“Deus non irridetur”. Il golpe nella Chiesa e la via dolorosa, ma necessaria, della presa di coscienza controrivoluzionaria. Conversazione tra Radio Spada e Aldo Maria Valli
Conversazione fra Radio Spada e Aldo Maria Valli su vicende vaticane, scontri nella Gerarchia, golpe nella Chiesa, futuro possibile.
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RS – Buongiorno dottor Valli e bentornato. Dopo un po’ di tempo dall’ultima volta, vorremmo impostare questa nostra conversazione su alcuni “punti caldi” relativi alla vita ecclesiale, vista non solo attraverso la prospettiva dei disastri vaticani ma anche, e soprattutto, con uno sguardo al mondo “contro”, a quella variegata galassia di opposizioni, più o meno reali, all’attuale corso. Nell’ultimo anno, per fare luce sulle origini e gli sviluppi della rivoluzione, abbiamo pubblicato due libri con una sua postfazione: Parole chiare sulla Chiesa. Perché c’è una crisi, dove nasce e come uscirne e Golpe nella Chiesa. Documenti e cronache sulla sovversione: dalle prime macchinazioni al papato di transizione, dal Gruppo del Reno fino al presente. Se dovesse comunicare in breve al lettore cosa unisce e cosa differenzia i due testi, e perché vale la pena di leggerli, cosa direbbe?
AMV – Vale la pena di leggerli perché spiegano in modo chiaro e accessibile, ma non per questo superficiale, come e perché ci troviamo nella situazione attuale: quali sono state le deviazioni, chi le ha volute, chi le ha realizzate, quali sono state le complicità e quali gli obiettivi.
Parole chiare sulla Chiesa a mio avviso ha il merito di fare luce su alcune grandi aree problematiche che, dopo essere rimaste a lungo sotto traccia, oggi sono al centro di un dibattito ormai ampio ma vengono spesso affrontate in modo impreciso o fuorviante. Mi riferisco alla svolta determinata da Francesco alla luce della storia precedente; alle nuove tendenze di quella che a tutti gli effetti possiamo considerare non solo e non tanto una crisi ma una rivoluzione; alla questione ineludibile (e bisognosa di essere sottratta a equivoci assai diffusi) dell’infallibilità papale; all’ipotesi sedevacantista, all’abdicazione di Ratzinger con tutto ciò che ha portato con sé circa la sua presunta invalidità. Mi riferisco anche alla questione del papato emerito e alle ipotesi circa la sede impedita, senza dimenticare un quadro organico e aggiornato della resistenza, vera o presunta, al neo-modernismo. Né si tralascia di affrontare un tema che di recente ha suscitato un vasto confronto, ovvero il richiamo che qualche cattolico sofferente, non più disposto a sopportare l’apostasia dilagante nella sua Chiesa, ha avvertito nei confronti dell’universo ortodosso.
Golpe nella Chiesa (che secondo me andrebbe letto subito dopo Parole chiare sulla Chiesa) aiuta, documenti alla mano, a ritornare sul Concilio Vaticano II e sui decenni successivi, fino ai giorni nostri, per individuare il filo che lega le varie tappe della sovversione. Il Concilio ci viene così presentato nella sua autentica natura, come sbocco della strategia modernista di rivoluzionare la Chiesa dall’interno, e poi possiamo vedere come tutti i pontificati che si sono succeduti dopo quello di Roncalli abbiano recato in sé il germe di quel “rinnovamento” che è stato, nella realtà, un adeguamento della Chiesa al mondo. Con un occhio di riguardo per la questione liturgica, che è in effetti centrale, il libro passa in rassegna e, direi, aiuta a decrittare i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI mostrando come, pur tra frenate e a volte marce indietro (specie sotto il regno di Ratzinger) il golpe abbia fatto strada, fino a quella vera e propria picconata che è stata la rinuncia di Benedetto XVI, con la pretesa di istituire il pontificato emerito. Una scelta che ha aperto la strada alla sciagurata elezione del papa argentino.
Come osserva don Curzio Nitoglia nella prefazione a Golpe nella Chiesa, quasi sessant’anni (tanti ne sono passati dalla fine del Vaticano II) sono un tempo che rende non solo giustificabile ma, direi, obbligatoria un’analisi critica, lucida e non più ideologica della rivoluzione che ne è nata. Se si fa questo, si va incontro a una profonda sofferenza. Perché la sintesi del quadro che abbiamo di fronte a noi sta in due sole parole: fallimento e disastro. Tutte le speranze innescate dal Concilio sono andate in fumo, e non sarebbe potuto accadere diversamente. Quella che era stata annunciata come una primavera per la Chiesa si è trasformata puntualmente in un rigido inverno, come dimostrano tutti gli indicatori, dalla crisi delle vocazioni alla diminuzione delle presenze alle sante messe, dal dilagare dell’ateismo pratico all’ignoranza dottrinale che alligna anche tra chi in un modo o nell’altro continua a definirsi cattolico. Questi sei decenni corrispondono in pieno alla mia vita (ho quasi sessantasei anni) e quindi ho sperimentato sulla mia pelle, e soprattutto nella mia anima, che cosa abbia voluto dire aprire gli occhi di fronte al disastro. Cresciuto nella Chiesa post-conciliare, per lungo tempo ho ignorato che fosse il frutto di una manipolazione e ho aderito all’ideologia della presunta primavera. Poi, quando per grazia di Dio la verità ha incominciato a delinearsi, ho cercato istintivamente di attribuire tutta la responsabilità al pontificato di Bergoglio, ma presto ho dovuto riconoscere che Francesco è soltanto l’ultimo anello di una catena e che, per quanto egli si sia particolarmente impegnato nell’opera di distruzione, è impossibile ignorare le responsabilità dei predecessori, compresi i due papi, Wojtyła e Ratzinger, che ho conosciuto di persona e che per tanti aspetti sono stati davvero i miei papi, nel senso che hanno nutrito la mia fede e guidato le mie scelte. Capite perché parlo di una via dolorosa, che certamente non tutti quelli della mia generazione sono disposti a percorrere, ma non per questo è meno necessaria. Anzi, ritengo che il pontificato di Francesco sia stato, in un certo modo, provvidenziale, proprio perché mi ha aiutato ad aprire definitivamente gli occhi, e so che così è stato per molti altri fratelli nella fede.
RS – A nostro avviso, oggi esistono due ordini di problemi distinti ma connessi. Da un lato la catastrofe della “Chiesa conciliare”, espressione sintetica ma efficace usata dai modernisti stessi, dall’altro l’incognita delle false opposizioni. Magari fatte in buona fede, ma spesso sterili, inconcludenti, verbose, svianti, destinate a portare molte persone su binari morti, se non direttamente nel baratro. Il punto è che esiste molto anti-bergoglismo (basta entrare in un qualsiasi bar per rendersene conto) ma non così tanto anti-modernismo, molta fretta di togliere un sintomo sicuramente grave, meno di andare alle origini della malattia per affrontarla. La confusione tra effetti e cause crea una serie di false alternative. E le false alternative inevitabilmente non producono ordine ma caos.
AMV – Condivido questa analisi. Da un anti-bergoglismo un po’ istintivo è urgente passare a un consapevole anti-modernismo. La confusione è grande sotto il cielo del mondo cattolico. Da un lato è espressione di una più vasta crisi della ragione che coinvolge l’uomo contemporaneo, qualunque sia la sua fede. Dall’altro è conseguenza del dilagare dei nuovi mezzi di comunicazione, che certamente ci aiutano a informarci ma ci propongono continuamente le idee più bizzarre e fuorvianti. Infine è figlia dell’ambiguità dell’attuale magistero, che non conferma i fratelli nella fede ma, procedendo a colpi di distorsioni, mezze verità e strizzate d’occhio al pensiero dominante, sembra desideroso soltanto di confermare i lontani nella loro lontananza.
Ritengo che oggi constatare l’apostasia di Bergoglio sia, tutto sommato, abbastanza facile. Il suo ripudio della Tradizione è così ampio e manifesto da non lasciare margini al dubbio. Solo chi persegue il suo stesso scopo o, all’apposto, chi è malato di papolatria può fingere di non vedere. E qui si aprono tante questioni che ben conosciamo. Un papa come Bergoglio può essere considerato davvero papa? Ancor prima, la rinuncia di Benedetto XVI, da cui è scaturito il conclave che ha eletto Bergoglio, può essere considerata valida?
Parole chiare sulla Chiesa risponde a tutte queste domande, e a molte altre, in modo puntuale e ragionato, per cui rimando alla lettura del libro. Sono abituato però a essere sincero con i miei lettori, e quindi dirò che personalmente sono pieno di dubbi. Circa la rinuncia, considero insensata la pretesa di separare il munus dal ministerium e di istituire – lo dico in modo semplice – un papato “di preghiera” che possa procedere in parallelo con un papato “di esercizio”. Ritengo che sotto questo profilo Ratzinger abbia proceduto in base a un dualismo inaccettabile, rivelatore del suo essere intimamente modernista. Di qui un istituto, quello del papato emerito, che non ha fondamento teologico e quindi nemmeno canonico. Circa Bergoglio, nel mio cuore non riesco in alcun modo a considerarlo papa, mia guida e supremo pastore. Lo vedo invece come lupo travestito da pastore, e quando nella preghiera eucaristica si fa riferimento alla comunione con il papa mi sento a disagio, perché certamente posso pregare per lui, ma come posso essere in comunione con il pastore che non solo non mi conferma nella fede ma, mentre predica l’accoglienza per tutti, perseguita chi è attaccato alla Tradizione?
A fronte di questi dubbi e di queste difficoltà sarebbe bello poter dire: non riconosco questo papa e mi fermo al precedente. Il fatto è che, per le ragioni alle quali accennavo, non è possibile. La diga non ha incominciato a frantumarsi con Bergoglio, ma molto prima. È stato un cedimento progressivo. Oggi il crollo è totale e catastrofico, ma è da molti anni che le crepe hanno incominciato a manifestarsi, anche sotto i papi venuti prima.
Non ci sono soluzioni facili e immediate. Possiamo solo pregare perché il Signore ci illumini e, nel quotidiano, possiamo e dobbiamo vivere da controrivoluzionari. Che cosa fa il controrivoluzionario? Ristabilisce l’ordine. E nel nostro caso ristabilire l’ordine significa rimettere Dio al primo posto, smascherando la pretesa modernista di utilizzare il Creatore per far prevalere la creatura. Per dirla ancor più chiaramente: va smascherato il tentativo di divinizzare l’uomo. In fondo, dal Concilio Vaticano II in poi che cosa hanno fatto i vertici della Chiesa? Ricorrendo spesso a un linguaggio ingannatore, in grado di nascondere o camuffare le deviazioni, si sono adeguati al mondo, arrivando a insegnare, in sostanza, che l’uomo ha il diritto di essere perdonato e Dio ha il dovere di salvare. Non solo. Progressivamente il depositum fidei è stato svuotato e accantonato, per mettere al suo posto nuovi contenuti: da ultimo, l’ecologismo. Di fronte a ciò, il controrivoluzionario, ristabilendo l’ordine, proclama i diritti di Dio e i doveri dell’uomo. Sottolinea che la Chiesa deve tornare alla trascendenza e smetterla di inseguire il mondo. Tutto ciò coinvolge necessariamente il linguaggio. Occorre dunque tornare a chiamare le cose con il loro nome. Mi riferisco alla legge divina, al dovere di giudicare, al peccato, a Dio in quanto supremo legislatore e giudice. Per decenni siamo stati immersi in una melassa che ha ridotto la fede a un vago umanitarismo di natura sentimentale. Al posto dei comandamenti divini, ecco la solidarietà, la fratellanza, l’altruismo, il dialogo, ultimamente l’ascolto, l’accompagnamento, l’inclusione e il discernimento inteso non come giudizio alla luce della Parola di Dio, ma come ammorbidimento della legge di Dio così da adeguarla al mondo.
Mi rendo conto che questi discorsi, in un mondo che ormai ha perso ogni riferimento alla trascendenza e nel quale Dio, quando c’è, è “mio e lo gestisco io”, possono suonare come avulsi dalla realtà. Ma questa consapevolezza non mi impedisce di interrogarmi. Sono entrato nella vecchiaia, il rendiconto si avvicina e, francamente, ciò che mi interessa è il destino della mia anima.
Per quanto mi riguarda, pur in mezzo ai dubbi a cui ho accennato, so per certo che la linea da seguire è appunto quella controrivoluzionaria. Deus non irridetur. Non lo possiamo piegare alle esigenze umane. Non possiamo adattare la legge divina alle pretese umane in base ai “segni dei tempi”, come ci ha insegnato la Chiesa postconciliare. Semmai dobbiamo leggere i tempi alla luce dei segni di Dio. E in tutto ciò la liturgia ha un ruolo centralissimo. Ecco perché i modernisti, che lo sanno bene, attaccano, assieme al sacerdozio, la santa messa.
Mi accorgo che tanti cattolici sono come cloroformizzati. Hanno ricevuto dosi così potenti di anestetico da non riuscire più a distinguere la vera dottrina dal suo adattamento al mondo, la vera liturgia dalla sua versione deturpata e impoverita, la vera Chiesa madre dalla chiesa piegata al mondo. Per grazia di Dio, c’è chi non si è lasciato mai sedare e c’è chi, pur intossicato, è riuscito a risvegliarsi. Noto però che tra coloro che hanno aperto o riaperto gli occhi troppe energie vengono spese in dibattiti sterili su “Bergoglio è papa” o “Bergoglio non è papa”. In questi casi mi chiedo sempre: ma se Gesù tornasse tra noi oggi, in carne e ossa, che cosa ci direbbe al riguardo? Ci chiederebbe di studiare misteriosi codici sottesi alla rinuncia di un papa, e di andare a compulsare i vari passi del Codice di diritto canonico, o ci ricorderebbe che “dai frutti li riconoscerete”?
RS – Pur in modo circoscritto va riconosciuto che rispetto ad alcuni anni fa non pochi laici hanno accettato di vedere nel Vaticano II un detonatore della crisi. La cosa resta più sfumata per quanto riguarda i preti, e ancor più i vescovi e i cardinali. Dal suo osservatorio vede tra il clero qualche presa di coscienza, almeno privata, a questo livello?
AMV – Le vedo in continuazione, specie tra il clero più giovane e quindi meno coinvolto nell’ideologia del post-Concilio che ha nutrito quelli della mia generazione, laici e sacerdoti. Ci sono giovanissimi preti, appena usciti dal seminario, che chiedono aiuto per poter attingere a un pensiero autenticamente cattolico dal momento che avvertono di essere stati formati in un modo parziale se non distorto. Tutto ciò è incoraggiante ma configura anche un quadro drammatico. Ho conosciuto seminaristi e giovani preti incerti sul da farsi: proclamare apertamente la propria non adesione a un insegnamento che ormai ha poco o nulla di cattolico, e così facendo correre il rischio di essere totalmente emarginati e privati della possibilità di svolgere il servizio sacerdotale, oppure restare coperti, potendo così continuare il servizio e cercando di trasmettere il depositum fidei nella sua integrità pur senza denunciare l’apostasia? È triste che all’interno della santa madre Chiesa si sia messi dinnanzi a una tale scelta. Ed è paradossale che il dramma si svolga in una Chiesa che si dichiara accogliente e inclusiva. Ma se il buon Dio vuole così è certamente per il nostro bene. Dobbiamo offrire le sofferenze e santificarci in questa realtà, nella certezza che il signore delle tenebre e della divisione non avrà mai la meglio.
Una presa di coscienza c’è. Marginale, ma c’è. E guadagna terreno di giorno in giorno, come dimostra una recente indagine sul clero degli Stati Uniti, dove i giovani preti abbandonano sempre di più il progressismo per abbracciare la Tradizione. Il vero problema sono i vescovi, che nella maggior parte dei casi o sono totalmente appiattiti sul bergoglismo o si comportano come tanti don Abbondio. Questa classe episcopale sta offrendo un’immagine desolante. Analogo il discorso per la maggior parte dei cardinali: o sono omologati (chi per convinzione, chi per interesse) oppure fanno prevalere una distorta ragion di Stato. Pochissimi i casi di autentica parresia. Ma grazie al Cielo il buon Dio sa scrivere dritto sulle righe storte.
RS – Molti parlano del dopo-Francesco, di rinuncia o comunque di altri aspetti connessi a quello che sarà il futuro regno vaticano. Posto che la Chiesa e il destino dei suoi membri sono nelle mani di Dio, e ribadito quanto detto in precedenza (ovvero che il solo anti-bergoglismo “di pancia” non è la soluzione), negli ambienti ecclesiastici si intravvedono da un lato una certa voglia di “normalizzazione”, quasi un desiderio di tregua dopo l’uragano argentino, dall’altro una serie di spinte estreme che addirittura fanno apparire Francesco un “centrista”, un “pompiere” che – sempre secondo le regressioni classiche dello schema rivoluzionario – tenta di controllare incendi troppo dirompenti e poco gestibili.
AMV – Come spesso accade ai dittatori, il peggior nemico di Begoglio è Bergoglio stesso, con le sue intemperanze e l’incoerenza costante tra i discorsi sulla misericordia e il suo comportarsi da despota. In questi dieci anni abbondanti di pontificato è riuscito nell’impresa di scontentare tutti, non solo a destra, ma anche a sinistra. La sua indole peronista lo ha indotto spesso alla demagogia e alla doppiezza. La conseguenza più grave è che l’istituto papale ne è risultato non solo svilito, ma quasi annientato. Ormai la voce del papa è solo una fra le tante. Ha perso ogni autorevolezza e prestigio. Guardiamo ai conflitti tra Russia e Ucraina e tra Hamas e Israele: il papa e il Vaticano non hanno prodotto nulla in termini di mediazione. Anzi, sono stati spesso snobbati. Una diplomazia come quella della Santa Sede, un tempo da tutti riconosciuta come di alto livello, è stata mortificata dalla scelta papale di inviare a parlamentare un cardinale, Zuppi, che non fa parte del servizio diplomatico.
A fronte di tutto ciò nei sacri palazzi, ma anche tra i cardinali estranei alla Curia romana, è ormai evidente la stanchezza. Nessuno fiata, ma traspare il desiderio di voltare pagina al più presto. Non che abbiano a cuore la dottrina o la fede. Vogliono semplicemente difendere l’istituzione, ovvero loro stessi, dal degrado in cui è precipitata. Di conseguenza, sebbene il sacro collegio sia ormai composto per la maggior parte da porpore di nomina bergogliana, risulta difficile immaginare che dal futuro conclave possa uscire un clone del papa argentino. Le voci che circolano dicono che sono in crescita le quotazioni del segretario di Stato, il cardinale Parolin. Se così fosse, per noi tradizionalisti non sarebbe una buona notizia, perché Parolin è tra coloro che hanno sostenuto Traditionis custodes, ma sarebbe anche la dimostrazione che l’istituzione si sta compattando per difendere sé stessa dal baratro in cui l’ha precipitata il dittatore sudamericano.
Intanto in Germania il Synodale Weg, il Cammino sinodale, è andato avanti per la sua strada, restando indifferente ai richiami di Roma. Per il papa e il papato un altro duro colpo, a dimostrazione di una profonda crisi di autorità. Come un apprendista stregone, Bergoglio ha incoraggiato spinte centrifughe che non è in grado di governare. Il sinodo che a Roma ha concluso la sua prima tappa ha prodotto aria fritta, nell’indifferenza generale. L’unità della Chiesa è in pericolo, ma il papa non se ne cura. Ripete che l’importante è “suscitare processi”, il che dimostra che il suo obiettivo è la frantumazione.
A noi è chiesto di vigilare e testimoniare, battendoci coraggiosamente per la Verità. Parafrasando sant’Agostino, possiamo dire: molte volte hanno combattuto contro la Chiesa, ma non hanno potuto prevalere. La Chiesa, l’autentica Chiesa di Cristo, proprio perché tale sarà sempre perseguitata, ma portae inferi non praevalebunt.
Christus vincit! Christus regnat! Christus imperat!
RS: Grazie ancora una volta per questo scambio, e a presto!
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Fonte: radiospada.org