di Eugenio Episcopo
Due cose colpiscono chi visiti sul sito della diocesi torinese la piattaforma “Percorsi”, che è il nome del nuovo Istituto per i futuri ministeri istituiti, per adesso ancora all’“anno zero”. La prima è il silenzio cristologico. Gesù Cristo è dato per scontato e mai nominato, nemmeno accennato. Come se fosse un lontano ricordo, una vaga ragione dell’essere e della ministerialità della Chiesa e dei cristiani. Si parla di «ambiti»: la Parola, la celebrazione eucaristica (o più generalmente di liturgia) e la carità, ma Lui, Gesù vivo e Risorto, unica ragione di tutto rimane sullo sfondo, forse perso nei «simbolismi di luce» tipici del vago eloquio del direttore don Paolo Tomatis.
Speriamo che, prima o poi, ci si accorga che solo l’esperienza di Cristo vivo, presente, toccabile e udibile nella carne della Chiesa è ragione di ogni movimento umano e cristiano. La seconda questione è forse la magna quaestio della quale nessuno parla, ma che è doveroso segnalare perché “il re è nudo”.
Al di là dei pur legittimi riferimenti alle indicazioni pontificie circa i ministeri laicali istituiti (notevole il cacofonico neologismo di «catechistato»), la verità nuda e cruda è che le diocesi di Torino e di Susa stanno andando di gran carriera verso un profondo inverno demografico dei sacerdoti. A breve, al massimo dieci anni per essere ottimisti, la crisi esploderà in tutto il suo clamore. È il fallimento di oltre cinque decenni di pastorale giovanil-giovanilistica, della pastorale vocazionale e di un modo di vivere e presentare un cristianesimo moralistico e volontaristico, non sufficientemente ragionevole e a-metafisico, per nulla affascinante e, di fatto, irrilevante esistenzialmente.
Davanti alla previsione che sempre più comunità saranno senza sacerdote, il che significa «pecore senza pastore», ci si prepara a formare «equipe di laici coordinatori» i quali, secondo la definizione del teologo Eugen Drewermann – si appresteranno a diventare, ma senza il dono dell’Ordine «funzionari di Dio». Un chiaro passo verso l’idea di una Chiesa ripiegata su sé stessa e che cerca di mantenersi in vita. Ma anche un passo deciso verso la protestantizzazione della ministerialità, senza più alcun rapporto nemmeno con il Vaticano II il cui magistero, rispetto al compito dei laici nel mondo, diceva ben altro.
Intanto il teologo del Cuneese, don Duilio Albarello, se la prende con il recente rapporto pubblicato negli Usa [Duc in altum ne ha parlato qui] in cui si rileva che l’85% dei preti giovani si autodefinisce «conservatore» o «molto conservatore» osservando, giustamente, che un’analoga indagine in Italia darebbe più o meno gli stessi risultati e concludendo, sconsolato, che i sacerdoti di recente ordinazione sono parecchio critici nei confronti del magistero di Francesco e della sua stessa figura di papa poco convenzionale in cui a prevalere è «l’idealizzazione consolatoria del passato, piuttosto che l’immaginazione rischiosa del futuro».
Per don Duilio i risultati del rapporto sono «forse il segno più evidente di una forma di cattolicesimo terminale e in drammatica crisi di speranza». Evidentemente, un pesante schermo ideologico impedisce al teologo monregalese di avvertire la realtà e cogliere quelli che dovrebbero essere i conciliari «segni dei tempi», i quali, se non corrispondono alla propria visione, sono sempre da rigettare.
Se si legge il rapporto, si vede che con «giovani preti» si indicano quelli che maturarono la loro vocazione durante i pontificati di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI i quali, non a caso, sono le bestie nere di don Albarello.
Fonte: lospiffero.com