di don Marco Begato
L’accusa dei peccati
Anche per quanto riguarda l’accusa dei peccati troviamo utilissime lezioni nel ministero di san Giovanni Bosco.
Egli era convinto, grazie alla profonda conoscenza della psicologia giovanile e alle visioni soprannaturali, che la corretta confessione dei peccati riesce particolarmente difficile ai giovani. Quindi rivolse le sue attenzioni per guidare le anime dei ragazzi a compiere convenientemente questo dovere.
Nel giugno 1867 riassumeva il suo pensiero dicendo: «Svelare tutto al confessore. La confessione deve essere breve, sincera, non rivolgere la colpa sopra altri, ma tutta sopra sé stesso» (MB, VIII, 823).
Don Bosco però non si ferma a norme generiche, ma sviluppa il suo pensiero con la massima concretezza e praticità.
Anzitutto mira ad assicurare la completezza dell’accusa, combattendo il rossore e la vergogna che impediscono la sincerità nella confessione dei peccati.
Si può dire che Don Bosco non abbia parlato mai della confessione senza accennare ed esortare alla sincerità, che ne garantisce il valore e la validità.
Nella notte dall’8 al 9 agosto del 1880, don Bosco nel sogno del misterioso banchetto vide una scena desolante.
Certi giovani di un aspetto tetro avevano attorcigliato al collo un gran serpente, che con la coda scendeva fino al cuore e sporgeva in avanti la testa e la posava vicino alla bocca del meschino, come per mordergli la lingua se mai aprisse le labbra.
La faccia di quei giovani era così brutta che mi faceva paura; gli occhi erano stravolti, la loro bocca era storta ed erano in posizione da mettere spavento. Tutto tremante domandai nuovamente che cosa significasse e mi fu detto: “Non vedi? Il serpente antico stringe la gola con doppio giro a quegli infelici per non lasciarli parlare in confessione e con le fauci avvelenate sta attento per morderli se aprono la bocca. Poveretti! Se parlassero, farebbero una buona confessione e il demonio non potrebbe più niente contro di loro. Ma per rispetto umano non parlano, tengono i loro peccati sulla coscienza e tornano più e più volte a confessarsi senza osare mai metter fuori il veleno che racchiudono nel cuore” (MB, XIV, 554).
In molti altri sogni troviamo efficaci richiami alla sincerità in confessione.
Ecco ora un saggio dei tanti sermoncini con cui don Bosco trattò questo argomento. Il 3 dicembre 1860 assegnava questo fioretto in onore della Vergine Immacolata: «Sincerità piena ed assoluta in confessione». E lo commentava dicendo:
«Non abbiate paura di manifestare al confessore i vostri difetti, le vostre mancanze. L’essere buono non consiste nel non commettere mancanza alcuna: oh no! Purtroppo tutti siamo soggetti a commetterne. L’essere buono consiste in questo: nell’aver volontà di cambiare. Perciò quando il penitente manifesta qualche mancanza al confessore, per quanto sia grave questa mancanza, il confessore guarda alla buona volontà e non si meraviglia della mancanza: anzi prova la maggiore delle consolazioni che possa provare a questo mondo, vedendo che quel giovane è sincero, che desidera vincere il demonio e mettersi in grazia di Dio, che vuole crescere nella virtù. Nulla, o miei cari figlioli, vi tolga questa confidenza.
Non ve la tolga la vergogna: le miserie umane si sa, sono miserie umane. Non andate mica a confessarvi per raccontare miracoli! Bisognerebbe che il sacerdote vi credesse impeccabili, e voi stessi ridereste di questa sua opinione. Non ve la tolga la paura che il confessore possa svelare un segreto così terribile per lui, poiché la minima colpa svelata fuori dalla confessione basterebbe a farlo condannare all’Inferno. Non ve la tolga il timore che il sacerdote si ricordi poi di ciò che avete confessato: fuori di confessione è suo dovere il non pensarvi.
Il Signore ha già permesso ogni sorta di delitti. Ha permesso che Giuda lo tradisse, che Pietro lo negasse, che preti si facessero protestanti, ma non ha mai permesso che un confessore dicesse la più piccola cosa udita in confessione.
Coraggio dunque, o figlioli miei, non diamo soddisfazioni al demonio. Confessatevi bene, dicendo tutto. Qualcuno domanderà: e chi in passato avesse taciuto qualche peccato in confessione come deve fare a rimediarvi? Guardate: al mattino se mettendomi la veste e abbottonandola salto un bottone, che cosa faccio? Sbottono tutta la veste finché arrivo dove c’è il bottone rimasto fuori posto. Così chi ha da rimediare ad un peccato taciuto, rifaccia tutte le confessioni fino a quella, nella quale tacque il suo peccato e così tutti i bottoni saranno a posto e la veste non farà nessuna piega. Lo dice il Catechismo: dall’ultima confessione ben fatta fino a quella che si vuol fare. Da bravi, figlioli! Con una parola: si tratta di schivare l’Inferno e guadagnarvi il Paradiso; il confessore vi aiuterà e voi sapete che siamo amici e desidero una cosa sola: la salvezza dell’anima vostra ( MB, VI, 322-323).
Per favorire la confidenza e la sincerità, don Bosco praticava e consigliava ai preti la dolcezza e la pazienza verso i penitenti e, pur raccomandando il confessore fisso onde trarre il maggior frutto dal Sacramento, dava però la massima libertà di scelta. È degno di nota il rilievo del biografo:
Egli nella frequenza di questo Sacramento riponeva tutta la forza della sua missione in mezzo alla gioventù. Procurava che i suoi alunni vi si accostassero regolarmente, anzi con molta frequenza, ma senza pressione di sorta. Li esortava e voleva che fossero esortati, ma non li obbligava. Sebbene lui si trovasse tutte le mattine a confessare, e fosse generale il desiderio di confessarsi da lui, tanto che non aveva tempo di soddisfare al desiderio di tutti, tuttavia voleva che si trovassero altri confessori esterni, specialmente nelle feste e nelle vigilie. Lasciava a tutti la massima libertà; non faceva osservazioni e non voleva che se ne facessero intorno a chi si confessava da lui o chi da altri sacerdoti. E anni dopo diede per norma ad un suo sacerdote: “Fa’ in modo di non dare mai alcun segno di parzialità verso di chi si confessa a preferenza più da uno che da un altro”. Così pure non si piegò mai a permettere che in giorni di comunione si facessero uscire i giovani dal banco ordinatamente per fila per andare all’altare, affinché chi non era preparato, non si lasciasse vincere con suo gran danno dal rispetto umano o fosse segnato a dito dagli altri. Meglio la libertà e un po’ di confusione (MB, IV, 555).
Commento
Abbiamo già parlato della differenza tra senso di colpa e consapevolezza (o dolore) del proprio peccato. Adesso incontriamo nuovamente la preoccupazione di don Bosco per la vergogna dei suoi ragazzi, vergogna che li blocca dal confessare le colpe più imbarazzanti. Come dire: in fondo quello del senso di colpa è un argomento di sempre, non una cosa dei nostri tempi.
A questa obiezione se ne aggiunge una peggiore, quella di chi vuole abbandonare o dribblare il confessore perché “tanto non miglioro lo stesso”. È lo stesso trucco di chi non vuole andare a messa e si giustifica dicendo: “Tanto quelli che vanno a messa sono i peggiori”. Ma queste sono solo scuse e auto-illusioni.
Don Bosco dà una chiave di lettura molto facile e comoda: i sacramenti non servono come correttivi morali – a quello pensano la buona educazione e i costumi sociali – ma come tappe per un cammino verso Dio. Chi si confessa e va a messa non lo fa perché è o si sente migliore di altri, ma perché sa che deve diventare migliore di quel che è stato finora. Ma allora la morale va buttata dalla finestra? No, e ne abbiamo parlato quando ci siamo occupati del proposito; però c’è un tempo per il proposito e uno per l’accusa, un tempo per lo sforzo morale e uno per l’abbandono all’amore di Dio.
Un dettaglio riguarda le colpe dimenticate, e quindi non confessate, che poi tornano alla mente. Don Bosco ne parla riferendosi alle indicazioni del suo tempo: bisogna confessare tutto. Ma come fare? Ecco che ricompare il tema della confessione generale che, appunto, è fatta per ripescare colpe antiche dimenticate o dette male. Oggi, complici gli studi di psicologia e simili (che non sempre sono buoni e onesti, ma con un poco di impegno possono diventarlo), i confessori ci danno indicazioni meno minuziose. Però quelle che attualmente vengono date è bene saperle e seguirle: “È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo” (CCC, n. 1456). Comunque, se uno ci tiene davvero, c’è un modo semplice per non dimenticare le colpe gravi: l’esame di coscienza quotidiano.
11.continua