Il giorno della festa dei Santi Innocenti Martiri, nel cuore dell’ottava di Natale, un sacerdote ha visitato la nostra casa. L’avevamo invitato per condividere con lui un pranzo di festa, chiedendogli qualcosa in cambio: che il pasto fosse preceduto da una sua meditazione natalizia. Così è stato. Tutti noi, grandi e bambini, siamo rimasti per un’abbondante mezz’ora in silenzio ad ascoltarlo con meraviglia. Lui parlava a braccio, sfogliando le pagine del suo messalino. Ho preso alcuni appunti e li voglio condividere con tutti gli amici di Duc in altum, sperando che possano essere d’aiuto ad altri cristiani che in questi giorni continuano a celebrare l’incarnazione del Verbo di Dio.
Lettera firmata
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Quando ci sono grandi feste come il Natale, l’Epifania, la Pasqua e la Pentecoste, il testo su cui preferisco riflettere è quello del prefazio proprio della festa. Per queste feste, infatti, la liturgia prevede dei prefazi specifici. Facendo uso di poche parole, il prefazio esprime tutto il mistero della festa, e lo fa in un modo poetico.
Leggiamo allora il prefazio di Natale:
Vere dignum et iustum est, aéquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium, nova mentis nostrae óculis lux tuae claritátis infúlsit: ut dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amórem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus, cumque omni milítia coeléstis exércitus, hymnum glóriae tuae cánimus, sine fine dicéntes: Sanctus, Sanctus, Sanctus…
La sua traduzione in italiano:
È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio. Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine: Santo, Santo, Santo…
Le parole proprie di questo prefazio, quelle centrali, parlano della differenza tra il visibile e l’invisibile. Proprio nel mezzo, come a separare visibile e invisibile, succede una cosa speciale: “rifulse alla nostra mente un raggio del tuo splendore”. Questo prefazio ci dice che ora possiamo vedere… l’invisibile. E cosa serve per farlo? La Fede.
Quattro giorni prima di Natale abbiamo celebrato la festa di san Tommaso Apostolo. Ogni anno ho inizialmente la sensazione che sia un po’ strana la collocazione di questa festa ad Avvento quasi concluso, così prossima al Natale. Non starebbe meglio, la figura di san Tommaso, vicina al giorno di Pasqua?
Invece no, riflettendo si comprende che sta benissimo lì, perché il messaggio di san Tommaso è lo stesso del Natale. Nel vangelo di quel giorno leggiamo che gli altri discepoli dicono a Tommaso: “Abbiamo visto il Signore!”. E lui: “Se non vedo… se non metto il mio dito… se non metto la mia mano… non credo”. C’è una forte relazione tra il vedere e il credere.
Ed ecco che il prefazio di Natale ci dice che finalmente vediamo Dio!
Talvolta nella nostra vita i segni di Dio sono evidenti, ma altre volte non ne vediamo o – se li troviamo – sono veramente piccoli, semplici. Ma è importante cercarli sempre. Cercare, come hanno fatto i pastori e i Magi. Loro hanno visto un bambino, non certo una cosa sensazionale. Ma siccome avevano creduto al segno di Dio, per la loro Fede hanno potuto riconoscere in quel bambino Dio stesso.
Questa dinamica si percepisce bene nel vangelo della seconda Messa di Natale, la Messa dell’Aurora. I pastori hanno ricevuto l’annuncio dall’angelo e dicono: “Transeamus usque ad Bethlehem…”, “Andiamo fino a Betlemme, andiamo a vedere cosa è accaduto”. Vanno, è la Fede che li guida.
Per coltivare in noi la disposizione d’animo dei pastori è importante abituarsi a ringraziare Dio per tutti i piccoli doni che ci indicano la sua presenza. Se invece non ringraziamo, i nostri cuori diventano piano piano più duri e vuoti.
Il tempo di Natale è un buon tempo per esercitarci nel ringraziamento, perché è davvero difficile essere tristi a Natale! È un tempo di gioia di cui essere grati.
Il Natale ci fa più giovani, risveglia in noi la memoria di come l’abbiamo vissuto da bambini, il ricordo delle tradizioni… tutto questo fa parte della festa e può essere motivo di ringraziamento.
Nelle Cronache di Narnia di C. S. Lewis c’è una storia in cui è sempre inverno, ma non è mai Natale: terribile!
Torniamo al nostro tema, il prefazio. La liturgia ci fa usare il prefazio di Natale una volta anche fuori dal tempo di Natale. Quando? Nella festa del Corpus Domini. Che meraviglia, avviene proprio il contrario di quel terrificante scenario descritto nelle Cronache di Narnia: al Corpus Domini siamo ormai in estate… ed è Natale!
All’interno della Messa, il prefazio è anche l’ultima parte cantata dal sacerdote prima del grande silenzio. È drammatico. Il prefazio ci offre una breve meditazione sul mistero che stiamo celebrando, poi cala il silenzio. È l’ultima cosa che ascoltiamo nel prepararci ad assistere al Santo Sacrificio. Come si suol dire, dulcis in fundo. Il prefazio viene lasciato in fondo, potremmo dire, perché è davvero buono. È ottimo.
È ottimo e ci introduce al silenzio, che per il rito romano è come l’iconostasi per il rito bizantino. Nel rito bizantino, l’iconostasi impedisce di vedere le cose più sacre: questo non vedere è importante, perché esprime un mistero presente. Nel rito romano avviene la stessa cosa ma non per la vista, bensì per l’udito. Finisce il prefazio e non senti più niente: sei al cospetto del mistero.
Molto spesso, poi, il prefazio parla di cose che sembrano opposte, ma stanno insieme. Parla cioè di ciò che a noi sembra impossibile, invece è realtà. Come abbiamo detto, a Natale ci parla del visibile e dell’invisibile. Ma pensiamo anche al prefazio della Passione e della Santa Croce:
“…Qui salutem humani generis in ligno Crucis constituisti: ut unde mors oriebatur, inde vita resurgeret: et qui in ligno vincebat, in ligno quoque vinceretur”.
Questo prefazio parla del legno, dicendoci che dallo stesso elemento da cui era provenuta la morte (l’albero della conoscenza) è poi venuto – attraverso la croce – il nostro ritorno alla vita, e che colui che attraverso il legno dell’albero aveva vinto (il demonio) ora da altro legno d’albero è stato sconfitto.
Ricordiamoci, infine, che ci sono “tre Natali di Cristo”. A Natale si celebrano tre Messe, pensiamo alla loro importanza e al particolare “Natale” di cui ciascuna delle tre, in particolare tramite il suo vangelo, ci parla: la Messa della Notte ci parla di Cristo che nasce a Betlemme dalla Beata Vergine Maria; la Messa dell’Aurora ci parla di Cristo che nasce nel cuore di ogni credente (possa nascere nei nostri cuori come in quelli dei pastori!); la Messa del Giorno ci parla di Cristo nato in eterno dal seno del Padre.
Buon Natale.