di Armin Schwibach
Nel 1969 Herbert Haag, sacerdote, teologo e professore di esegesi dell’Antico Testamento a Tubinga, morto nel 2001, pubblicò un libro intitolato Addio al diavolo. L’obiettivo era porre fine una volta per tutte alla “credenza nel diavolo” e dirle addio come a un vecchio racconto metafisico in un’epoca divenuta moderna e illuminata. Tuttavia, anche se diciamo addio al diavolo, questo non significa necessariamente che il diavolo abbia detto addio a noi.
Anche il teologo e cardinale designato Hans Urs von Balthasar sosteneva la tesi di un “inferno vuoto”. Secondo lui, come tutti gli uomini erano precedentemente caduti a causa della disobbedienza di Adamo, tutti erano stati redenti in Cristo. Scendendo all’inferno, per von Balthasar Cristo ha sofferto l’inferno più profondo e ha assorbito e ferito in sé l’intera opera del male, il peccato condensato. Per il teologo, questa dottrina, detta dell’apokatastasis, fa nascere la speranza giustificata che l’inferno possa essere vuoto. Così facendo, egli pensa alla condizione umana dall’altezza di Dio, che forse è così grande da allontanare teoricamente e praticamente gli uomini dalla verità di Dio e dalla relazione con le sue creature. Anche in questo caso si può individuare una particolare dimensione metafisica. Mentre il “dire addio al diavolo” è perfettamente in linea con la messa in discussione postmoderna di tutte le affermazioni metafisiche, l’”inferno vuoto” prende il posto di un’incapacità metafisica, presentando Dio e la sua opera in modo radicalmente “sovradimensionato”.
La modernità e la postmodernità trafelata sono convinte di essere diventate o potenti o modeste, ma di essere finalmente diventate le dominatrici di questo mondo. Il pensiero non più interessato alla metafisica l’ha sostituita con il costruire; da Francesco Bacone in poi, la salvezza è stata cercata nell’azione, e soprattutto nell’azione scientifica. La “vittoria dell’arte sulla natura” (Novum Organum I, 117.) ha fatto sì che l’essere o l’essere-in-sé fosse soppiantato dal dato e dai modi di darsi. René Descartes esigeva allora che non si accettasse mai come vero nulla “che io non riconosca chiaramente come vero; cioè di evitare accuratamente ogni fretta e ogni pregiudizio, e di non accettare nella mia conoscenza se non ciò che fosse così chiaro ed evidente da non avere motivo di dubitarne” (Trattato sul metodo dell’uso corretto della ragione e sull’indagine scientifica della verità, 1637).
Non sorprende quindi che nell’epoca della demitizzazione e della Entzauberung (disincanto) del mondo e dell’uomo, il diavolo e l’inferno siano i primi a essere razionalizzati per quanto umanamente possibile. Il Maligno diventa “il male”, la sua neutralizzazione si presenta come un muro protettivo di non impegno, l’azione malvagia appartiene esclusivamente alla sfera della soggettività e l’opera malvagia rimane legata solo a questa. Ma l’esperienza e la conoscenza delle Sacre Scritture e della Chiesa non insegnano forse il contrario? Non è forse vero che – parafrasando William Shakespeare – l’inferno può essere vuoto, ma tutti i diavoli sono proprio qui?
“Chi commette il peccato viene dal diavolo, perché il diavolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (1 Gv 3,8). Il diavolo è “padre della menzogna” (Gv 8,44), la sua decisione contro Dio è definitiva: così insegna il Catechismo della Chiesa cattolica (392; 414). La menzogna del diavolo consiste nel fatto che ciò che dice viene solo da lui e così “seduce tutta la terra” (Ap 12,9). Il diavolo vuole fare a meno di Dio, non servirlo, elevare il suo ego ad autorità ultima e unica. Così si fa beffe di Dio e trascina l’uomo nella sua beffa, inducendolo alla disobbedienza e facendolo cadere nella morte per invidia: “La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo. La Chiesa insegna che all’inizio era un angelo buono, creato da Dio. Diabolus enim et alii dæmones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali. Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi” (Catechismo Chiesa cattolica, 391). Con la sua sofferenza, Cristo ha liberato l’uomo da Satana e dal peccato e gli ha guadagnato la nuova vita nello Spirito Santo. La sua grazia restaura ciò che il peccato ha corrotto in noi (cfr. CCC 1708). Il cristiano attende quindi il ritorno di Cristo, che libererà definitivamente la creazione dal male.
La negazione dell’esistenza del diavolo o la sua riduzione a un simbolo puramente interiorizzato, psicologizzato, che rappresenta ciò che accade al soggetto, è in chiara contraddizione con gli insegnamenti della Chiesa ed è uno dei segni di un tempo in cui l’esistenza stessa di Dio è messa in dubbio e si sta svuotando di significato nell’indifferenza generale. Questo vale sia per coloro che sono lontani dalla fede sia per coloro che ancora si professano membri della Chiesa. La cultura dà l’impressione di una “apostasia silenziosa” da parte dell’uomo sazio “che vive come se Dio non esistesse”, come disse Giovanni Paolo II nel 2003 nella sua esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa (n. 9).
Tuttavia, questa apostasia non è così silenziosa, né all’interno della Chiesa né nella società, e proprio il diavolo, ormai eliminato, nel suo nuovo anonimato spinge sempre più a perdere di vista il ritorno di Cristo e a mettersi a proprio agio nel regno del relativismo, del materialismo e delle idolatrie irrazionali.
Nella modernità, che ha elevato a divinità un concetto ristretto di ragione, e all’interno di un “cristianesimo aggiornato”, si possono individuare due errori fondamentali coerenti con l’addio al diavolo. Da un lato, la società occidentale moderna esclude dal suo orizzonte di pensiero la preoccupazione di Dio per lei, preoccupazione divina che si esprime nella sua legge; dall’altro, l’uomo si afferma al di là della consapevolezza di essere bisognoso di redenzione e si auto-assolve realizzandosi come un “io ipertrofizzato”. Il diavolo, eliminato e coingedato, disumanizza l’uomo in modo tale che non può più riconoscersi nella sua dimensione legata al divino. Indubbiamente: uno stratagemma meraviglioso. Il diavolo porta l’uomo a non riconoscerlo come il malvagio, il che comporta necessariamente la negazione di Dio stesso nella sua essenza di completamente buono. Se Dio è morto, allora tutto è permesso, aveva capito Dostoevskij. Ma qual è il modo migliore per ucciderlo? Sacrificandolo sull’altare. La mensa dell’egocentrismo dell’uomo gli rende impossibile distinguere il vero dal falso e dalla menzogna.
Questa strategia diventa ancora più evidente in una società sempre più determinata dai mezzi di comunicazione, all’interno della quale la res publica è sempre più governata da logiche maggioritarie, che possono anche essere fluttuanti. Troppo spesso i media producono una generale mancanza di domande e poi la fanno diventare un principio di vita. La persona distratta, che eleva il non impegno a suo principio sociale per non essere disturbata nel suo spazio privato, non può sopportare il fatto che il male sollecita il male, mentre il bene invita alla perfezione nell’amore gratuito, il cui nome è santità.
Il buono e il bene non possono essere concepiti senza metafisica, cioè senza superare i limiti della finitezza, mentre il male, degenerato in mito, continua la sua opera di inganno proprio nel mondo “senza metafisica” e degrada l’uomo privandolo della sua vocazione di essere razionale. Mentre il padre della Chiesa Tertulliano era ancora convinto che la verità richiedesse di essere riconosciuta, la modernità getta il problema della verità nella pattumiera della storia per lasciare che sia l’uomo a governare. Le strutture create e costruite sostituiscono la necessità della libera conversione come ritorno alla propria origine e al proprio destino. L’auto-redenzione da ciò che è possibile diventa la legge. È una guerra sottile contro la verità: la guerra del male contro l’uomo per allontanarlo dalla verità di Dio.
Il diavolo ha sempre sfidato gli uomini. Soprattutto oggi, il credente attento e talvolta scoraggiato o disturbato si rende conto di questa sfida. Il diavolo non attira inizialmente l’anima verso il demoniaco, perché la sua caricatura appare poi nella letteratura, nell’arte e nei media visivi, magari spaventando e facendo desiderare la pace. Le messe nere, la profanazione dell’Ostia, l’incubus o il succubus (versione maschile e femminile del demone) non sono il problema, ma sintomi dell’attuale opera di Satana: il suo costante tentativo di ripiegare l’essere libero su se stesso e sulla sua gratificazione. Nel libro su Gesù di Nazareth, Benedetto XVI ha posto al centro della riflessione il diavolo e la sfida che pone alla Chiesa di oggi, come un tempo aveva fatto con Gesù nel deserto. Non è un Belzebù odoroso di zolfo quello che ci sta davanti, ma il mondo nella sua mondanità puramente distillata. L’opera di Satana nel tentare Gesù (pane per tutti, potere su se stesso e sulla morte, dominio sulle nazioni quando l’uomo si sottomette all’avversario e lo adora) è presentata in parallelo nel modo in cui il Cristo reale e storico viene “liberalizzato” e falsificato in un simbolo dottrinale e umano.
Benedetto XVI, invece, non si stanca di contrapporre all’umanizzazione satanica e apostatica del Santo di Dio, che si è dato per i molti, il fatto che il regno di Dio è una persona. La nuova vicinanza del regno di Dio è Cristo stesso, che è entrato nella storia in modo radicalmente nuovo ed è all’opera in essa. Questo è intollerabile per l’avversario. Così allontana l’uomo dalla centralità di Cristo e lo conduce verso una centralità indifferente del Dio neutralizzato, del “nuovo ordine mondiale”, della nuova etica “universale” (cioè senza Dio) come “etica del mondo” per tutti. Il diavolo seduce così con l’ideale apparentemente più umano di tutti. Ciò che rimane, tuttavia, è un uomo che si ritrova solo, con il suo potere di agire, invischiato nelle sue macchinazioni.
Questo è il perfetto “omicidio di Dio”: è stato il giardiniere del nuovo paradiso con l’aiuto del maggiordomo, che tratta tutte le religioni e le tradizioni allo stesso modo e fa capire che non significano assolutamente nulla, come Satana aveva fatto capire a Gesù quando gli aveva offerto il dominio sul mondo. Secondo le parole di Benedetto XVI, Satana crea in questo mondo un clima dominato dalle potenze delle tenebre, un’aria simbolicamente e concretamente inquinata che si fa beffe della fede. Solo Cristo, che è il vero regno, può salvare.
“Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare” (1 Pietro 5,8). L’apostolo Pietro avverte i cristiani che il potere di Satana è astuto e violento. Il maligno usa i mezzi che il mondo gli mette a disposizione. Il fango e la sporcizia sono il suo cibo, così che il “nemico primordiale e assassino” può alzarsi rafforzato e, “trasformato in angelo di luce”, può invadere il mondo con tutta la schiera degli spiriti maligni.
“Il drago maligno versa il veleno della sua malvagità come un fiume immondo negli uomini che sono malvagi di spirito e corrotti di cuore: lo spirito della menzogna, dell’empietà e della blasfemia: il soffio mortale della fornicazione e di ogni genere di vizio e di malvagità” (cfr. Leone XIII, Exorcismus in Satanam et angelos apostaticos, Acta Sanctae Sedis XXIII; Rituale Romanum).
Il fine ultimo del “drago maligno” è il regno dell’Anticristo, l'”uomo dell’illegalità”, il “figlio della perdizione” (cfr. 2 Tess 2,3). Per l’apostolo Paolo, egli è il segno che precede il ritorno di Cristo, insieme alla “caduta da Dio”. Il riferimento all’apostasia da Dio è direttamente collegato all’attesa del ritorno di Cristo. L’Anticristo non è un’incarnazione di Satana, ma un essere umano, una sintesi dell’umano. Satana lo dota di un potere grande e sorprendente (cfr. Ap 13,2), che lo rende attraente e appetibile per la gente. Si presenta sotto le sembianze del bene, in modo che la gente riconosca in lui la sostanza dell’umanità sperata e lo metta al posto di Dio come colui che può cambiare “i tempi e le leggi” (cfr. Dan 7,25). Egli è nemico di Cristo e della sua Chiesa, “bestemmia l’Altissimo e opprime i santi dell’Altissimo”.
Tuttavia, “solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, (2 Tess, 2,8). Ma la situazione diventa tragica per l’apostata. Il malvagio ingannerà tutti i periti e li svierà verso l’iniquità; essi periranno perché hanno chiuso la mente all’amore della verità per la quale dovrebbero essere salvati (cf. 2 Tess 2,10).
Ogni epoca della storia della Chiesa si è confrontata con questa fine dei tempi; molti padri e teologi, non solo del lontano passato, hanno riflettuto sui segni della venuta di Cristo e sulla possibilità concreta dell’alba del regno dell’impotente. Anche oggi ci si chiede: viviamo negli ultimi giorni? Che razza di tempo è quello in cui è possibile abortire impunemente milioni di persone, volersi appropriare e controllare il mistero della vita, subordinare tutto allo sviluppo della propria individualità, adattare l’etica alle circostanze relative e abbandonarsi a idolatrie di vario genere? Non è forse vero che oggi più che mai assistiamo a un’apostasia che segue il declino della morale, descritto in modo opprimente nel Vangelo? “Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà” (Mt 24,10-12).
Il grande pensatore russo Vladimir Sergeyevich Soloviev (1853-1900) nel suo Breve racconto dell’Anticristo metteva in guardia dal ridurre il cristianesimo a un insieme di “valori”. Soloviev presenta l’Anticristo come un pacifista con una grande devozione per le questioni ecologiche. È anche radicalmente a favore dell’ecumenismo e convoca un concilio ecumenico per raggiungere un consenso tra tutte le confessioni cristiane. Un consenso che dovrà essere pagato da tutti rinunciando a parte della loro verità. L’Anticristo cerca la simpatia di tutti, è un “filantropo compassionevole” che ha scritto un libro intitolato La strada aperta verso la pace e il benessere del mondo. Gli “iniziati”, delusi dalla mancanza di unità nell'”amministrazione mondiale”, lo dotano di tutti i poteri come “uomo del futuro”. L’obiettivo dell’Anticristo è che i leader della cristianità lo venerino e rinuncino a Cristo. Vuole istituire un “museo mondiale di archeologia cristiana”.
Tuttavia, il piccolo gruppo di fedeli che gli resiste gli dice: “La cosa più preziosa del cristianesimo per noi è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da Lui; perché sappiamo che in Lui abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità. Ma anche da te, Sovrano, siamo pronti a ricevere ogni bene non appena scopriamo la mano santa di Cristo nella tua mano generosa. E alla tua domanda su cosa puoi fare per noi, questa è la nostra chiara risposta: confessa qui davanti a noi ora Gesù Cristo, il Figlio di Dio, apparso nella carne, risorto e che viene di nuovo. Confessalo, e pieni di amore ti accoglieremo come il vero precursore del Suo ritorno nella gloria“. Queste parole fanno sì che l’Anticristo perda l’autocontrollo. I suo vero volto viene rivelato.
Se il cristianesimo rinuncia a Gesù, se mette tra parentesi Gesù Cristo con la sua croce e la sua risurrezione, allora l’uomo rinuncia a Dio e lascia il dominio a colui che Satana ha dotato del suo potere di apparenza e di menzogna, attraverso il quale, alla fine, viene precipitato nel nulla. Questo nulla è l’insensatezza della morte, una morte che non ha la speranza della risurrezione e dell’essere-con-Dio. Se una persona lascia la casa di Dio sulla terra, questa sarà occupata dai servi di Satana. Ma è promesso: questa non è l’ultima parola. “Chi persevererà sino alla fine, sarà salvato” (cfr. Mt 24,13).