di Eugenio Episcopo
Sul caso della piccola Indi Gregory, vittima innocente del “fine vita” inglese, non c’è stato nessun commento ufficiale dalla diocesi di Torino, neppure una nota sui media diocesani. I nostri cattolici progressisti hanno solo saputo dire che sono temi molto complessi e l’emotività non aiuta. A tale omissione ha posto rimedio il padre generale del Cottolengo, don Carmine Arice, con un intervento comparso su Avvenire dove, partendo dalla triste vicenda, svolge alcune riflessioni, incominciando dalla sua esperienza nella Piccola Casa, in cui racconta il servizio prestato nel reparto Angeli Custodi, «una famiglia abitata da creature di pochissimi anni, con disabilità gravi al punto che mai avrei pensato di instaurare la benché minima relazione con loro, corpicini mal formati dove il respiro era l’atto relazionale più evidente che sapevano esprimere, oltre a qualche lallazione e al pianto che solo l’abilità materna delle suore che li accudivano, sapevano interpretare».
Arice prosegue: «Questi esseri umani, apparentemente inutili, bisognosi di cure impegnative, ma che mai sarebbero guariti né dalla loro grave difficoltà e nemmeno dalle malattie che si ripetevano una dopo l’altra, vista la fragilità del loro sistema immunitario, sono stati provocazione per molti, anche per alcuni uomini illustri e letterati che hanno dichiarato senza pudore, e senza timore di sbagliare, “l’assurda falsa pietà di mantenere in vita esseri mostruosi”. In una parola vite da scartare… Nessuna mamma e nessun padre degni di questo nome desidera vedere soffrire ciò che è carne della loro carne. Le cure palliative sono una benedizione. Nessun genitore degno di questo nome si rifiuta di fare alleanza con coloro che possono garantire le cure necessarie perché la sofferenza sia alleviata come si deve, anche a costo di ridurre, come effetto indesiderato, il tempo in cui poterlo accarezzare. Nello stesso tempo, nessun atto terapeutico può dirsi proporzionato se strappa dalle braccia di un genitore un figlio che, anche se inguaribile, può sempre essere curato. Quando questo nostro povero mondo così malato di utilitarismo e profitto, che troppo sovente ha come modello di riferimento l’uomo vitruviano comincerà a pensare un nuovo umanesimo partendo dalla fragilità, anche quella più severa, che segna la vita di tutti, forse comincerà anche a guarire da quella crisi antropologica che genera scarti umani e si arroga il diritto di decidere quando la vita non è più degna di essere vissuta».
Parole forti e molto politicamente scorrette. Sarà forse per questa sua franchezza e questo suo coraggio cristiano che don Arice – il quale ha al suo attivo iniziative e opere che hanno rilanciato e rinnovato il Cottolengo sulle nuove frontiere dell’assistenza e della carità – non è stato rinnovato come padre generale della Piccola Casa? Si attende adesso dalla Santa Sede una nomina che il capitolo dei religiosi, convocato nel settembre scorso, non è stato in grado di effettuare.
Fonte: lospiffero.com