A scanso di eventuali travisamenti, sia ben chiaro che l’autore di questo efferato assassinio merita il massimo della pena. Vorrei tuttavia porre l’attenzione al contorno di questi fatti.
Partiamo dallo stesso concetto di femminicidio. Mi sono sempre domandato perché quello che è da sempre considerato un omicidio e come tale perseguito dl nostro codice penale debba essere ora specificato in funzione del sesso della vittima. La risposta più comune è che le donne sono più deboli degli uomini, anche se per questo esistono già le aggravanti.
In ogni caso se ciò è vero, come è, allora non si capisce perché non debba valere sempre. Se ci fa caso, quando si parla di differenza fra uomini donne in ambiti non penali, la debolezza di quest’ultima non vale più, anzi quando qualcuno osa affermare che vi sono delle differenze tra uomini e donne viene immediatamente redarguito di lesa maestà verso le pari opportunità, mondo lgbtq eccetera.
Ritornando al punto, ciò che colpisce di fronte a questi fatti di cronaca è il solito copione che li accompagna: “Viviamo in una società patriarcale”, “la scuola deve fare qualcosa”, “manca un programma di educazione sessuale all’affettività” e via dicendo. Parole ripetute anche dalla sorella della vittima e che evito di commentare, rispettandone il dolore e la giusta rabbia e indignazione.
A me pare che l’esplosione di questi assassinii di donne non sia figlia di una presunta società patriarcale, ma esattamente il contrario. Viviamo in un mondo dove il sesso è pervasivo, lo ritroviamo nei film, nelle fiction, nei libri, nei fumetti. La cosiddetta educazione sessuale ha come unico scopo quello di spiegare come si devono svolgere i rapporti sessuali, peraltro senza distinzione di sesso, e si arriva addirittura a insinuare dubbi sulla propria identità sessuale.
Qual è il risultato? Avrà senz’altro notato quanti giovani oggi ricorrono all’aiuto di psicologi che sono diventati il surrogato del direttore spirituale di antica memoria. I ragazzi in particolare sono più fragili, incapaci di corteggiare una ragazza perché la cosa è assolutamente vietata dal Me Too e non esiste più un sano fidanzamento necessario per capire se il rapporto potrà sfociare in una vita comune. La fidanzata è stata sostituita dalla compagna con la quale si vive praticamente more uxorio, scimmiottando la vita coniugale ma senza averne la necessaria preparazione. Logicamente questi rapporti quando si interrompono provocano lacerazioni pesanti e in diversi casi gesti inconsulti.
Inutile chiamare a rapporto la scuola, quando manca un programma di vera educazione sessuale che, invece di insegnare come si pratica il sesso, dovrebbe far capire cos’è il sesso, cioè spiegare il significato di essere uomo e di essere donna. A questo si aggiunga la mancanza di rispetto di molti genitori nei confronti degli insegnanti, ai quali vengono contestati perfino i giudizi sull’andamento scolastico dei figli (quanti ricorsi al Tar ogni anno per bocciature ritenute ingiuste!). Ovviamente se i ragazzi vengono continuamente tutelati e abituati a non assumersi mai la responsabilità delle proprie azioni, a considerare il sesso come esercizio di libertà, quando poi affrontano la vita reale non si rendono conto che le cose vanno diversamente, che non c’è più la mamma o il papà che ti difende e la scuola che ti promuove anche se non studi e che il rapporto con un partner non è solo fatto di sesso. Questa consapevolezza, senza un allenamento previo, provoca danni psicologici che in taluni casi sfociano nella violenza e in altri nella depressione.
Giovanni Paolo II aveva ben compreso questo problema, ma la sua Teologia del corpo sviluppata nelle catechesi del mercoledì è un tesoro al quale nessuno più attinge. Qualche giorno fa al termine della messa ho sentito un sacerdote invitare i fedeli a pregare per due giovani che iniziavano un percorso di vita insieme, ma ovviamente senza essere sposati. Pur non essendo un sacramento, ha detto il prete, quel rapporto è comunque qualcosa di sacro. Mi domando che senso avrà per quella coppia fare un corso di preparazione al matrimonio se neppure il prete che li accompagna ci crede più. Ma in fondo ha ragione lui: oggi la transizione ecologica è più importante della transustanziazione.
Non praevalebunt.