di monsignor Héctor Aguer*
Diversi sacerdoti fedeli agli insegnamenti di papa Francesco mi hanno espresso la loro costernazione e il loro dispiacere perché hanno visto quanto spesso Sua Santità denigri i preti. Li ha definiti «amari, facce da bue, scapoli, impiegati sacramentali, ambiziosi, pettegoli, arrampicatori», più altri aggettivi denigratori. Una mancanza di giustizia e di carità.
Nel mondo ci sono milioni di sacerdoti e certamente tra loro non mancano quelli a cui sono applicabili alcuni degli epiteti di Francesco. Ma le sue generalizzazioni nelle prediche, nelle catechesi e nei messaggi contraddicono la verità, e ciò che è scandaloso è che questi insulti si allontanano radicalmente dalle affermazioni del Concilio Vaticano II, che al ministero e alla vita dei sacerdoti ha dedicato il decreto Presbyterorum ordinis.
Cito alcuni passaggi di quel testo conciliare: «Con il sacramento dell’ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come ministri del capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il su corpo che è la Chiesa, in qualità di cooperatori de: l’ordine episcopale. Già fin dalla consacrazione del battesimo, essi, come tutti i fedeli, hanno ricevuto il segno e il dono di una vocazione e di una grazi così grande che, pur nell’umana debolezza possono tendere alla perfezione, anzi debbono tendervi secondo quanto ha detto il Signore: “Siate dunque perfetti così come il Padre vostro celeste è perfetto” (Mt 5,48). Ma i sacerdoti sono specialmente obbligati a tendere a questa perfezione, poiché essi – che hanno ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l’ordinazione – vengono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha restaurato con divina efficacia l’intera comunità umana. Dato quindi che ogni sacerdote, nel modo che gli è proprio, tiene il posto di Cristo in persona, fruisce anche di una grazia speciale, in virtù della quale, mentre è al servizio della gente che gli è affidata e di tutto il popolo di Dio, egli può avvicinarsi più efficacemente alla perfezione di colui del quale è rappresentante, e la debolezza dell’umana natura trova sostegno nella santità di lui, il quale è diventato per noi il pontefice “santo, innocente, incontaminato, segregato dai peccatori” (Eb 7,26)» (n. 12).
Nel passo successivo il Concilio «esorta vivamente tutti i sacerdoti a tendere sempre verso una maggiore santità; ciò li renderà più idonei al servizio del Popolo di Dio» (n. 13). L’ideale che il Concilio richiama è l’unità e l’armonia di vita, che deriva dall’imitazione di Cristo nell’esercizio del ministero; è la carità pastorale, tratto che distingue il sacerdote diocesano dai religiosi, ai quali il Concilio dedica il decreto Perfectae caritatis. Nella Presbyterorum ordinis si afferma anche che l’unità di vita porta «consolazione e gioia immensa» (n. 14). È sorprendente quanto questa prospettiva teologica e spirituale sia diversa dalla meschina prospettiva sociologica di Francesco nella sua denigrazione dei sacerdoti. Questo non si vede negli insegnamenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che hanno onorato i sacerdoti.
Un altro aspetto da notare è che le calunnie del papa sono spesso rivolte ai sacerdoti più aderenti alla Tradizione; li ha chiamati «indietristi» perché «guardano indietro», cioè perché non seguono i «nuovi paradigmi» proposti dal successore di Pietro. Così abbondano i «preti cancellati», che vengono spazzati via come feccia dall’esercizio del ministero. Il progressismo autoritario di Roma è imitato in tutto il mondo. Come qui, in Argentina, dove, in diverse diocesi, la cancellazione dei sacerdoti fedeli alla Tradizione, una Tradizione dogmatica e pratica, è costante.
Il papa non smette di fare danni. La sua doppiezza, gesuitica e argentina, lo ispira nelle peggiori decisioni. Come nel caso di Joseph Strickland, vescovo di Tyler nel Texas, Francesco cerca di neutralizzare i migliori tra i successori degli Apostoli imponendo loro un coadiutore o inviando una visita apostolica. Da noi, nel 2020, ha liquidato l’eccellente vescovo di San Luis per sostituirlo con un progressista il quale benedice «nel Nome del Padre e dello Spirito Santo», eliminando il Figlio Eterno, nostro Signore Gesù Cristo, affinché i non cristiani che assistono ai suoi atti «ecumenici» non si sentano disturbati.
In Argentina il numero di sacerdoti cancellati è in aumento, a causa dell’obbedienza al papa di un episcopato insignificante, che assiste impassibile alla scristianizzazione della società. Questo allontanamento dalle origini cristiane, ereditato dalla Spagna, è iniziato tra noi alla fine del XIX secolo. E negli ultimi tempi ha mostrato tutta la sua rilevanza sociale e culturale, di fronte all’impotenza del cattolicesimo, che ha ricevuto il colpo di grazia dalla diffusione del progressismo.
Si registra, nel contempo, un fatto paradossale, dal carattere misterioso: la crescita di alcune parrocchie fedeli alla Tradizione, dove i cattolici, soprattutto i giovani, godono di una liturgia normale, aperta alla partecipazione devota al Sacrificio eucaristico. Ho detto «normale», ovvero senza stranezze, come la liturgia dovrebbe essere ma non è di solito nell’opaca mediocrità del progressismo imposto dalla fantasia post-conciliare.
L’esistenza di questa realtà rafforza la nostra speranza di ripresa ecclesiale. L’intercessione della Madre della Chiesa, che invochiamo con fiducia, la proteggerà.
*arcivescovo emerito di La Plata