di Héctor Aguer*
Per la maggior parte dei fedeli l’Avvento non ha la stessa intensità spirituale della Quaresima, e non ha una proiezione sulla cultura. Questo è ciò che osservo, sotto il profilo culturale, in questo Sud, lontano dai centri dove un tempo fioriva la cultura cristiana.
Non si può negare che in America, nelle colonie, il cristianesimo sia stato impiantato così da renderlo presente nei costumi del popolo e nell’organizzazione degli Stati. Intendo dire che la diffusione della fede si è proiettata nella vita sociale; una cultura cristiana ha preso forma. Dall’Europa abbiamo ricevuto la predicazione missionaria e una Tradizione che era un’eco della lunghissima e feconda storia della cultura cristiana. Ma ora potremmo chiederci: che cosa rimane di tutto ciò?
Questo abbozzo di riflessione nasce dall’esperienza del fatto che l’Avvento non esiste nei mass media e nei social network. Ad Avvento ormai inoltrato, metà dicembre, appaiono solo le solite offerte commerciali che sfruttano il Natale per incitare al consumo nel periodo finale dell’anno e iniziale dell’anno successivo. In questo emisfero meridionale fa caldo: abbiamo un accenno di estate, la stagione delle vacanze, e nelle pubblicità commerciali l’invito al consumo include invariabilmente l’espressione “le vacanze sono arrivate”, alla quale si aggiunge: “Festeggiamo!”.
Il Natale è scomparso, il nome stesso non risuona più. I simboli che oggi prevalgono sono l’albero di Natale e Babbo Natale. L’albero, carico di decorazioni e ai piedi del quale si depongono i regali, è un simbolo tradizionale preso dai Paesi del Nord Europa. La sua presenza rimanda alla nascita della vita. “Io sono la Vita” (Gv 14,6) disse il Signore. Babbo Natale è Santa Klaus, san Nicola. E anche questo simbolo proviene dalle regioni artiche, dove dicembre porta la neve. Per questo motivo il robusto personaggio vestito di rosso viene raffigurato su una slitta trainata da renne. Nella nostra estate, tutto ciò è incongruo, ma ciò che è quasi del tutto scomparso è il presepe, la Natività, il simbolo per eccellenza del natale nei Paesi latini.
Mi permetto un ricordo personale. Cinque anni fa, passeggiando per il centro di Napoli, mi colpì il fatto che in ogni negozio c’era un presepe, magari piccolo, ed erano tutti simili. Anche qui, in Argentina, un tempo il presepe, anche di grandi dimensioni, era abbastanza comune nei luoghi pubblici. Nella mia infanzia, una zia e io ci occupammo di allestirne uno imponente in casa, con alte montagne. Il punto centrale era la grotta con il Bambino, Maria e Giuseppe. L’usanza voleva che il Bambino fosse messo al suo posto la vigilia di Natale. Ma “vigilia di Natale” è un’altra espressione scomparsa, divorata da “la fiestas”. È terribile. .
C’è stata una totale sostituzione del cristianesimo. L’effetto del cambiamento culturale si è talmente radicato che non rimane nemmeno la nostalgia degli anziani. I giovani ignorano la Tradizione cristiana, che si rifletteva in quelle parole e in quelle rappresentazioni. Tutto si è dissolto come un sogno, completamente estraneo alle nuove generazioni.
Il Natale commerciale e vacanziero è ciò che la televisione, gli altri media e le reti mostrano come unica realtà esistente. Anche il dolcissimo Nome di Gesù appartiene al passato. Possiamo concludere che la Chiesa si è ritirata dentro i templi. La cultura, cioè la vita comune degli uomini, è una realtà estranea. Il nostro episcopato vive nella stratosfera. Forse il ricordo del Natale ispirerà a qualche vescovo un’esortazione alla pace, ma una pace che non disturbi il mondo e che per le persone che ascoltano non significa nulla.
La sostituzione del cristianesimo sfida l’evangelizzazione. Abbellire questa realtà chiamandola “nuova” evangelizzazione non cambia il vuoto che la cultura post-cristiana mette di fronte alla Chiesa. Dobbiamo ricominciare da capo, come se fossimo nel primo secolo.
*vescovo emerito di La Plata