Che fare? / Non abbandoniamo la Barca di Pietro!

di Vicenzo Rizza

Caro Valli,

la lettera di Fabio Battiston [qui] riapre il dibattito sul “che fare” a seguito delle nuove evoluzioni della chiesa in uscita. Capisco e condivido l’amarezza e l’angoscia di chi vede sgretolarsi giorno dopo giorno, e con un’accelerazione che solo qualche anno fa sarebbe stata inimmaginabile, ciò che rimane del cattolicesimo. Condivido in pieno anche le riflessioni circa l’ennesima prodezza letteraria di Tucho Fernández, che rappresenta solo il dito e non la luna.

Non condivido, tuttavia, pur comprendendole, le conclusioni e in particolare l’intenzione di farsi scomunicare o comunque di abbandonare la Chiesa.

Due sono le principali ragioni; la prima più “seria”, la seconda più “pratica”.

Parto da quella “seria”: ci è sempre stato insegnato che extra Ecclesiam nulla salus (fuori dalla Chiesa non c’è salvezza). Sebbene questo insegnamento sia stato negli anni reinterpretato e addolcito, rendendo la salvezza possibile anche a chi in buona fede cerca Dio al di fuori della Chiesa vivendo una vita virtuosa, resta fermo il principio per cui i sacramenti sono i mezzi più efficaci attraverso cui la grazia divina ci viene offerta in modo privilegiato.

Immagino già la replica di chi ritiene inefficaci i sacramenti impartiti da sacerdoti indegni o da una Chiesa che si allontana dagli insegnamenti di Gesù. Premesso che non mi appassiona il dibattito tra gli “una cum”, i “duo sine” e i “tertium non datur”, la Chiesa, popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito, è di Cristo e prescinde, per nostra fortuna, dai rappresentanti che più o meno indegnamente l’hanno governata, la governano e la governeranno su questa terra. Papi, cardinali, vescovi e sacerdoti (come i comuni fedeli) potranno anche allontanarsi dalla Verità e sarà loro responsabilità risponderne alla loro coscienza ma soprattutto di fronte a Dio; la Verità rimane, tuttavia, intatta e sta a noi riconoscerla anche in funzione dei talenti che abbiamo ricevuto e anche se le tenebre la offuscano.

Non dimentichiamo, ancora, che il sacerdote è solo ministro, mentre il celebrante principale è Cristo. Ne consegue che, per nostra fortuna, i sacramenti producono il loro effetto salvifico anche se amministrati da sacerdoti indegni perché sono sempre e innanzitutto azione di Cristo.

Non abbandoniamo, allora, la Barca di Pietro, tanto più oggi che sembra in balia della tempesta, perché il Maestro è sempre accanto a noi, pronto ad ammonirci: “Perché avete paura, uomini di poca fede?”. Intensifichiamo, piuttosto, le nostre preghiere, tanto per il Papa quanto per tutti i sacerdoti, perché possano seguire e trasmettere l’insegnamento di Gesù.

Veniamo alla seconda ragione, quella “pratica”. Credo siamo tutti d’accordo che vorremmo un cambiamento radicale da parte dei vertici della Chiesa e una gerarchia non più legata a visioni moderniste (se non eretiche o, peggio, apostatiche). Sennonché uscire dalla Chiesa non faciliterebbe certo il raggiungimento dell’obiettivo ma lo rallenterebbe. Faremmo il gioco di chi vuole imbarcare tutti, ma proprio tutti, tranne i critici (o meglio, chi vorrebbe che la Chiesa rimanga madre e maestra e non assecondi ogni nostro capriccio) che devono stare fuori dalla porta per poter consentire al manovratore di operare senza fastidiosi impedimenti.

È alquanto difficile, infatti, fare pulizia dall’esterno: senza le chiavi non è possibile aprire la porta ed entrare in casa; e stare dentro casa è essenziale per poter incidere, ciascuno nel nostro piccolo e anche con piccoli gesti, sul futuro della Chiesa. Un modo utile anche a contribuire a far chiudere a tanti chierici e fedeli la terza narice che (per riprendere il bell’esempio di Fabio Battiston tratto dalle mirabili pagine di Giovannino Guareschi) serve a far uscire il cervello, permettendo alle direttive di partito (nel nostro caso delle gerarchie ecclesiastiche) di entrare e occuparne il posto.

Non siamo certo noi che dobbiamo vergognarci di frequentare le chiese che abbiamo sempre frequentato; sono al più i lupi travestiti da agnelli a sapere bene che non è quello il loro posto e a dover uscire o a dover convertirsi perché alla fine la Verità vince sempre.

 

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