Don Bosco e la Confessione / 9
di don Marco Begato
Il proposito
II 22 ottobre 1875 don Bosco parlando ai giovani dell’Oratorio all’inizio del nuovo anno scolastico diceva:
Se desideriamo di cominciare bene, bisogna che ognuno incominci a mettersi in grazia di Dio, se non lo è ancora; poi che domandi proprio di cuore al Signore la grazia di poter continuare bene, promettendo che occuperà bene il tempo e non si servirà mai e poi mai del tempo dello studio per offenderlo: ma anzi vorrà offrire tutto quello che fa, o starà per fare, a maggior gloria di Dio e per la salvezza dell’anima sua e di quella del prossimo… (MB, XI, 458).
Don Bosco chiama proposito una seria e concreta decisione della volontà in vista di un atto da fare o da evitare, così da garantire la perseveranza nella vita di Grazia.
Con l’obiettivo soprannaturale di tenere i giovani lontani dal peccato e farli crescere nella grazia e nella virtù, il santo educatore insisteva sulla necessità dei buoni propositi, sia legati alla confessione, per assicurarne per lungo tempo il frutto, sia per conseguire il fine dell’educazione cristiana.
Molte testimonianze ne offrono la conferma.
Nel 1868 don Bosco in occasione della novena dell’Immacolata mandò a ogni giovane del collegio di Mirabello speciali raccomandazioni scritte. Si riferiscono generalmente alla perseveranza nel bene, ed è facile notare che molte insistono sul proposito efficace della Confessione.
A un giovane scrive: «Perché non esegui le promesse? Dove vanno i propositi?»
A un secondo: «Pratica i propositi della confessione».
A un terzo: «Lava spesso l’anima [cioè confessati] e pratica i consigli del confessore».
A un quarto: «Sii più costante nelle promesse che fai a Dio».
A vari altri fa le stesse raccomandazioni (MB, IX, 33-37).
Il 3 maggio 1868 raccontando lo spaventoso sogno dell’Inferno, afferma che molti giovani si dannano per essersi confessati senza fermo proposito di evitare l’immodestia (MB, IX, 177).
Il 26 luglio 1866 ai giovani del collegio di Mirabello che partivano per le vacanze scriveva:
Ognuno prima di partire pulisca la coscienza, con un fermo proposito di volerla conservare tale fino al ritorno dalle vacanze (MB, VIII436).
II 18 aprile 1875, parlando ai giovani nel Sermoncino della buonanotte, dopo avere accennato alla confessione aggiunse:
Ci vogliono ferme risoluzioni e cambiamento generale (MB, XI, 233).
In un’altra occasione aveva detto ancor più chiaramente:
Alcuni credono che basti aprire interamente il cuore al direttore spirituale per incominciare una vita nuova e che sia confessione generale quando dicono tutto. È una gran cosa, ma qui non è tutto. Si tratta non solo di rimediare il passato, ma anche di provvedere all’avvenire con fermi propositi (MB, VII, 721).
Sono anche degne di rilievo queste sue parole ai giovani:
Sappiate che quel figlio che dopo aver peccato non vuole cambiare, e quindi vuole di nuovo offendere il Signore, anche se si fosse già confessato non è degno di accostarsi alla mensa del Salvatore, e se facesse la Comunione eucaristica, invece di arricchirsi di grazie, si renderebbe più colpevole, e degno di maggior castigo. Al contrario se vi siete confessati con un fermo, efficace proponimento di correggervi, accostatevi pure a ricevere il pane degli Angeli e darete una gioia grandissima a Nostro Signor Gesù Cristo.
Quanto alle qualità del proposito, egli, conoscendo bene l’incostanza giovanile, insiste anzitutto sulla fermezza.
In un sogno del gennaio 1883, don Provera appare a don Bosco e gli porge a nome di Dio vari consigli per la direzione della Congregazione.
Don Bosco domanda:
Che cosa dovranno praticare i nostri giovani per assicurarsi la loro eterna salvezza? Ne ottiene questa risposta: «Si cibino sovente del Pane dei forti e facciano dei propositi fermi in confessione» (MB, XVI, 16).
Commento
Qui si mette bene in luce la continuità che c’è tra Confessione e Comunione eucaristica. Che poi è come dire: se si capisce bene la Comunione, si comprende la necessità della Confessione in tutte le sue caratteristiche, già a partire dal proposito.
Il fine della vita cristiana non è confessarsi spesso, ma essere in comunione con il Signore sempre. Il luogo e il modo che abbiamo qui in terra per raggiungere sicuramente ed efficacemente questo obiettivo è accostarci alla divina Eucaristia. Se però ci siamo allontanati da Dio con un comportamento peccaminoso, non è pensabile tornare alla mensa della Comunione eucaristica senza prima essersi ufficialmente rappacificati col Signore (da cui il termine sacramento della Riconciliazione). Altrimenti si farebbe sacrilegio, ossia si cercherebbe di ingannare Dio, ma in una relazione tra persone non c’è spazio per l’inganno e la violenza; anzi, tutto è pura libertà, libertà al livello più alto e più vero, libertà di uscire da sé stessi per donarsi totalmente all’altro.
Per Dio questo è scontato, essendo infinita bellezza, libertà e dono. Per noi non lo è. Ma noi possiamo sforzarci di imitare Dio e di raggiungerlo. Come? Sicuramente col prendere una decisione stabile e chiara che nasca dall’interno del nostro animo e guidi il più possibile i nostri atteggiamenti e le nostre scelte: un proposito ben fatto.
Comunione significa vivere un rapporto stabile e regolare di dono e di amore. Per questo tutto sboccia dal fermo impegno interiore di dirigerci verso la meta che è Dio. È la caratteristica del vero amore (sennò cadremmo nell’emotivismo, nelle amicizie volubili, nel ricatto affettivo), quindi è la caratteristica di chi vuole comunicarsi all’altare del Signore, di chi chiede in confessionale la remissione dei propri peccati. Senza questa seria e concreta decisione della volontà in vista di un atto da fare o da evitare non avrebbe alcun valore la Confessione, non avrebbe alcun senso la Comunione e non avrebbe alcun fine positivo la vita umana.
9.continua